Da Key4biz (20/03/2024): “Quote obbligatorie” di investimento osteggiate da Netflix e Mediaset (oggi il Tusma in Consiglio dei Ministri). L’autocritica sul flop di Garrone agli Oscar
Oggi in Consiglio dei Ministri la riforma del “Testo Unico dei Servizi di Media Audiovisivi”… Polemiche dopo le dichiarazioni di Matteo Garrone sul flop di “Io Capitano” nella corsa all’Oscar: il dietro le quinte.
Nel perdurante incredibile silenzio dei più, soltanto IsICult sul quotidiano online “Key4biz” ed il quotidiano confindustriale “Il Sole 24 Ore” hanno finora dedicato attenzione ad una questione nodale e strategica per il futuro del sistema audiovisivo italiano, qual è l’avviata riforma del “Tusma”, ovvero il “Testo Unico dei Servizi di Media Audiovisivi”, atto che interviene su diverse questioni, ma una delle più importanti è senza dubbio quella delle “quote”, ovvero degli obblighi imposti ad emittenti e piattaforme, rispetto all’investimento in opere di produzione europea ed italiana.
Dopo l’intervento – una sorta di “dossier” documentativo – elaborato da IsICult in esclusiva per questa testata (vedi “Key4biz” di venerdì scorso 15 marzo 2024, “Confusione sulla riduzione delle ‘quote’ obbligatorie di investimento da parte di Mediaset, Sky, Netflix e Amazon…”), soltanto “Il Sole” nell’edizione odierna (mercoledì 20 marzo 2024) propone un aggiornamento, segnalando come si registrino resistenze – soprattutto da parte delle emittenti commerciali, in particolare Mediaset – e da parte delle piattaforme –Netflix in primis – rispetto al “sali-scendi” delle quote, che abbiamo ben illustrato su queste colonne… La questione dovrebbe essere affrontata oggi dal Consiglio dei Ministri, anche perché mancano pochi giorni alla scadenza della delega al Governo, il 24 marzo 2024 (domenica prossima).
In sintesi: l’obbligo di investimento (sul totale dei ricavi) scende dal 12,5 % al 10 % per le emittenti, e dal 20 % al 16 % per le piattaforme, incrementando però dal 50 a 70 % la “sotto-quota” per le opere italiane.
Quote di investimento obbligatorio in produzione europea più basse in generale, ma più alte per il “made in Italy” audiovisivo
Tradotto in altri termini, come già spiegavamo venerdì scorso su “Key4biz”:
- il Parlamento suggerisce al Governo di allentare l’obbligo complessivo per quanto riguarda gli investimenti in opere europee: dal 12,5 al 10 % per le tv, dal 20 al 16 % per le piattaforme: e questa è senza dubbio una “cortesia” nei confronti di entrambe le tipologie di “player”;
- il Parlamento suggerisce al Governo di rafforzare l’obbligo relativo agli investimenti in prodotti “made in Italy”, che cresce: dal 6,25 % al 7,00 % per le tv, e dal 10,0 all’11,2 % per le piattaforme; questo è una “scortesia” nei confronti sia delle tv sia delle piattaforme (perché viene imposto un vincolo maggiore);
- la sotto-quota relativa specificamente ai film italiani di produttori indipendenti scende per tutti i “player”, ovvero viene dimezzata: dal 3,5 al 1,75 % per le tv, e dal 4 all’1,60 % per le piattaforme; questa è una cortesia sia verso le tv sia verso le piattaforme, ma evidentemente non va a vantaggio dei produttori indipendenti.
