Da Key4biz (07.06.2022): Perché il cinema in sala in Italia soffre la crisi più acuta d’Europa?
È indispensabile una terapia d’urto, serve campagna promozionale di impatto, impostata in modo evoluto, dotata di un budget adeguato.
Gli italiani, dopo il Covid-19, non tornano nelle sale cinematografiche: i ristoranti sono spesso affollati, i concerti “live” registrano continuamente “sold out”, ma i cinematografi denunciano una crisi di presenze e di incassi che sta assumendo caratteristiche oggettivamente inquietanti.
Partiamo dai dati, attingendo alle più recenti elaborazioni curate da Cinetel, la società che effettua un monitoraggio di gran parte del mercato “theatrical” italiano (impresa partecipata pariteticamente da Anec – l’associazione degli esercenti – e da Anica Servizi, che peraltro in questi giorni ha rinnovato le cariche societarie nominando Simone Gialdini nuovo Presidente).
Dati dell’ultimo mese: dal 1° al 31 maggio 2022, si sono incassati 25,7 milioni di euro, corrispondenti ad un – 46,6 % rispetto al 2019. I biglietti venduti sono stati soltanto 3,65 milioni, ovvero – 50,7 % sul 2019.
Dati da inizio anno: dal 1° gennaio 2022 si sono incassati 126,6 milioni di euro, corrispondenti ad – 14,9 % sul 2020, – 56,5 % sul 2019. Sono stati venduti 18,49 milioni di biglietti, corrispondenti ad un – 18,9 % sul 2020 ed a un – 59,1 % sul 2019.
La situazione è semplicemente disastrosa.
La quota di mercato dei film italiani (incluse le coproduzioni) non è esaltante: siamo al 17,6 %, a fronte del 51,6 % dei film “made in Usa”, al 22,9 % dei film del Regno Unito, la Francia al 4 %, la Spagna non raggiunge l’1 %…
Se si tenta una comparazione a livello europeo, si nota – secondo i dati dell’European Audiovisual Observatory (Eao) – che, per i primi 4 mesi dell’anno (da gennaio ad aprile 2022) al – 61 % dell’Italia (sempre rispetto all’anno di riferimento pre-Covid, ovvero il 2019) corrisponde un – 50 % della Germania, un – 38 % della Francia, un – 36 % della Spagna ed un – 19 % del Regno Unito…
A livello di consuntivo annuo, sempre secondo Cinetel, nel 2021 il cinema italiano ha incassato 169,3 milioni di euro e 24,8 milioni di presenze. Entrambi i dati sono calati rispetto al 2020. La differenza rispetto al 2019, prima quindi della pandemia, è di oltre il 70 % sia per i ricavi sia per le presenze.
Il mercato cinematografico italiano è l’unico, fra i grandi Paesi europei, ad aver registrato un calo degli incassi rispetto al 2020.
Quale terapia, di urto, per stimolare il ritorno degli italiani nelle sale cinematografiche?!
Nessuno dispone della bacchetta magica, ma gli strumenti di intervento sono essenzialmente tre:
– stimolazione del consumo attraverso robuste e continuative campagne promozionali e di marketing
– agire sulla leva del prezzo, con una elasticità maggiore di quella attualmente praticata
– interventi normativi che impongano rigide “finestre” temporali nello sfruttamento dei film.
Da studiosi appassionati – da oltre trent’anni – delle dinamiche dell’economia cinematografica ed audiovisiva nel contesto del complessivo sistema dei media, riteniamo che si debba intervenire su tutti e tre i fronti, anche se il primo deve assumere priorità assoluta, soprattutto in una fase di crisi acuta qual è quella che sta vivendo il Paese.
Tra tre mesi i primi risultati dello studio promosso dalla Direzione Cinema e Audiovisivo sull’identikit dello spettatore cinematografico italiano post-Covid
Il Ministero della Cultura sembra per alcuni aspetti anch’esso spiazzato dalle caratteristiche della crisi italiana, e merita essere segnalato che finalmente è stato avviato, per la prima volta nel nostro Paese, un tentativo di studio approfondito dell’identikit dello spettatore cinematografico italiano: dei precedenti di analisi ci sono stati in Italia, nel corso dei decenni, ma nessuno purtroppo è stato sviluppato con metodologie costanti e con budget adeguato.
