Da Key4Biz (21.12.21): Super green pass e tampone anche per andare al cinema?
Non ai livelli del predecessore Conte, ma anche l’esecutivo guidato da Mario Draghi sembra finire nelle sabbie mobili di una comunicazione confusa sulla pandemia, provocando surreali effetti boomerang.
Domenica scorsa 19 dicembre 2021, i maggiori quotidiani italiani hanno segnalato la notizia di una possibile “stretta” nelle procedure precauzionali contro la pandemia, con una ipotesi di obbligo di tampone (rapido o molecolare) per coloro che frequentano cinematografi e teatri.
Immediata la reazione delle principali associazioni rappresentative del settore: l’Agis (Associazione Generale Italiana dello Spettacolo) in primis, ma anche l’Anec, Federvivo, Anfols ed Assomusica…
Si legge in una lettera aperta indirizzata al Presidente del Consiglio Mario Draghi: “le notizie apparse sugli organi di stampa di un possibile obbligo di tampone per gli spettatori di cinema e teatri hanno creato una forte preoccupazione nel settore. Giova ricordare in questa sede che chi partecipa ad attività culturali deve essere dotato di super green pass, misura da noi convintamente sostenuta, e utilizzare per tutto il tempo i dispositivi di protezione individuale. Il distanziamento nei luoghi di spettacolo è garantito da sedute inamovibili e da una gestione del pubblico fortemente controllata, come previsto dalle Linee Guida della Conferenza delle Regioni. Aggiungere a ciò l’obbligo di un tampone, comporterebbe un fortissimo disincentivo alla partecipazione ed indebolirebbe lo strumento molto efficace del super green pass”.
Ieri lunedì 20, il quotidiano “il Giornale” così sintetizzata la situazione all’interno dell’esecutivo: “il governo si divide sui testi ai vaccinati… Esecutivo spaccato. L’asse tra Franceschini e Salvini”. Si tratta di un inedito “asse” – se così vogliamo definirlo – nei confronti di Mario Draghi.
Il Coordinatore del Comitato Tecnico Scientifico (Cts) Franco Locatelli dichiara al “Corriere della Sera” che ritiene saggio pretendere, per gli ambienti chiusi – in primis le discoteche – l’aggiunta del tampone al “green pass”.
Si dichiara invece contrario il Sottosegretario alla Salute Andrea Costa (che si autodefinisce un moderato di centro-destra e milita in Ncd-Noi con l’Italia di Maurizio Lupi)…
Il Presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti si dichiara in modo molto netto: “sono contrarissimo a ipotesi di tamponi per andare al cinema, al teatro o al ristorante, perché la via maestra è il vaccino”.
Il Capo Gruppo in Commissione Cultura della Camera di Fratelli d’Italia, Federico Mollicone, dichiara che un simile provvedimento “segnerebbe il colpo di grazie per il settore dello spettacolo”.
Oggi pomeriggio il Responsabile Cultura della Segreteria del Partito Democratico Filippo Del Corno ha dichiarato all’agenzia Italia: “le platee di teatri, cinema e sale da concerto sono luoghi estremamente sicuri, per il rigore con cui vengono effettuati i controlli all’accesso e per la correttezza con cui vengono utilizzati i dispositivi di prevenzione individuale. L’ipotesi di imporre anche un tampone per entrare in sala rappresenterebbe una misura dannosa e contraddittoria: dannosa per la ripresa economica del settore, dannosa per gli effetti di disgregazione sociale, contraddittoria perché disincentivante per la fase delicata della campagna vaccinale”.
Posizione simile hanno assunto – in una nota odierna – le senatrici del Movimento 5 Stelle in Commissione Cultura: “non possiamo avallare un’ipotesi che rischia di affossare definitivamente la ripresa di settori culturali strategici”.