La scelta del Parlamento ha determinato interpretazioni confuse, anche se IsICult ha cercato di ben chiarire: di fatto, gli obblighi scendono nel complesso, ma vengono rafforzati a favore del “made in Italy” audiovisivo. Ha ben spiegato giovedì scorso Askanews, il Presidente della Commissione Cultura della Camera dei Deputati Federico Mollicone (Fratelli d’Italia), utilizzando egli stesso la nostra stessa espressione, ovvero il rischio di “confusione” numerica: sui giornali “narrazione confusa, io capisco che è un argomento tecnico, non ne faccio una questione politica, anche se qualche giornale ne ha fatto una questione politica, secondo me facendo un danno sia all’animazione che alla produzione italiana del cinema. Perché se si ideologizza sempre tutto non si capisce poi il tema di mercato, che è fondamentale. Bisogna sostenere l’industria italiana senza allontanare il mercato internazionale. Bisogna trovare una sintesi che è poi la parola magica della vera politica”: così si è espresso Mollicone, a margine della presentazione del concerto-evento “The Best of Disney Music” diretto da Gerardo di Lella (che si terrà domani giovedì 21 marzo all’Auditorium Parco della Musica di Roma), dopo che in conferenza stampa l’attore Ricky Tognazzi aveva espresso preoccupazione per la revisione da parte del Governo delle quote dell’audiovisivo, con la riforma del Tusma. “Il Parlamento ha dato l’indirizzo esplicito nel parere passato alla Camera e rispetto a questo l’animazione italiana, condiviso ovviamente con sottosegretario Borgonzoni e ministro Sangiuliano, l’animazione italiana sarà sostenuta perché è giusto così… É giusto che l’Italia, come fa la Francia e tutti i Paesi europei, difenda e valorizzi la propria animazione”.
Scrivono oggi Andrea Biondi e Carmine Fotina sul quotidiano arancione: “è corsa contro il tempo per salvare la delega al governo sui correttivi da apportare al Tusma. Il decreto legislativo, come quello contenente i correttivi sul Codice delle comunicazioni elettroniche, è atteso oggi per l’approvazione definitiva in Cdm, con i testi rivisti sulla base delle modifiche apportate secondo i pareri delle commissioni parlamentari. Ma a ieri sera la situazione era ancora molto incerta”.
I due giornalisti registrano una forte resistenza da parte di Mediaset (si ricordi che il gruppo di Cologno è socio di Confindustria, attraverso Confindustria Radio Tv), e precisano meglio: “a quanto risulta, a far saltare il banco ad ora sarebbero gli obblighi di investimento in opere di produttori “indipendenti” (quindi non legati ai broadcaster) richiesti a Tv e piattaforme di video on demand. La formulazione verso la quale si prevedeva di andare porta al 16 % (dal 20 % precedente) la quota di introiti netti che le piattaforme Vod, da Netflix in giù, sarebbero chiamate a investire in produzioni “europee”. A questa flessione dovrebbe però corrispondere un aumento della parte “italiana”: da almeno il 50 % al 70 %”.
“Il Sole 24 Ore” interpreta bene (e forse anche grazie – sia consentito – al dossier IsICult / Key4biz di venerdì scorso, che ha eliminato – per chi l’ha letto – quella “confusione” evocata da Mollicone): “Tradotto: i Vod dovrebbero investire l’11,2 % (adesso è al 10) del fatturato annuo in Italia. Per le tv lineari diverse dalla Tv pubblica la percentuale in quote europee è prevista, in questo schema, scendere al lo% dal 12,5 %, precedente con aumento, anche qui dal 50 al 70%, per la quota italiana. Qui, però, si sarebbe inceppato il meccanismo, con una Mediaset molto determinata a spingere per un abbassamento della sottoquota cinema (invece non previsto) e a far tramontare l’idea dell’aumento della quota italiana”.
Attendiamo di verificare cosa accadrà oggi a Palazzo Chigi.
Tusma: tra “tira e molla” e “sali e scendi”…
Ribadiamo però – come dimostrato su queste colonne venerdì 15 marzo – che ancora una volta si assiste ad una numerologia creativa, perché non sono disponibili (almeno pubblicamente) dati che consentano di comprendere le effettive conseguenze del “sistema di quote” vigente ad oggi, anche in chiave diacronica.
Quindi questi “tira e molla”, questi “sali e scendi” di numeri sono veramente esercizi surreali, in assenza di dati.
