Da Il Fatto Quotidiano (12/12/24): Tax credit paralizzato: l’ennesima riprova del (mal)governo della cultura
L’Italia non si è mai caratterizzata per un “governo della cultura” basato su analisi, studi, valutazioni: il deficit di “evidence-based policy making” è purtroppo diffuso in molti settori della socio-economia nazionale, ma colpisce particolarmente il sistema culturale, gestito con assoluta discrezionalità dal ministro pro tempore. Si assiste ad un “governo nasometrico” dell’intervento dello Stato, senza adeguate analisi preventive e valutazioni di impatto: il deficit riguarda tutte le industrie culturali e creative, dall’editoria alla musica passando per i beni culturali. Prevalgono frammentazione di interventi e dispersione di risorse.
Nello specifico settore dello spettacolo, nel lontano 1985 l’allora ministro socialista Lelio Lagorio riuscì a riportare ad unità tutti i rivoli e rivoletti del sostegno pubblico al settore, creando il mitico “Fus”, acronimo per “Fondo Unico per lo Spettacolo” (cinema, teatro, lirica, musica, danza, circhi…), ed istituì anche un organismo, l’Osservatorio dello Spettacolo, che avrebbe dovuto monitorare la spesa pubblica e la sua efficienza ed efficacia. Questo Osservatorio è stato però presto depotenziato, perché, a regime, avrebbe ridotto di fatto il margine di “manovra” del Principe di turno…
Nel 2016, forte di una sua particolare sensibilità verso il cinema, il “dem” Dario Franceschini ha deciso di “sganciare” il settore audiovisivo dal Fus, ed è stato istituito il “Fondo Cinema e Audiovisivo”, alimentato per il primo anno da una dotazione “minima” di ben 400 milioni di euro. In sostanza, il “Fus” non è stato più un “fondo unico” bensì è stato affiancato da un fondo parallelo, divenuto presto ben più ricco di quello originario. Il cinema è passato dai 77 milioni di euro del 2016 ai 400 del 2017! Anche questo intervento pubblico è stato però gestito con approssimazione, senza la necessaria “cassetta degli attrezzi”.
Inoltre, la cosiddetta “Legge Franceschini” (la n. 220 del 2016) ha avuto un preciso orientamento politico, in teoria valido: riduciamo la “discrezionalità” delle commissioni ministeriali ed attiviamo meccanismi di sostegno “automatico”, agendo soprattutto sulla leva del “credito d’imposta”, che asseconda le logiche del mercato.
L’assenza di adeguata strumentazione di controllo ha però determinato effetti negativi. Il Fondo è cresciuto, anno dopo anno, arrivando ad assorbire nel 2023 quasi 750 milioni di euro (10 volte il budget del 2016!), ed è stato gestito senza adeguate valutazioni di impatto. Risultato?! È stata prodotta una vera “bolla” assistenziale, autoriferita. Una impressionante quantità di titoli prodotti, di cui quasi la metà non ha mai visto il buio di una sala cinematografica… Il tessuto industriale non si è rafforzato realmente e nemmeno il pluralismo espressivo è cresciuto in termini di “audience development”. Anche il consumo di cinema in sala è scemato. Il “tax credit” ha sostenuto soprattutto la produzione di fiction televisiva.
I principali beneficiari di questa “manna” sono state grosse società di produzione, che sono state poi acquistate da multinazionali straniere. Il sistema è stato sostenuto dall’entusiasmo del più longevo ministro della Repubblica, Dario Franceschini e, negli ultimi anni, dalla più longeva sottosegretaria, la leghista Lucia Borgonzoni.
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Con l’insediamento del governo Meloni, c’è stato un tentativo di “u-turn”: l’ex ministro Gennaro Sangiuliano si è presto reso conto che “qualcosa” non andava… Troppi film “invisibili” (e spesso “invedibili”), incremento artificiale dei costi di produzione, assenza di controlli nella gestione della cassa… Buco di bilancio di oltre 600 milioni di euro nella gestione dei primi 6 anni del “tax credit”, come emerge dalle analisi dell’IsICult. Sangiuliano ha quindi deciso di avviare una riforma, che ha affidato alla senatrice leghista. Da metà del 2023 il sistema del sostegno pubblico è stato rallentato, se non paralizzato, da una riforma dalla ritardata gestazione, che è stata concordata con i “big player” ovvero le due maggiori lobby del settore, l’Anica (cinema) e l’Apa (audiovisivo), ignorando le associazioni dei piccoli produttori, ma anche tutte le anime autoriali del settore (registi e sceneggiatori) ed in generale i tecnici ed i lavoratori…
Soltanto nell’estate del 2024, sono emersi i primi decreti con le nuove regole, che riproducono le patologie del passato e penalizzano i piccoli imprenditori. Sono quindi arrivati ricorsi al Tar da parte di oltre 30 produttori indipendenti e la Procura di Roma ha aperto un’indagine sulla gestione dei finanziamenti pubblici al settore… Nel mentre, la sottosegretaria leghista continua a mostrare ostinato ottimismo…
Si tratta dell’ennesima riprova del (mal) governo delle politiche culturali nel nostro Paese.
* Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult
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