Curiosa una dichiarazione dell’eterodosso deputato di Forza Italia Elio Vito, rivolgendosi anche al Ministro della Salute Roberto Speranza: “introdurre, oltre al green pass, pure il tampone obbligatorio per andare al cinema, e non introdurre, alla vigilia delle festività, l’obbligo di green pass per andare a Messa, conferma l’influenza ancora esercitata dal potere della Chiesa sul nostro Stato”…
Il Presidente del Consiglio non si pronuncia: Mario Draghi ha dichiarato ancora ieri sera: “ancora nulla di deciso… la decisione sarà presa sulla base dei dati dell’ultimo sequenziamento”.
L’eventuale decisione “super green pass” + “tampone” rappresenterebbe comunque – anche in termini di immagine – un clamoroso autogol: andrebbe a “punire” chi si è vaccinato, equiparandolo in qualche modo ai non vaccinati.
Secondo alcune fonti di Palazzo Chigi, il test per chi si è immunizzato, al limite, potrebbe essere richiesto per i luoghi più a rischio contagio: concerti, stadi e discoteche, ma non per i cinematografi e le sale teatrali…
Si rinnova confusione, alimentando una nuova infodemia
La situazione – una volta ancora – è confusa.
Se galoppa la pandemia in “versione” Omicron, si ri-alimenta infatti anche la infodemia.
Nello specifico, Alessandro Longobardi, Direttore artistico del Teatro Brancaccio di Roma, a proposito della ventilata possibilità che gli spettatori prima di entrare in sala per assistere a uno spettacolo a teatro o vedere un film al cinema, anche se vaccinati e in possesso del green pass, debbano anche presentarsi con un tampone negativo, sostiene che si tratterebbe di “follia pura, ma, anche se si trattasse solo di un’ipotesi cancellata il giorno dopo, il danno comunque è fatto”. Aggiunge Longobardi: “anche se l’ipotesi non fosse poi confermata, già leggere un titolo su un giornale frena la gente, che, nel dubbio, non prenota il posto, non compra il biglietto, non si abbona. Così si perde credibilità, oltre ai costi che si sommano e ai tempi necessari per stare in regola con l’ingresso a teatro”…
Ha ragione Longobardi: ancora una volta, una ricaduta grave di informazioni controverse.
Stato confusionale.
Non resta che augurarsi che prevalga il buon senso, la logica e finanche una qual certa coerenza con quel che lo stesso Governo ha teorizzato “da sempre”: vaccinarsi vaccinarsi vaccinarsi, per poter consentire al Paese di continuare a vivere (quasi) normalmente.
La decisione dovrebbe essere assunta tra giovedì 23, in occasione della “Cabina di Regia” guidata dal Premier, dopo l’analisi della cosiddetta “flash survey” dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss), attesa sul tavolo del Governo già domani mercoledì 22.
Le nuove misure dovrebbero scattare da lunedì 27 dicembre. Una bozza del provvedimento prevede l’obbligo di tampone per grandi eventi, feste di piazza, discoteche, teatri, cinema, stadi, concerti…
Come non condividere il commento sarcastico della leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni? “: “dopo averci detto che i tamponi erano inutili, pare che l’esecutivo stia studiando una norma per renderli necessari per partecipare a feste ed eventi pubblici… apprendiamo dalla stampa l’ennesima giravolta del ‘governo dei migliori’”.
Le associazioni del settore dello spettacolo quindi chiedono l’intervento del premier per evitare che un “incubo” venga rimesso in scena, ovvero che si vada a riprodurre un “danno incalcolabile e, probabilmente, non più recuperabile per questo settore. Siamo certi che, pur nel rispetto delle esigenze di salute pubblica, converrà con noi sul fatto che le misure in atto sono già a garanzia di assoluta sicurezza”. Alcuni ritengono che questa reazione delle associazioni di categoria sia tardiva e debole.