Sia ben chiaro: è evidente che soggetti forti come Mediaset e Netflix ben sanno quali siano i propri livelli di impegno economico-finanziario, e, dal loro punto di vista, hanno tutto l’interesse ad allentare vincoli e obblighi, sulla base di quella logica liberista di affrancamento continuo da “lacci e lacciouli”.
Però – come abbiamo segnalato venerdì scorso su “Key4biz” – come è possibile tutta questa… “resistenza” se è stata la stessa Autorità per le Garanzie nelle Comunicazione a certificare, nel luglio del 2023, che tutti gli operatori rispettano – ed alla grande! – gli obblighi previsti dalla normativa vigente???
Le verifiche Agcom sono state effettuate… con perizia ed accuratezza o forse ci si è semplicemente fidati delle… “autocertificazioni” degli operatori?! Non è dato sapere.
Ribadiamo: ad oggi, 20 marzo 2024, esiste soltanto una paginetta, tratta dalla relazione annuale al Parlamento dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (Agcom) presentata il 19 luglio 2023, nella quale si legge che, per l’anno 2021 (indisponibili ancora i dati del 2022 e certamente quelli del 2023, anche se siamo in un’Italia “digitalizzata”), sia le emittenti sia le piattaforme hanno rispettato le quote di investimento allora obbligatorie.
Perché, allora – ci domandavamo e ci (ri)domandiamo – questa esigenza di gioco al rialzo o al ribasso?! Per una questione “di principio”?! Per una esigenza ideologico-politica di far prevalere le ragioni del mercato su quelle dello Stato? Perché si deve ri-affermare (da parte dei grossi “player”) la necessità di ridurre “lacci e lacciouli”?
Silenzio assoluto da parte dell’Agcom a fronte di queste domande.
Nessun segnale nemmeno dalla Direzione Cinema e Audiovisivo del Ministero della Cultura (Dgca Mic): si ricorda che, ad oggi, la “valutazione di impatto” sulla Legge Cinema e Audiovisivo (prevista dalla stessa Legge n. 220 del 2016, la cosiddetta “Legge Franceschini”), relativa all’anno 2022 non risulta essere stata trasmessa dal Ministro Gennaro Sangiuliano al Parlamento (o comunque non risulta pubblicata sul sito della Camera dei Deputati e/o del Senato della Repubblica). Anche se si ha notizia che la Dgca (guidata da Nicola Borrelli) l’abbia inviata da tempo agli Uffici di Gabinetto del Ministro…
E nulla è dato sapere del bando relativo all’affidamento dell’incarico di “valutazione” per quanto riguarda l’anno 2023 (l’avviso è scaduto il 1° marzo 2024, e non è noto lo stato di avanzamento della procedura selettiva, ricordando che, da ben 5 anni, l’affidamento è stato assegnato sempre allo stesso operatore, ovvero l’Università “Cattolica” di Milano in ats con la società di consulenza Ptsclas spa).
E si rinnova il governo nasometrico delle politiche culturali e mediali nazionali.
Il “dietro le quinte” del fallimento del film “Io Capitano” nella corsa per l’Oscar: la lamentazione di Matteo Garrone e le reazioni. Deficitario il sostegno del “sistema Italia” al film
Altra questione delicata e sintomatica: i ragionamenti sul “flop” del film di Matteo Garrone rispetto alla prospettiva di vincere l’Oscar 2024 (edizione n° 96). La cerimonia s’è tenuta nella notte tra domenica 10 e lunedì 11 marzo (orario italiano) ed è stata trasmessa dalla Rai, ma con un programma peraltro mal impostato, che è stato oggetto di varie e variegate critiche, da più punti di vista (vedi il nostro intervento su “Key4biz” dell’11 marzo 2024, “La Notte degli Oscar 2024: flop di Matteo Garrone, débâcle della Rai”).
Il film è entrato in competizione con “Perfect Days” di Wim Wenders (Giappone), “La società della neve” di Juan Antonio Bayona (Spagna), “The Teachers’ Lounge” di Ilker Catak (Germania) e “The Zone of Interest” di Jonathan Glazer (Regno Unito).