Per la prima volta, la Direzione Cinema e Audiovisivo (guidata da Nicola Borrelli) ha promosso un avviso pubblico per identificare una struttura specializzata in questa analisi. Questa iniziativa era stata preannunciata settimane fa dallo stesso Dg Borrelli in occasione di pubblici convegni.
Sta quindi per essere messo finalmente in cantiere un inedito “uno studio qualitativo e quantitativo sul pubblico cinematografico italiano”, che sia di supporto alle politiche pubbliche del settore cinematografico e audiovisivo.
Il 28 aprile 2022 è stato infatti pubblicato un bando “per la realizzazione di uno studio qualitativo e quantitativo sul pubblico cinematografico italiano”, mettendo a disposizione una dotazione di 130mila euro (al netto iva): una somma congrua per un’analisi di cui si sentiva – da molti anni – grande necessità. L’avviso scadeva il 12 maggio e si ha notizia che la commissione di valutazione stia lavorando in questi giorni alla selezione dell’operatore economico che avrà presentato la miglior offerta in termini progettuali (il bando ha previsto l’assegnazione di un massimo di 70 punti su 100 per la qualità della proposta tecnica, a fronte di 30 punti per l’offerta economica).
Se la Direzione Cinema assumerà la decisione entro metà giugno, si può ragionevolmente prevede che i risultati siano disponibili per metà settembre, dato che il bando precisa che l’incarico ha durata di 3 mesi.
È interessante leggere quel che prevede il bando, ovvero la genesi dell’iniziativa: il target consiste nell’“analizzare l’attitudine del pubblico alla fruizione dei film in sala e le aspettative relative all’offerta cinematografica, tenendo conto anche degli effetti della prolungata chiusura delle sale a causa dell’emergenza pandemica e approfondendo l’eventuale trasformazione della fruizione a causa del consolidamento delle abitudini di utilizzo in ambito casalingo e della disponibilità più o meno immediata di film su altre piattaforme, delle evoluzioni dei gusti e delle preferenze di consumo anche in termini economici, sociologici, psicologici”.
Il Ministero “richiede una quantificazione della fascia di pubblico che, considerati gli aspetti poc’anzi evidenziati, continua ad andare in sala, rispetto agli spettatori che – post emergenza pandemica- hanno rinunciato a tale abitudine, anche in relazione alla loro disposizione a recuperarla e in base a quali condizioni (tipologia e/o nazionalità delle opere, prossimità e/o stato della sala, ecc.)”.
Altro tema delicato, i film italiani: “un particolare focus è richiesto in merito all’atteggiamento e alla percezione del pubblico riguardo alla cinematografia italiana rispetto a quella estera (in particolare statunitense ed europea) anche con riferimento ai generi e alle tematiche delle opere, al valore produttivo, al cast artistico, al regista, alla campagna promozionale”.
Si ricordi che – anche su queste colonne – abbiamo segnalato il fenomeno che si sta riproducendo anno dopo anno: una sorta di “inflazione produttiva” con centinaia di film realizzati – in buona parte esclusivamente grazie al sostegno pubblico – gran parte dei quali non trova alcun mercato di sbocco. Non soltanto nelle sale cinematografiche, ma nemmeno in dvd, o in televisione o sulle piattaforme.
Obiettivo finale dello studio promosso dal Ministero: “l’attività di valutazione dovrà essere predisposta per consentire al Ministero della cultura di avere a disposizione i dati e le informazioni necessarie per verificare l’efficacia dello strumento normativo e delle sue misure specifiche, al fine di aggiornare tali misure e meglio adattarle agli obiettivi della legge n. 220 del 2016 ed alle esigenze del settore”.
In sostanza, questo studio si andrà ad affiancare alla controversa “valutazione di impatto” che il Ministero affida ormai da anni all’Università Cattolica in associazione temporanea d’impresa con la società di consulenza Ptsclas spa, alla quale abbiamo dedicato intensa attenzione critica per alcuni deficit metodologici (vedi, da ultimo, “Key4biz” dell’8 aprile 2022, “Il Ministro Franceschini nomina i 15 ‘super-esperti’ per assegnare i ‘contributi selettivi’ della Legge Cinema e Audiovisivo”).