Davide Turrini (il Fatto Quotidiano): “Grazie Draghi. Lei è un genio. La vogliamo presidente Anica al posto di Rutelli. La vogliamo regista, attore, montatore, proiezionista e strappa biglietti”
Il miglior commento critico sulla prospettiva “tamponi al cinema” lo abbiamo intercettato ieri sulle colonne de “il Fatto Quotidiano” ed invitiamo alla lettura della accurata quanto gustosa analisi proposta del collega Davide Turrini, intitolata “Tampone per cinema e teatri? Non ci andrà più nessuno. Sennò c’è sempre l’ipotesi Django” (la citazione è riferita al cult di Quentin Tarantino del 2012, “Django Unchained”, omaggio al film di Sergio Corbucci del 1966, ed al riscatto del suo protagonista).
Turrini denuncia una sorta di subordinazione intellettuale (esistenziale) nei confronti delle decisioni governative ovvero “l’atteggiamento mentale piuttosto sottomesso di chi lavora nel settore culturale”… ovvero l’obbligo di “green pass” dal 6 agosto 2021, “quando l’ineffabile primo ministro italiano spiegò urbi et orbi che il green pass avrebbe salvato le persone dalla morte (certa) e l’economia dalla (solita) crisi. E nulla: chi è che in piena estate, oltretutto con le sale chiuse per ferie, si è sacrificato subito sull’altare della patria del lasciapassare? La cosiddetta area (semantica) dello ‘svago’, come se un virus scegliesse i luoghi dove infettare gli esseri umani”.
Si denuncia una qual certa passività (sudditanza) delle lobby del settore dello spettacolo verso il Governo: “ovviamente le associazioni di categoria, cito quelle che conosco direttamente a livello di comunicazione settoriale (cinema e teatri), nemmeno un fiato. Modello crogiolo dell’anello matrimoniale di ducesca memoria. Nessuna richiesta di delucidazioni, di risultati di studi ad hoc, di dimostrazioni reali che le sale cineteatrali – dove si entrava ben dall’estate 2020 con l’obbligo di mascherina dal primo all’ultimo secondo di permanenza (nella peggiore delle ipotesi due ore e mezza-tre) e distanziandosi un metro dal vicino – fossero spazi di propagazione pestilenziale del Covid che nemmeno il tinello di casa. Invece nulla. Obbedisco sua maestà. Finalmente il tampone. Guardi, sua maestà, prima nelle sale era l’inferno”.
Ha ragione Turrini: il Governo ovvero il Comitato Tecnico Scientifico ha prodotto evidenze scientifiche? No.
Si è governato – una volta ancora – nasometricamente, sulla base di impressioni e di emozioni.
E, continua Turrini: “beh, morale della favola, dopo quattro mesi dal Green Pass arriva il Super Green Pass, che dice il contrario, e che succede? Che per chi non si è vaccinato il tanto osannato tampone per entrare in una sala non basta più. È la punizione del gesuita: cilicio e penitenza in eterno, senza che però, come sempre, venga esibito uno straccio di prova scientifica ad hoc, uno studio mondiale, europeo, nazionale, regionale (con i governatori che abbiamo, dai, eh?), locale (con i sindaci che abbiamo, suvvia)”.
Eppure qualche evidenza scientifica ci sarebbe: un paio di esempi su macro-scala ci sarebbero e sono, almeno in Italia, i due Festival del Cinema di Venezia 2020 e 2021, regolarmente svolti. Con quello del 2020, quando non c’era il vaccino, e quello del 2021 con vaccinati e non vaccinati tamponati. Per il 2021, abbiamo dei dati confermati da Ausl e Biennale: su quasi 10.000 accreditati in dodici giorni di festival (quindi decine e decine di proiezioni dove tutti gli accreditati si incrociano di continuo) ci sono stati 3 positivi. Per l’esattezza: 2 vaccinati e 1 non vaccinato. I dati sono agli atti. “Nessuno se li inventa o li trova tra i link del gombloddo”. Conclude scherzosamente Turrini: “ma niente, la continua giravolta tamponi-sale continua. E il 6 dicembre 2021 le associazioni di categoria nemmeno un sospiro. Anzi, è il trionfo. Questa volta nel sostenere il contrario di quattro mesi prima. Grazie Draghi. Lei è un genio. La vogliamo presidente Anica al posto di Rutelli. La vogliamo regista, attore, montatore, proiezionista e strappa biglietti”.