A seguito della “nomination” (ovvero delle “cinquine”), l’Ad di Rai Cinema Paolo Del Brocco dichiarava, il 23 gennaio 2024 (come riportato anche dal “Corriere della Sera”): “noi eravamo gli outsider, e questo accresce il valore della nostra presenza, avevamo un budget limitato per la promozione agli Oscar, parliamo di 600mila euro, e siamo senza un grande distributore internazionale. È chiaro che adesso metteremo qualche altro soldo”. Sarebbe interessante comprendere chi ha apportato questo budget, ed ancor più comprendere come è stato speso…
Sono necessarie alcune premesse: qualche lettore (ed operatore del settore) ci ha quasi accusato di “lesa maestà”, anzi finanche di “sabotaggio”, perché abbiamo scritto su queste colonne che l’“operazione Oscar”, messa in atto dal nostro Paese a vantaggio del film di Garrone, si è rivelata giustappunto un “flop”. Precisiamo: il “flop” è riferito alla campagna promozionale, ovviamente, non al film in sé ed alla sua intrinseca qualità (a chi redige queste noterelle non è piaciuto granché, ma qui ed ora non rileva).
Ribadiamo il concetto: se è certamente apprezzabile che un film italiano sia entrato nella “cinquina”, e questo è senza dubbio un buon risultato, il risultato ottimo sarebbe stato se Garrone avesse conquistato la mitica statuetta.
Il che non è stato.
Ancora una volta, preferiamo essere razionali e ragionevoli, e vedere il “bicchiere” come “mezzo vuoto”, piuttosto che assumere sostanze psicoattive ed esaltarci sui magnifici successi del cinema italiano, come usano fare molti di coloro che governano il sistema, tra “pubblico” e “privato”: ovvero, per (non) fare nomi, la Sottosegretaria al Mic Lucia Borgonzoni e l’Amministratore Delegato di RaiCinema Paolo Del Brocco, entrambi sempre molto positivi, ottimisti, entusiasti.
Il “sistema Italia” ha lavorato bene, per la miglior promozione di “Io Capitano” agli Oscar 2024?
Cosa è accaduto, nei giorni scorsi?!
A fronte del totale disinteresse dei giornalisti italiani rispetto alle vicende delicate e strategiche del Tusma (vedi supra), alcune qualificate testate giornalistiche nazionali, da “La Stampa” a “la Repubblica” passando per “Il Fatto Quotidiano”, hanno rilanciato alla grande alcune dichiarazioni del regista, in occasione di una sua “master class” nell’economia dell’avviato Bif&est di Bari (il festival fondato e diretto da Felice Laudadio), tenutasi domenica scorsa, 17 marzo.
In sostanza, Matteo Garrone si è sfogato (“sono stati commessi troppi sbagli”), si è tolto qualche “sassolino dalla scarpa” (come ha scritto Gloria Satta sul quotidiano romano “Il Messaggero”), lamentando che il suo film non ce l’avesse fatta anche perché non supportato adeguatamente in termini di sostegno di lobbying, il che si traduce anche in investimenti pubblicitari, promozionali, comunicazionali.
Il regista ha sostenuto “dovevamo concorrere in tutte le categorie e trovare il distributore giusto”.
A Fulvia Caprara, sul quotidiano “La Stampa” del 18 marzo 2024, ha detto, senza giri di parole: “nessuno ci ha detto che il nostro film poteva concorrere in tutte le categorie. Non solo quella dei film internazionali. Così non ci siano iscritti. Una cosa importante, che fa la differenza, perché quella degli Oscar è una gara in cui non tutti partono dalla stessa posizione”.
E, ancora: “se avessimo avuto la possibilità di correre in tutte le categorie, il nostro film avrebbe potuto essere visto da tutti i diecimila votanti dell’Academy. Quelli che votano per la cinquina del miglior film straniero sono mille, di cui solo un centinaio italiani. Far vedere ‘Io Capitano’ era la cosa più importante, è un film potente, avevamo tutte le carte in regola vare al traguardo, non abbiamo muto il distributore americano giusto, che investisse sul film quello che era giusto investire”.
