Da Key4biz (22.04.2022) L’Istat certifica il crollo della partecipazione culturale in Italia
Presentata ieri dall’Istat l’edizione n° 9 del “Bes”, il Rapporto annuale sul “Benessere Equo e Sostenibile” in Italia: dati sconfortanti per la cultura, passata dal 35% del 2019 all’8% del 2021.
Una necessaria premessa: da molto tempo (decenni), sosteniamo che l’attenzione che l’Istat dedica al sistema culturale sia inadeguata e passatista, deficitaria di metodologie accurate e di una visione organica, ma d’altronde l’Istituto Nazionale di Statistica resta inevitabilmente l’istituzione di riferimento, per chi studia la società italiana… E quindi non possiamo ignorare la presentazione, avvenuta ieri a Roma, della edizione n° 9 del cosiddetto “Bes” ovvero il Rapporto annuale sul “Benessere Equo e Solidale” in Italia.
L’edizione 2021 del report Istat evidenzia, per quanto qui interessa specificamente (si tratta di poche pagine sul totale di 242 del tomo ed allocate in modo frammentario tra i vari capitoli, 12 “domini” basati su 153 “indicatori”), il crollo della partecipazione culturale ed il calo dell’occupazione culturale, fenomeni che possono essere inquadrati nell’economia di un complessivo impoverimento della società italiana.
Crolla la partecipazione culturale: dal 35 % del 2019 all’8 % del 2021
Qualche indicatore della crisi in atto è emerso, nei mesi scorsi, pur a fronte di un dataset che permane incompleto: per esempio, i dati sul “box office” cinematografico rappresentano la cartina di tornasole di una crisi profonda del sistema culturale, con incassi che sono crollati di circa il 70 % negli ultimi due anni (vedi “Key4biz” dell’11 febbraio 2022, “Lo stato di salute del sistema culturale italiano? Non si sa ma il cinema in sala muore”). Scrivevamo allora, che “a fronte di un diffuso entusiasmo sulla fruizione digitale individuale e domestica, nessuno si interessa realmente dei cinematografi, delle librerie, delle edicole… Prevale inerzia e rassegnazione (digitale)”.
In effetti, il “dataset” della cultura italiana mostra buchi di conoscenza che sono impressionanti: al di là del lavoro certosino che effettua la Società Italiana Autori Editori (Siae) per quanto riguarda le attività dello spettacolo attraverso il suo “Annuario dello Spettacolo”, in Italia nessuno dispone di dati aggiornati e completi… sui teatri in funzione, sulle librerie attive, sulle edicole ancora aperte…
Lo ripetiamo, ancora una volta: è incredibile, ma così è.
Lo hanno denunciato anche Sigfrido Ranucci e Giulia Presutti nell’ultima puntata della trasmissione di punta di Rai3, “Report” (andata in onda lunedì scorso 18 aprile), nel servizio “Gli incompiuti”: parrebbe che al Ministero della Cultura nessuno sappia nemmeno il numero dei teatri che hanno chiuso negli ultimi anni!
Ha sostenuto Ranucci: “qualcuno dovrebbe quantificare quanto ci costa questo immenso patrimonio culturale storico architettonico abbandonato. Ma nessuno lo sa, perché la Direzione Generale Spettacolo del Ministero della Cultura ci fa sapere che non c’è un censimento aggiornato… Per il 2022, finanziano 420 milioni di euro destinati solo a spettacoli e non alle infrastrutture. Per i teatri non è previsto nulla, possono pure crollare… E naturalmente su tutto questo non è destinato neanche un solo euro del Piano di Ricostruzione e di Resilienza”.
Torneremo presto sull’argomento, che è delicato e scabroso.