Al di là delle battute (intelligenti) e dell’ironia (sana), è evidente a tutti – cittadini amanti del cinema in sala o meno – che la prospettiva “green pass” + “tampone” è semplicemente assurda, ridicola, surreale, sia per il costo aggiuntivo sia per le problematiche logistico-temporali.
Andrea Crisanti (Università di Padova): “è stata creata una follia… una campagna vaccinale folle… il tampone è una misura demagogica e da panico”
Si potrebbe al limite imporre l’obbligo di una mascherina di tipo Ftp2, se proprio si volesse incrementare un po’ il livello di precauzione.
In argomento, ha dichiarato ieri il virologo Andrea Crisanti, Direttore del Dipartimento di Medicina Molecolare dell’Università di Padova all’agenzia stampa Adnkronos: “il tampone disincentiva l’adesione al vaccino anti-Covid. Ed è una misura di chi non sa cosa fare e non ha capito che sta succedendo. È una misura demagogica e da panico. Qui c’è solo una cosa da fare: mettere la mascherina Ffp2, che ha una protezione del 98 %. Non c’è nulla che dia una protezione di questo tipo”.
Segnaliamo che lo stesso Andrea Crisanti, pochi giorni fa, ha dichiarato qualcosa che riteniamo sconvolgente (la notizia non ha registrato la ricaduta che meritava), denunciando “una campagna vaccinale folle” in Italia: “rispetto al mix dei vaccini, niente dati, una follia”. Il virologo sosteneva venerdì scorso ad “Agorà”, su Rai1: “il ‘puzzle’ di vaccini, con mix tra farmaci diversi, non consente di avere dati sulla protezione dei vaccinati”. E sentenziava: “è stata creata una follia… Inizialmente in Italia c’erano due categorie, i guariti e i non infettati. Poi, abbiamo avuto 4 diversi vaccini. Poi, abbiamo fatto la seconda dose mischiata, creando 24 tipi diversi di immunizzazione. Adesso si dà la possibilità di fare la terza dose con Pfizer o Moderna, abbiamo 48 regimi di immunizzazione: una cosa mai vista… Conosciamo i dati sulla durata dei vaccini sulla base dei trial delle aziende farmaceutiche: Pfizer ha fatto i trial con 3 dosi Pfizer, ma non sappiamo nulla sui dati relativi alla combinazione tra vaccini diversi”…
E (si) domandava: “il problema è che per prendere le decisioni politiche bisogna sapere quante persone protette: come si fa calcolare la protezione della popolazione sulla base di 48 situazioni immunologiche? è stata creata una follia… Come microbiologo, sono indignato per il modo in cui è stata creata questa situazione. Gli altri Paesi non hanno fatto questo pasticcio”.
Crediamo che questa dichiarazione – che non viene da un medico “no vax” oltranzista – la dica lunga su quali “evidenze scientifiche” è stata basta la (mala) gestione della pandemia dal Governo italiano, fin dalle prime settimane dell’anno scorso…
Lo spettro di un novello “lockdown” si aggira per l’Italia
Lo spettro di un novello “lockdown” si aggira per l’Italia, ma confidiamo che prevalga nel Governo il buon senso. Ed il rispetto di quel che predica da molti mesi. Coerenza. In scienza e coscienza, nevvero???