Possibile che la strategia promozionale di “Io Capitano” sia stata così superficiale, debole, deficitaria, velleitaria?!
Perché il film non è stato iscritto in tutte le categorie?! Cohen Media Group distributore Usa inadeguato?! Anatomia di un flop
Perché il film non è stato iscritto in tutte le categorie dell’Oscar?!
Di chi la responsabilità, ovvero le corresponsabilità?!
Si è trattato di un deficit di danari (privati prima che pubblici)?
Di un deficit di capitale relazionale?
Di un deficit di capacità tecnica, in termini di marketing e lobbying?
Naturale sorge il quesito: se non ha ritenuto di investire adeguatamente il distributore Usa ovvero Cohen Media Group, perché non è intervenuta la Rai?
E, soprattutto, perché non è intervenuto in modo deciso e robusto il Ministero della Cultura, con un’energica azione straordinaria?!
Perché l’accordo con il distributore Usa è stato definito soltanto ad inizio dicembre 2023, e perché il film non è stato distribuito negli States entro la fine dell’anno?!
Ricordiamo che “Io Capitano” è una produzione italo-belga Archimede (la società di produzione dello stesso regista) con Rai Cinema e Tarantula Belgique con Pathé, Logical Content Ventures, distribuito in Italia da 01 Distribution (controllata da Rai Cinema). Dopo la sua anteprima alla Mostra del Cinema di Venezia a settembre (dove ha ottenuto recensioni eccellenti e finanche un’ovazione di 13 minuti), il film ha conquistato il “Leone d’Argento” per Matteo Garrone e il “Premio Marcello Mastroianni” a Seydou Sarr. “Io Capitano” ha ricevuto anche due candidature come “Miglior Film Europeo” e “Miglior Regista Europeo” agli European Film Awards e successivamente il “Premio del Pubblico per il Miglior Film Europeo” al Festival di San Sebastián. Il 15 novembre 2023 il film è stato proiettato al Parlamento Europeo, durante l’evento “L’Europa vista dagli altri”.
L’acquisizione del film da parte di un distributore Usa risale all’8 dicembre 2023, notizia anticipata dalla cosiddetta “Bibbia” dell’industria dell’intrattenimento americana ovvero da “Variety”, e ufficializzata da RaiCinema qualche giorno dopo.
Nel comunicato stampa diramato l’11 dicembre 2023 da Rai Cinema, in occasione dell’acquisizione del distributore Usa, si leggeva: “’Io Capitano’ è un importante successo cinematografico di un maestro come Matteo Garrone, un film che getta luce sui drammi molto reali che si svolgono nel mondo di oggi“, ha dichiarato Robert Aaronson di Cohen Media Group. Il Presidente e Ceo Charles S. Cohen ha aggiunto: “il potente film di Matteo Garrone è una testimonianza della resistenza umana e della capacità del cinema di rendere le lotte individuali la preoccupazione di tutti noi”. Marie-Laure Montironi, Vice Presidente esecutivo delle vendite internazionali presso Pathé ha affermato: “Pathé è fiduciosa che il film abbia trovato la casa ideale per diventare sia un successo negli Stati Uniti che un serio contendente agli Oscar, e andrà il più lontano possibile considerando la fantastica risposta del pubblico che abbiamo osservato nelle settimane precedenti. Cohen Media Group è un distributore di alta qualità di film stranieri per il Nord America”.
Come commentare, a distanza di qualche settimana da queste dichiarazioni del dicembre 2023?!
Cohen Media Group sarà senza dubbio un “distributore di alta qualità”, ma si è dimostrata un’impresa che non ha investito nell’intrapresa: insomma, non esattamente quella “casa ideale” evocata dalla Pathé.