Lo strumento delle “window” temporali, se sganciato da un approccio globale di rigenerazione del mercato “theatrical”, serve a poco
Nelle more dello studio, al Ministero si sta valutando uno dei possibili strumenti di intervento, ovvero una modificazione delle cosiddette “finestre” di sfruttamento commerciale del film tra i vari media.
Si segnala che la Dg Cinema e Audiovisivo sta lavorando a una nuova “finestra” temporale dall’uscita dei film al cinema a quando possono debuttare nei servizi di streaming per essere accessibili anche online.
Attualmente, devono passare almeno 90 giorni, ma il Ministro della Cultura Dario Franceschini, ha sostenuto, intervenuto al Quirinale prima della premiazione dei David di Donatello, che “stiamo lavorando a un intervento normativo che stabilisca un sistema di finestre” tanto per i film italiani sostenuti dallo Stato quando per le produzioni internazionali. Secondo il Ministro un simile provvedimento è determinato da “una crisi vera che riguarda le sale, che dobbiamo sostenere con misure adeguate”.
E qui si entra in sabbie mobili, rispetto alla… “adeguatezza” delle misure da adottare, concetto relativo e sfuggente.
Ieri s’è fatta sentire la voce dell’Univideo, nella persona del Presidente Pierluigi Bernasconi, che si è dichiarato contrario ad una estensione della “window” anche ai film stranieri: “come Univideo, sosteniamo che sia un errore pensare che l’allungamento temporale delle finestre, comprendendo anche i film stranieri che oggi non ricevono contributi statali, possa sovvertire l’attuale situazione, contribuendo una maggiore presenza di pubblico nelle sale” (vedi l’articolo di Flavio Fabbri su “Key4biz” di oggi 7 giugno 2022, “Uscire dall’emergenza per riportare la sala al centro dell’industria cinematografica, l’evento alla Camera”).
Univideo sostiene che “sarebbe un provvedimento a danno non soltanto dei rivenditori, ma anche dei consumatori e in ultimo persino delle stesse sale cinematografiche, senza considerare che questa scelta alimenterebbe ulteriormente il fenomeno della pirateria”. Bernasconi conclude che “è indispensabile invece affrontare la questione in modo molto più articolato, mettendo in campo azioni dal carattere sistemico”.
A supporto di queste tesi, ieri Univideo ha presentato, presso la Sala Stampa della Camera dei Deputati, per iniziativa del parlamentare Guido Germarin (attualmente in Coraggio Italia, fino a fine maggio in Forza Italia) della Commissione Bilancio, un interessante studio – intitolato “Le finestre di distribuzione del film nell’industria audiovisiva post Covid. Il caso Italia in una prospettiva internazionale” – realizzato da Augusto Preta per la società di consulenza specializzata ItMedia, secondo il quale non vi sarebbe evidenza scientifica di una correlazione tra durata delle finestre e dinamiche del consumo di cinema in sala.
Univideo suggerisce che, prima di assumere provvedimenti in materia di “finestre”, sarebbe opportuno attendere i risultati della ricerca sullo spettatore cinematografico italiano promosso dalla Dg Cinema e Audiovisivo.
Riteniamo che l’estensione della “window” ai film stranieri, se adottata come unico strumento di rigenerazione del mercato, sia un provvedimento in sé inadeguato ed insufficiente, ma, se correlata ad altri strumenti di stimolazione della domanda, possa invece avere una sua valenza.
Quali sono gli altri strumenti, a parte questo che potremmo definire “repressivo”?!