I lettori più affezionati di questa rubrica avranno memoria che siamo stati tra coloro che, fin dalle prime settimane della pandemia Covid-19, abbiamo manifestato dubbi e perplessità sia sui processi decisionali assunti dal governo allora guidato da Giuseppe Conte sia sulle sue contraddittorie strategie di comunicazione: per settimane, giorno dopo giorno, abbiamo martellato domande, anche in occasione delle un tempo rituali conferenze stampa presso il Dipartimento della Protezione Civile, manifestando perplessità infinite su variegate numerologie e narrazioni spacciate per “evidenze scientifiche”…
Tante volte, sia su queste colonne (fin dai primi interventi: “Key4biz” del 6 marzo 2020, “Coronavirus, il pasticciaccio sulla chiusura delle scuole”), sia talvolta sul quotidiano “il Riformista” (vedi l’edizione dell’11 aprile 2020, “Covid, c’è un’altra emergenza: quella psico-sociale”), abbiamo rimarcato come le decisioni assunte dal Governo, tutte basate su una logica di repressione “sanitaria” dello sviluppo della pandemia, non tenessero in considerazione le ricadute psico-sociali sull’intera popolazione: anzi, su questo delicato tema, possiamo finanche vantare una sorta di (triste) primato temporale nella denuncia.
Abbiamo poi accantonato il monitoraggio mediologico della vicenda, anche perché ci siamo presto resi conto che quel che andavamo denunciando non veniva recepito dai “decision maker”, anzitutto il Ministro Roberto Speranza ed i suoi “sodali”, in primis il “braccio armato” rappresentato dal Presidente dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss) Silvio Brusaferro.
Nuovamente (ed alla vigilia di Natale): incertezza decisionale e confusione informativa
Torniamo a battere su queste tematiche, perché crediamo che l’esecutivo guidato da Mario Draghi stia correndo il rischio di ri-commettere errori del predecessore: non entreremo nel merito degli aspetti tecnici (medici), ma riteniamo che sia veramente insopportabile, anzi intollerabile, la nuova dinamica di incertezza decisionale e di confusione informativa, nella quale la popolazione italiana è costretta, in assenza di una comunicazione netta chiara univoca.
Conclusivamente, in questi ultimi giorni, è emersa la notizia di un possibile “rafforzamento” delle misure preventive, con la assurda ipotesi di affiancare al “green pass” cosiddetto “rafforzato” (il “supergreenpass”) anche l’esito di un tampone.
Delle due, l’una: o il Governo (ed i suoi eletti scienziati) versano in un improvviso (…) stato confusionale, oppure tutto quel che hanno teorizzato da inizio 2020 (“in scienza e coscienza”) è veramente suscettibile di profonde critiche.
Precisiamo: non ci schieriamo con il composito piccolo mondo dei cosiddetti “no vax” e non militiamo nelle fila dei tanti “complottisti”, ma studiamo con attenzione “il campo” degli osservatori critici più colti (in primis il raffinato filosofo Giorgio Agamben, le cui sortite riteniamo oggettivamente molto stimolanti), e, al tempo stesso, non prendiamo per oro colato quel che ci viene proposto dal Governo, dalla televisione (anzitutto quella pubblica) e dai media “mainstream”.
Riteniamo che tutta la vicenda pandemica sia stata gestita male. Basti pensare alla vicenda di Francesco Zambon, il ricercatore dell’Oms pesantemente censurato nelle sue segnalazioni di allarme (denunciata per prima dall’indispensabile “Report” di Sigfrido Ranucci su Rai 3): lettura assolutamente indispensabile il suo libro “Il pesce piccolo. Una storia di virus e segreti”, edito per i tipi di Feltrinelli nell’aprile scorso.
Le riflessioni critiche sulla pandemia e la infodemia non sembrano essere state metabolizzate dal Governo Draghi.
E male continua ad essere gestita la pandemia, anche dal punto di vista informativo-comunicazionale.
Pandemia + infodemia: un cocktail veramente infernale per la società e per la democrazia.
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