Abbiamo domandato al Portavoce del Ministro, Mattia Morandi, se vi sia stata reazione da parte del titolare del Collegio Romano, ma ci ha segnalato che non vi è stata finora alcuna replica da parte di Dario Franceschini…
Nel “deserto dei dati”, non si può quindi non guardare – pur con tutte le perplessità metodologiche del caso – all’Istat…
D’altronde al report “Bes”, abbiamo già dedicato attenzione, anche su queste colonne: vedi “Key4biz” del 2 dicembre 2015, “Istat/Bes 2015: Italia distratta sul suo sistema culturale?”. In occasione della presentazione di quella edizione (la n° 3), alla presentazione intervenne anche il Ministro della Cultura (allora era – per l’esattezza – “dei Beni e Attività Culturali e Turismo”) Dario Franceschini. Vedi anche “Key4biz” del 22 aprile 2015, “Cultura e media, sempre in attesa di sviluppo equo e sostenibile”. Scrivevamo allora: “Quel che non ci convince, anche metodologicamente, è l’allocazione dei dati relativi alla “partecipazione culturale” nel capitolo dedicato a “Istruzione e formazione”, separandoli dal capitolo “Paesaggio e patrimonio culturale”. Infatti, nella più moderna visione “culturologica”, il patrimonio culturale, i beni culturali e le attività culturali, così come il paesaggio ed il turismo sono un “tutt’uno”, nel grande insieme della “cultura”, industrie culturali ed industrie creative. Questa lettura organica e sistemica è totalmente carente nel rapporto Bes, e siamo sicuri che anche il Ministro Franceschini l’abbia notato, anche perché nella edizione 2014 l’attenzione rispetto alla cultura ci è parsa più accurata”. Purtroppo, nulla o quasi nulla è cambiato da allora, nell’impostazione del Rapporto Istat “Bes”.
Da ricercatori sociali specializzati, prendiamo quindi questi numeri con prudenza, anche perché sono basati prevalentemente su un’indagine campionaria (sebbene di ampio respiro statistico) qual è “Aspetti della vita quotidiana” (ovvero l’“Indagine multiscopo sulle famiglie”), la cui batteria di quesiti viene integrata in itinere… L’indagine è eseguita su un campione di circa 25.000 famiglie, distribuite in circa 800 Comuni italiani di diversa ampiezza demografica. La prossima rilevazione è stata avviata, e va dal marzo al maggio 2022.
A partire dal 2020, le restrizioni (spesso irrazionali) nell’accesso ai luoghi della cultura – disposte ai fini del contenimento nella diffusione del Covid – hanno inciso notevolmente sulla “partecipazione culturale” (cosiddetta) “fuori casa” nei 12 mesi precedenti l’intervista.
Secondo le rilevazioni Istat, la “partecipazione culturale” aveva già subito un’importante riduzione tra il 2019 e il 2020, passando dal 35,1 % al 29,8 %.
Tra il 2020 e il 2021, crolla all’8,3 %.
Nel 2021, mentre la “lettura” (intesa convezionalmente come letti “almeno 4 libri l’anno”) è rimasta stabile rispetto al 2020 (22,9 %), la lettura di quotidiani “3 o più volte a settimana” è diminuita (dal 24,8 % al 23,2 %), portando l’indicatore complessivo sulla lettura ad una riduzione: 36,6 % nel 2021, era 38,2 % nel 2020…
La “partecipazione culturale fuori casa” si è ridotta ampiamente sia per gli uomini sia per le donne, ma in maniera più elevata per quest’ultime: – 22,5 punti percentuali rispetto al 2020, – 20,5 tra gli uomini. Ha spiegato Linda Laura Sabbadini, Direttrice Centrale Istat: “le donne, quindi, dopo essersi caratterizzate a partire dal 2017 per livelli di partecipazione culturale fuori casa superiori a quelli degli uomini, nel 2021 si riallineano ai maschi (donne 8,1 %; uomini 8,5 %), perdendo in questo modo il vantaggio precedentemente acquisito”.
I giovani, avendo notoriamente livelli di “partecipazione culturale” più elevati, negli anni di pandemia hanno subito le riduzioni maggiori, avvicinandosi sempre di più alle altre fasce di età.
Analizziamo gli indicatori in dettaglio:
Partecipazione culturale (tout-cour):
2019: 35,1 % 2020: 29,8 % 2021: 8,3 %
Cinema:
2019: 18,1 % 2020: 14,6 % 2021: 1,7 %
Teatro:
2019: 20,3 % 2020: 15,7 % 2021: 2,9 %
Musica:
2019: 20,2 % 2020: 17,0 % 2021: 3,7 %
Musei:
2019: 31,8 % 2020: 27,3 % 2021: 8,9 %
Libri:
2019: 22,3 % 2020: 22,9 % 2021: 22,9 %
Quotidiani:
2019: 25,2 % 2020: 24,8 % 2021: 23,2 %
Va precisato che il dato sulla “partecipazione culturale” è riferito a “persone di 6 anni e più che hanno svolto 2 o più attività di partecipazione culturale fuori casa nei 12 mesi precedenti l’intervista e tipo di attività svolte. Anni 2019, 2020 e 2021. Valori percentuali” (sul totale degli intervistati).