Paolo Del Brocco (Ad di RaiCinema) cerca di spiegare le ragioni ovvero il “dietro le quinte” del fallimento della campagna promozionale, ma nuovamente emerge il deficit di strategia nella promozione internazionale del “made in Italy” cinematografico e audiovisivo
L’Ad di RaiCinema Paolo Del Brocco ha precisato in questi giorni, dopo le dichiarazioni di Garrone: “la mancanza iniziale di un distributore americano adeguato e importante ha fatto sì che il film non fosse iscritto in tutte le categorie”. Questa ci sembra francamente una giustificazione assai debole (quindi Cohen Media Group non è, valutato “ex post” un distributore “adeguato”?!), se il Paese (il “sistema Italia”… se esiste realmente) fosse stato realmente convinto di puntare su “Io Capitano”. Lo è stato a parole – temiamo – ma non nei fatti, concreti e operativi.
Oggi stesso, la qualificata testata “Box Office” (diretta Vito Sinopoli, e-duesse editore) pubblica una lunga intervista all’Ad di RaiCinema, firmata da Paolo Sinopoli, che cerca di spiegare meglio l’… “anatomia di una caduta” (per parafrasare il film candidato per la Francia): spiega, in relazione al distributore entrato in-progress: “distributore che è entrato successivamente e che peraltro, non essendo una società di primaria importanza, non ha potuto investire le somme milionarie dei principali film nostri competitor che ricordiamo erano distribuiti da A24, Neon, Netflix e Sony”. Ora la Cohen Media Group(mai citata, peraltro, nell’intervista, curiosamente) viene declassificata a “società di non primaria importanza”. Secondo alcune fonti, Cohen Media Group (Cmg) è comunque il maggiore distributore di film francesi negli States. Sul sito web della società, si spende qualche parola sugli Oscar (“Cmg has released multiple Academy Award-nominated films, including ‘Timbuktu’, ‘Mustang’), ma sembrerebbe che ha distribuito soltanto 1 film (uno) di quelli che hanno vinto l’Oscar, ovvero “The Salesman” (ovvero “Il Cliente”) di Asghar Farhadi (una coproduzione Iran-Francia), nel 2017. Film che ha incassato 7 milioni di dollari Usa a livello planetario, di cui oltre un terzo negli States (in Italia, l’equivalente di poco più di 800mila dollari).
Questa la spiegazione tecnica proposta da Del Brocco: “il meccanismo di voto dell’Academy è molto complesso e varia di fase in fase, soprattutto per i film internazionali. I membri dell’Academy, per votare i film internazionali nelle prime due fasi e arrivare alla shortlist dei 15, e successivamente alla cinquina, devono esprimere una esplicita volontà e passare attraverso un complicato meccanismo di accesso ad un’area dedicata sulla piattaforma, e dare prova di visione di un certo numero di film. Il numero di membri che opta per questo iter è quindi limitato rispetto alla platea complessiva degli aventi diritto al voto. Solo dalla cinquina in poi tutti i 10.000 votanti possono votare senza nessun vincolo o limite e, addirittura, senza aver visto il film. Dunque, un film che gareggia in tutte le categorie ha molta più facilità di essere visto da tutti i membri dell’Academy e di conseguenza una visibilità superiore e più agevole sulla piattaforma. Ed è proprio quando si entra nella cinquina che conta in modo determinante la forza del distributore americano, la sua capacità di farlo vedere e di pubblicizzarlo, allargando così il numero dei votanti”.
Ed ancora: “sempre per tornare a spiegare i complicati meccanismi di voto, il meraviglioso film che ha vinto, ‘La zona d’interesse’, poteva contare potenzialmente su circa 900 voti dei votanti inglesi che presumibilmente hanno favorito il candidato del loro Paese. Per avere un termine di confronto, i votanti italiani sono circa 80. Anche in questo caso, Garrone ha fatto una semplice costatazione: essendo l’industria britannica molto contigua a quella americana, ha avuto senza dubbio una forza e una rappresentatività maggiore rispetto all’industria di qualsiasi altro Paese europeo”.