Si deve creare una “immagine” della fruizione del cinema in sala che sia “appealing” anche per le generazioni Z
Come abbiamo sostenuto tante volte – in pubblici consessi ed anche su queste colonne – è indispensabile “ricreare” una immagine della fruizione del cinema in sala che presenti caratteristiche “appealing” soprattutto per le giovani generazioni (in primis le generazioni Z, i cosiddetti “centennial”) è indispensabile una campagna di promozione e marketing che sia impostata in modo evoluto, che utilizzi intensamente i “social media”, che sia stabile e continuativa, dotata di un budget adeguato, nell’ordine di almeno 30 se non 50 milioni di euro l’anno (vedi, tra i vari interventi, “Key4biz” del 18 febbraio 2022, “Cinema, la crisi delle sale risveglia l’associazione degli esercenti”).
Il Ministero dispone attualmente di risorse adeguate: Franceschini può decidere di avviare una simile azione comunicazionale e promozionale, forte dell’arricchimento del Fondo Cinema che è passato dai 400 milioni di euro l’anno del 2017 ai 750 milioni attuali.
È una decisione politica, insomma, e deve essere assunta con forza e con coraggio.
Si deve bandire una gara pubblica nella quale coinvolgere i migliori creativi del sistema pubblicitario italiano, ma anche le migliori intelligenze del cinema stesso (autori, sceneggiatori, attori ed operatori dell’industria cinematografica e audiovisiva).
Si deve costruire intorno al “cinema in sala” una immagine (ed un “sentiment”, come s’usa dire ormai) che sia stimolante, attuale, intrigante.
Chi meglio di coloro che lavorano “nell’immaginario” può ragionare su come stimolare un immaginario attraente della sala cinematografica?!
Perché non promuovere un incontro pubblico di discussione di questa prospettiva, mettendo intorno allo stesso tavolo pubblicitari e “cinematografari”, ma anche esponenti del “broadcasting” televisivo e delle piattaforme?! Da questo incontro, potrebbero scaturire suggerimenti preziosi e suggestioni stimolanti per l’impostazione di una gara nazionale per una campagna ben attrezzata ideativamente e professionalmente.
A proposito di interventi normativo-regolamentativi, riteniamo che un’azione… repressiva debba piuttosto esserci, più che sul fronte delle “finestre” (da solo questo fronte – ribadiamo – è insufficiente), sul fronte della “overdose” pubblicitaria che le piattaforme impongono ormai anche alle emittenti televisive?!
Per una sana ecologia mediale, impedire a Sky e Netflix e Amazon di offrire “cinema in casa” con martellanti campagne pubblicitarie sulle emittenti televisive
Un criterio di sana ecologia mediale dovrebbe determinare che non sia consentito a “player” come Sky Italia e Netflix ed Amazon di acquistare spot pubblicitari in quantità industriale negli spazi più preziosi del palinsesto delle televisioni generaliste, Rai in primis: si ingenera una confusione “intermediale” che spiazza il potenziale fruitore della sala cinematografica.
Se si continua ad impostare (e consentire liberamente) campagne pubblicitarie martellanti che offrono “il cinema in casa”, che speranza si può alimentare nei confronti del ritorno degli italiani nelle sale cinematografiche?!
Riteniamo che questa sia un’area di intervento che, al di là di un auspicabile intervento normativo, potrebbe in qualche modo rientrare sia nella giurisdizione del Ministero della Cultura sia dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazione.
Rai, peraltro, dato il suo ruolo di concessionaria del servizio pubblico, dovrebbe – anche motu proprio – assumere un ruolo assolutamente centrale in una campagna pubblicitaria e promozionale come quella che qui si prospetta: sia a favore del “cinema in sala” sia specificamente a favore del “cinema italiano” in sala.
Su qualsiasi iniziativa, comunque, riteniamo che, dato lo stato emergenziale di crisi acuta, debba prevalere una campagna promozionale robusta moderna continuativa. Da impostare rapidamente, in modo che possa essere avviata con l’autunno di quest’anno.
Clicca qui, per il bando di gara per “uno studio qualitativo e quantitativo sul pubblico cinematografico italiano”, iniziativa della Direzione Cinema e Audiovisivo del Ministero della Cultura, 28 aprile 2022
Clicca qui, per lo studio di ItMedia Consulting, “Le finestre di distribuzione del film nell’industria audiovisiva post Covid. Il caso Italia in una prospettiva internazionale”, 6 giugno 2022
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