Ovviamente, queste rilevazioni statistiche sono basate su presupposti convenzionali: per spettatore cinematografico, si intende colui che è entrato in una sala “quattro volte o più l’anno”; per spettatore teatrale, chi vi è entrato “almeno 1 volta l’anno”, ed altresì dicasi per la musica (il dato riportato supra è riferito ai concerti di musica “altra” rispetto a quella “classica”)…
I dati relativi alla lettura di libri ed ai quotidiani sono al di fuori del set di indicatori della “partecipazione culturale”, ovviamente, dato che si tratta di fruizione prevalentemente “domestica”, ed hanno parametri differenti: il dato è riferito, per i libri, a coloro che “hanno letto 4 o più libri nell’anno”; per i giornali, a coloro che “hanno letto quotidiani 3 o più volte a settimana”. Quest’ultimo dato, in particolare, non ci convince proprio, rispetto ai numeri oggettivi della diffusione della stampa in Italia: in effetti, secondo Istat, 1 italiano su 5 sarebbe lettore regolare di quotidiani?! Nutriamo dubbi…
Questi dati del “campione” Istat dovrebbero essere opportunamente integrati – ed analizzati criticamente – con i numeri relativi al consumo effettivo, ovvero con il totale dei biglietti venduti (si attendono le elaborazioni Siae di consuntivo 2021), con la quantità di libri venduti, ed altresì dicasi per il consumo di musica (non soltanto “live” – i concerti – ovviamente, ma anche “registrata”), per i giornali e i periodici, eccetera.
E riteniamo che non possano essere ignorati i consumi di audiovisivo attraverso gli apparecchi televisivi e altri “device”, sia rispetto ai “broadcaster” sia rispetto alle “piattaforme”: tutta un’area del sistema culturale che Istat continua ad ignorare. Così come quella dei videogiochi…
Ribadiamo che un vero e proprio “sistema informativo” della cultura in Italia non esiste ancora, e quindi sia le analisi sia le politiche finiscono per essere inevitabilmente parziali, incomplete, frammentarie.
E spesso ci domandiamo come possa il Ministro “governare” al meglio il sistema, a fronte di questi deficit di conoscenza… Ma evidentemente ritiene sufficiente la sua “cassetta degli attrezzi”.
Con tutta la prudenza (metodologica) del caso, lo scenario che si presenta agli occhi dei rilevatori dell’Istat è semplicemente disastroso.
Il divario territoriale: Sud svantaggiato, Lazio record positivo, Calabria record negativo
Se la “partecipazione culturale” è scesa nel 2021 al livello dell’8,3 % (rispetto al 35,1 % del 2019 ed al 29,8 % del 2020), l’analisi dei dati su base territoriale è sconcertante, le disparità sono assolutamente evidenti: la Regione che ha il record positivo è il Lazio, con il 12,3 % (ovvero più della metà oltre la media nazionale); la Regione che ha il record negativo è la Calabria, con il 3,6 % (ovvero meno della metà della media nazionale).
A livello di “lettura di libri e quotidiani”, il primato spetta alla Provincia Autonoma di Bolzano, con il 59,4 %, mentre la Regione col livello più alto è il Trentino – Alto Adige, con il 55,5 %. La Regione con il dato più basso è la Campania, con il 22,3 %.
Un altro divario segnalato dall’Istat riguarda la spesa dei Comuni in cultura. Se la media nazionale è nell’ordine di 20 euro “pro capite”, si passa dai 26 euro a cittadino al Nord ai 9 euro a testa nel Sud, in un rapporto di quasi 3 ad 1.
Questi dati sul divario territoriale dovrebbero provocare riflessioni profonde nei “decision maker” della politica culturale nazionale…
“Occupazione culturale”: in 2 anni, persi 55.000 posti di lavoro
L’impatto delle restrizioni di due anni di pandemia sull’occupazione culturale e creativa è forte ed evidente.
Ovviamente l’impatto è stato più intenso nel primo anno.