Interessante quest’approfondimento “metodologico” (anche se qualcuno potrebbe percepirlo a mo’ di “excusatio non petita”…), ma il problema di fondo permane: flop della campagna promozionale, fallimento del tanto auspicato Oscar al film “Io Capitano”. In questi casi, sportività a parte… si partecipa per vincere, non per… partecipare! È un vero peccato essere arrivati vicini alla meta, ed aver perso per errori “tecnici”.
Al di là del “case-study”, emerge evidente un deficit di marketing strategico, nello specifico, ovvero un deficit di promozione del “brand” Italia, in generale…
Grande poteva essere il successo anche per l’immagine internazionale del nostro Paese, attraverso un’opera artistica di indubbia qualità estetica e dalle indubbie valenze anche politiche.
Qualcuno insinua che il Governo non si sia speso molto, ovvero abbia fatto il “minimo sindacale”, perché, al di là dell’entusiasmo personale (per quanto anche istituzionale) della Sottosegretaria leghista Lucia Borgonzoni, si tratterebbe di un’opera in qualche modo ideologicamente in contrasto con la posizione del governo guidato da Giorgia Meloni: insomma, se il Governo sostiene (volendo semplificare con una formula) “aiutiamoli nei loro Paesi”, promuovere un film che dimostra quanta sia la disperazione che muove milioni di persone verso l’Europa e specificamente l’Italia… sarebbe – per alcuni aspetti – una sorta di “contraddizione in termini”. In termini di politiche migratorie, accoglienza e rigetto, “ponti” piuttosto che “muri”…
IsICult (Istituto italiano per l’Industria Culturale) nel proprio ruolo di struttura di ricerca specializzata (oltre che di laboratorio di giornalismo investigativo), ha cercato giustappunto di approfondire, e, nei prossimi giorni, proporrà un dossier specifico: qui ed ora, ci limitiamo a segnalare che ci risulta sia stata proprio la Sottosegretaria Lucia Borgonzoni ad essersi adoprata – con il suo proprio capitale relazionale (personale prima che istituzionale) – ad acquisire in itinere degli sponsor, che potessero sostenere meglio la campagna promozionale. Si tratta di Ferrovie dello Stato e di Enel, che avrebbero apportato un budget complessivo di 250mila euro.
Chapeau alla Sottosegretaria leghista, quindi, che pure ci auguriamo non abbia dovuto litigare col leader del suo partito, su questa vicenda, considerate le stranote posizioni di Matteo Salvini sul tema “migrazioni”…
Evidentemente questo budget integrativo è stato comunque inadeguato: l’auspicio di Del Brocco del 24 gennaio 2024 – “adesso metteremo qualche altro soldo” – non si è concretizzato a sufficienza per consentire di rafforzare al meglio la campagna promozionale. Eppure tempo per far meglio, dal 23 gennaio 2024 al 10 marzo 2024 ce n’è stato.
E prima ancora, ce n’era stato di tempo per iscrivere il film in tutte le categorie dell’Oscar…
Anche se – in verità – scrive Gianmaria Tammaro in uno stimolante articolo per “Esquire” pubblicato ieri l’altro 18 marzo 2024: “per poter iscrivere un film agli Oscar, bisogna avere una distribuzione negli Usa tra il 1° gennaio e il 31 dicembre dell’anno precedente rispetto alla cerimonia di premiazione. “Io capitano” di Matteo Garrone è uscito nelle sale nord-americane il 23 febbraio 2024. Quindi sarebbe stato impossibile iscriverlo nelle altre categorie. E questo è un fatto, non è un’opinione”.
Si ricordi che nelle sale cinematografiche italiane il film è uscito il 7 settembre 2023. Insomma, si doveva ragionare, in termini di strategie di marketing, fin dall’autunno dell’anno scorso, non in modalità “last minute”… post “nomination”.
E precisa Tammaro: “se manca totalmente il sostegno del distributore americano è un problema, ma a quel punto la responsabilità della sua scelta ricade anche su chi, precedentemente, ha chiuso l’accordo”. E l’accordo con Cohen Media Group – immaginiamo – l’han chiuso la francese Pathé e l’italica Rai Cinema… Ad ognuno le sue responsabilità, insomma.