Nel 2020, il numero di occupati ha avuto una caduta del – 8,0 %, pari in termini assoluti, a una perdita netta di circa 66mila unità rispetto al 2019.
Il trend negativo si inverte nel 2021, in linea con la lieve ripresa dell’occupazione complessiva.
Il saldo alla fine del biennio è di – 55 migliaia di occupati, con una perdita relativa del – 6,7 %, più che doppia rispetto alla contrazione dell’occupazione generale (è stata del 2,4 %).
Impressiona osservare come il settore culturale registri un calo superiore al doppio rispetto alla diminuzione dell’occupazione nel suo complesso: si confermano quelle caratteristiche strutturali, in Italia, del “lavoro culturale”, che è spesso precario, instabile, intermittente…
La “fuga di cervelli” all’estero: in 15.000 i laureati che hanno lasciato l’Italia. In 10 anni, quasi 1 milione di italiani ha lasciato il Paese
Non si è arrestata, nonostante la pandemia, la fuga delle giovani risorse qualificate verso l’estero.
Il bilancio delle migrazioni dei cittadini italiani 25-39 anni con un titolo di studio di livello universitario si chiude con un saldo dei trasferimenti di residenza da e per l’estero di – 14.528 unità. Il Presidente dell’Istat Gian Carlo Blangiardo ha sostenuto che “ai giovani più istruiti e qualificati, l’Italia non offre ancora opportunità adeguate”.
Si ricordi che il 2 febbraio 2022, Istat ha pubblicato un report basato sui dati delle iscrizioni e cancellazioni anagrafiche dal quale emergeva che negli ultimi 10 anni il numero degli italiani che si sono trasferiti all’estero è stato di poco meno di 1 milione. Per la precisione, si tratta di 980mila persone, di cui circa un quarto ha almeno la laurea. Soltanto nel 2020, il volume delle cancellazioni anagrafiche per l’estero è stato di circa 160mila unità.
Tanti altri sono gli indicatori che provocano sconforto, nell’ambito della cultura e dell’istruzione.
Un… “florilegio”?
Si pensi alla “competenza numerica non adeguata”: rispetto a 100 studenti delle classi III della scuola secondaria di primo grado (le “scuole medie”, insomma), si passa da un 38,7 % dell’anno 2019 al 45,2 % dell’anno 2021. La Regione / Provincia Autonoma con il valore migliore è Trento, con un 27,6 %, a fronte della Calabria che registra un 63,6 %… Le quote percentuali degli studenti cosiddetti “low performer” è veramente impressionante.
Il peggioramento è trasversale ma la situazione è peggiore nel Mezzogiorno (57 % di insufficienti nelle competenze numeriche), e tra gli stranieri (74 % di insufficienti nelle competenze alfabetiche).
Secondo l’Istat, nelle classi terze delle medie, circa 4 studenti su 10 non raggiunge la sufficienza in italiano ed in matematica. Gli alunni giudicati insufficienti sono aumentati del 5 % rispetto al 2020.
E che dire del dato secondo il quale sarebbe raddoppiato il numero degli adolescenti che dicono di essere “insoddisfatti” della vita?!
Si ha anche conferma dei bassi investimenti in ricerca e sviluppo (R&S): nel 2020, resta ampia e inalterata la distanza tra il nostro Paese e la media europea. Sia in termini di incidenza degli investimenti in prodotti della proprietà intellettuale (cosiddetti “ppi”) sul Pil: pari rispettivamente al 3,2 % in Italia e al 5,0 % in media Ue 27. Sia in termini di incidenza della spesa per “R&S” delle imprese sul Pil: 0,94 % in Italia; 1,53% in media per i 27 Paesi Ue…
3 italiani su 10 non utilizzano internet. Sono “internauti” soltanto il 50 % dei 65-74 anni. 1 famiglia su 3 non ha computer e connessione
E non è di particolare conforto nemmeno il dato relativo all’uso del web: cresce, ma si conferma che ancora oggi 3 italiani su 10 non utilizzano internet. Incredibile, ma vero. Deprimente, ma vero.
Secondo Istat, le “persone che hanno usato internet almeno una volta a settimana negli ultimi 3 mesi” (quelli che vengono convenzionalmente definiti “utenti regolari”) sono passate dal 66,7 dell’anno 2019, al 69,0 % del 2020, al 72,9 % del 2021. Ne deriva che a fine 2021, vi erano 27 italiani su 100 che non avevano utilizzato internet negli ultimi mesi.
Certo quel 72,9 % del 2021 è un livello migliore rispetto al 25,8 % del 2005, ma si ha conferma che gli effetti “generazionali” e l’accelerazione determinata dalla necessità di connessione imposta dal Covid non abbiano determinato l’atteso salto di qualità.
Nel complesso, i dati evidenziano un “digital gap” nella popolazione: se, tra le persone di 55-59 anni, gli internauti sono arrivati all’80,0 %, il dato scende a poco meno del 50 % tra quelle di 65-74 anni.
Le persone di 75 anni e più restano ancora sostanzialmente escluse dall’uso regolare di internet: rappresentano soltanto il 14,7 % del totale gli “over 75” che nel 2021 hanno utilizzato il web.
Da segnalare che 3 famiglie italiane su 10 non hanno ancora la disponibilità di un pc e di una connessione a internet da casa. Circa l’8 % delle famiglie dove è presente almeno un minore non ha disponibilità di pc e connessione da casa nel 2021…
Vivono in “povertà assoluta” 5,5 milioni di persone, 8 famiglie su 100
Nel 2021, pur in uno scenario economico mutato, la povertà assoluta permane a livelli preoccupanti, riguardando oltre 1 milione 950mila famiglie (7,5 % del totale delle famiglie) e più di 5 milioni 500mila individui.
E che dire dei 1,3 milioni di bambini che vivono in condizioni di “povertà assoluta”?! Il totale dei minori in povertà assoluta nel 2021 è pari a 1 milione e 384mila: l’incidenza sul totale dei minori si conferma elevata, al 14,2 %, stabile rispetto al 2020, ma maggiore di quasi tre punti percentuali rispetto al 2019, quando era pari all’11,4 %…
Il Presidente dell’Istat sostiene che “è tempo di cambiare strategia”, e di investire sulle politiche per il benessere dei giovani, a partire dal sistema scolastico e universitario, per poi potenziare anche le reti territoriali per la cultura, lo sport e il tempo libero. È necessario comprendere che “le politiche per il benessere dei giovani sono politiche per il benessere del Paese intero”, e che non servono misure transitorie, ma “ricostruire le basi strutturali di questo benessere”.
Non ci risulta che il Ministro Dario Franceschini abbia commentato i dati rivelati ieri dall’Istat. Alla presentazione di ieri è intervenuto il Ministro Giorgetti.
Il Ministro Giancarlo Giorgetti (Mise): “in un contesto straordinario, urgono scelte coraggiose, cambi di paradigma per rispondere agli shock”
Le prospettive future non sono certo ottimiste, se si avverrà quel che ha previsto il Ministro dello Sviluppo Economico Giancarlo Giorgetti: “nel rapporto Bes del prossimo anno, temo che la situazione sarà ancora più critica rispetto a quella ereditata in due anni di pandemia”. Una misura evitare il peggioramento? “Questo è il momento in cui la politica economica si deve occupare dell’offerta… per decenni si è concentrata sul sostenere la domanda, ma oggi, al contrario, ci troviamo di fronte a una nuova sfida: come riorganizzare l’offerta rispetto a una domanda che muta in continuazione… Gli indicatori Bes presentati oggi confermano che siamo di fronte a un contesto straordinario, che impone scelte coraggiose e cambi di paradigma nella strategia di politica industriale e nella strumentazione per rispondere agli shock che si vanno ripetendo con una velocità eccezionale in termini sempre più evidenti”.
Gli auspici di Giorgetti andrebbero confrontati con il pensiero di Franceschini.
Nel settore culturale, però, forse la ricetta deve essere opposta: riteniamo che in Italia la mano pubblica si sia concentrata troppo nell’offerta (di “opere”), trascurando la stimolazione della domanda (e lo sviluppo dei “luoghi della cultura”). Si pensi alla quantità impressionante di lungometraggi cinematografici prodotti ormai in Italia, a fronte di un consumo “theatrical” modesto e con gran parte di questi titoli che non vengono trasmessi dalle televisioni né offerti dalle piattaforme…
Clicca qui per il file in formato .pdf del volume Istat, “Bes 2021. Il benessere equo e sostenibile in Italia”, presentato a Roma il 21 aprile 2022
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