Ci ricorda un articolo di “Box Office” del 4 marzo di dieci anni fa (2014), in relazione alla statuetta vinta da Paolo Sorrentino per “La Grande Bellezza”: “una vittoria agli Oscar non la si ottiene senza mezzi economici e senza una campagna di lancio mirata. In un’intervista a ‘La Repubblica’, la produttrice de ‘La grande bellezza’ Francesca Cima (Indigo Film), dichiara: «Non volevamo avere rimpianti. Alla fine abbiamo speso 400mila dollari cui se ne sono aggiunti 250mila dell’Ice, l’Istituto per il Commercio Estero. Ma i nostri concorrenti avevano più soldi e mezzi». Continua la produttrice: «Il rush finale degli ultimi dieci mesi è stato un grande lavoro di concerto e determinazione. Ho iniziato a pensare agli Oscar subito dopo Cannes, sulla base delle ottime critiche della stampa americana. Poi c’è stato Toronto, tappa fondamentale». Per il lancio sono stati ingaggiati due publicist specializzati in pubbliche relazioni, uno per i Golden Globes e l’altro per gli Oscar: «Siamo tornati negli Stati Uniti una volta al mese: festival, eventi, incontri. Paolo Sorrentino ha fatto fino a quattro presentazioni al giorno». Il film ha avuto un percorso anche nelle sale cinematografiche americane. Distribuito dalla piccola Janus Film («che si è occupata solo di noi», specifica Francesca Cima), il film ha superato i 2,2 milioni di dollari, di gran lunga il successo più importante per la società di distribuzione”.
A distanza di dieci anni… nel 2024, i produttori ed i distributori (italiani, francesi, belgi, americani…) si sono impegnati con altrettanta passione?! Non ci sembra.
“Made in Italy” audiovisivo: urge una strategia globale, fondi adeguati e una regia di sistema
Quel che riteniamo grave è la perdurante assenza in Italia di una “agenzia specializzata” (sul modello di Unifrance) nella promozione delle industrie culturali e creative a livello internazionale: è evidente che le attività in corso sono parcellizzate, tra Cinecittà ed il Ministero della Cultura (senza dimenticare il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale – Maeci ed il dicastero che forse non a caso è stato ridenominato Ministero per le Imprese e il Made in Italy – Mimit ex Mise – e finanche soggetti come l’Ice e finanche l’Enit) ed altri soggetti (associazioni private, promotrici di varie e variegate iniziative), senza che esista ancora una strategia globale, fondi adeguati ed una regia di sistema.
Quello di “Io Capitano” dovrebbe essere un “caso di studio” per cercare di ragionare sull’esigenza di una miglior promozione del cinema e dell’audiovisivo italiano. Ci piace riportare che, nell’intervista odierna a “Box Office”, è lo stesso Paolo Del Brocco a sostenere (auspicare): “sarebbe opportuno fare tesoro di tutta questa esperienza e creare un’azione sistematica e coordinata del sistema Paese a favore del film italiano che annualmente partecipa all’Oscar”.
Giusto evocare un “sistema Paese”, che, ad oggi, non esiste.
Magari ragionando sull’assegnare a questa promozione internazionale una “fetta” significativa della “torta” di 700 milioni di euro del Fondo Cinema e Audiovisivo per l’anno 2024, il cui decreto di “riparto” è alla firma del Ministro Gennaro Sangiuliano, non appena verrà acquisito il parere di quel Consiglio Superiore del Cinema e dell’Audiovisivo (la cui nomina è attesa ormai da molti mesi), come previsto dalla vigente legge.
Alla prossima puntata (…).
[ Nota: questo articolo è stato redatto senza avvalersi di strumenti di “intelligenza artificiale”]
(*) Angelo Zaccone Teodosi è Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult (www.isicult.it) e curatore della rubrica IsICult “ilprincipenudo” per “Key4biz”.
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