Da Key4biz (07/12/2023) Dal Ministero della Cultura alla Rai: quando gli elefanti partoriscono i topolini
Presentate le “Minicifre della Cultura” del Mic e la “nuova” offerta di Viale Mazzini per gli italiani all’estero. Dati frammentari e asettici, dal Ministero. È scomparso dai radar il canale Rai in inglese per l’estero.
Ahinoi, è accaduto esattamente quel che prevedevamo tre giorni fa su queste colonne del quotidiano online “Key4biz”: le due “montagne” (o i due “elefanti” che dir si voglia), rispettivamente il Ministero della Cultura e la Rai Radiotelevisione Italia spa hanno partorito due “topolini”…
Abbiamo assistito – con discreto sconcerto ma ormai anche con storica rassegnazione – a due presentazioni che, in un Paese serio (la Francia?!), non avrebbero avuto senso alcuno: il Ministero della Cultura che presenta un semplice dataset di alcuni indicatori del sistema culturale… come se fosse una grandiosa innovazione; l’impresa di servizio pubblico radiotelevisivo che presenta la propria (deficitaria) offerta per gli italiani all’estero… come se fosse una vera innovazione!
Procediamo con ordine: nella sede centrale del Collegio Romano, il Ministero della Cultura ha presentato il volume “Minicifre della Cultura”, che abbiamo segnalato in anteprima sulle colonne di “Key4biz” lunedì scorso (vedi “Dall’“Atlante delle Imprese Culturali e Creative” della Treccani alle “Minicifre della Cultura” del Ministero: quando la ricerca porta acqua alla conservazione”). Le 210 pagine del libro (non pubblicato da un editore, e quindi è ignota la diffusione che avrà materialmente in libreria) sono state oggetto di una presentazione assai rituale (alcuni intervenienti hanno letto testi preparati), con la vivacità di un bollettino meteorologico… Tutti i relatori non hanno manifestato il minimo approccio critico, se non – lievemente assai e comunque pacatissimo – la moderatrice, la giornalista Marilena Pirrelli del quotidiano confindustriale “Il Sole 24 Ore” ed il Presidente della società di consulenza Cles srl, Alessandro Leon.
Rimandiamo all’intervento di lunedì scorso su queste colonne, ma confermiamo – al di là dell’assenza di una lettura minimamente analitica e critica dei dati – una serie di errori marchiani: ci limitiamo a qui evidenziarne un paio.
Errori marchiani, nonostante il grande sforzo specialistico…
Nel capitolo dedicato alla “spesa pubblica”, vengono proposti i dati sull’andamento della dotazione del Fondo Unico per lo Spettacolo (l’ex “Fus”, ormai denominato “Fondo Nazionale per lo Spettacolo dal Vivo”, ovvero “Fnsv”) dell’ultimo quinquennio, e, separatamente, i dati del Fondo Cinema e Audiovisivo (che, fino al 2016, prima della Legge Franceschini, faceva parte del Fus): non viene proposta una tabella con l’andamento comparato diacronico dei due fondi, e ciò impedisce di comprendere subito quanto negli ultimi anni l’intervento della “mano pubblica” italica nel sistema culturale (specificamente dello spettacolo) sia stato squilibrato a favore del cinema e dell’audiovisivo, a nocumento del settore dello spettacolo dal vivo… Ciò basti.
Come si può “fare ricerca”, se una osservazione così semplice, ed importante, viene ignorata?!
E che dire del considerare, per la fruizione di cinema (in sala), un indicatore di “offerta” come la singola proiezione cinematografica, allorquando il dato corretto – e significativo – è rappresentato ovviamente dalle giornate di proiezione (dato che un singolo cinematografo può, nella stessa giornata, offrire una pluralità di titoli)?!
Questa correzione di rotta era stata già adottata nel 2022 dall’Istituto italiano per l’Industria Culturale, nella elaborazione dell’edizione n° 86 dello storico “Annuario Statistico” della Società Italiana degli Autori e Editori, ovvero nella prima edizione del “Rapporto sullo Spettacolo e lo Sport nel Sistema Culturale Italiano”. Nel 2023, Siae ha affidato al succitato Cles (guidato da Alessandro Leon) ed all’ Associazione Economia della Cultura – Aec (di cui lo stesso Leon è peraltro Segretario Generale) la nuova edizione dell’annuario, col risultato che l’errore interpretativo corretto da IsICult è stato invece riproposto. Non si può confrontare l’offerta di “spettacolo”, tra cinema e teatro e musica e danza… se non confrontando le “giornate di spettacolo”: non la quantità di “spettacoli” offerti!
Potremmo continuare per pagine e pagine, ma il discorso assumerebbe forse un carattere eccessivamente specialistico (…), tipico degli addetti ai lavori, e risparmiamo i lettori di “Key4biz”, per quanto possano essere appassionati al funzionamento – anche strutturale – del sistema culturale.
Ribadiamo quel che abbiamo già scritto: a distanza di dieci anni (!) dall’ultima edizione delle “Minicifre” ministeriali, è apprezzabile che il dicastero abbia deciso di ri-pubblicare ovvero resuscitare questo strumento di raccolta di dati “macro”, ed è apprezzabile che sia stata data una veste dignitosa alla pubblicazione, per quanto con una infografica non granché efficace né evoluta (per esempio: perché usare la bicromia nelle tabelle e nei grafici?!).
Apprezzabile anche la pubblicazione di un sito web dedicato, sebbene anche su questa versione digitale dell’opera ci sarebbe molto da commentare, ma rimandiamo le critiche ad altra occasione.
Iperattivismo dell’Ufficio Studi del Ministero della Cultura? Non ci sembra. E l’Osservatorio dello Spettacolo del Mic è stato de-strutturato, de-potenziato, de-finanziato…
Promosso dal Ministero della Cultura e realizzato dalla Direzione Generale Educazione, Ricerca e Istituti Culturali del Mic (la Dg “Eric”, guidata da Andrea De Pasquale) con la (diretta da Alessandra Vittorini) “Minicifre della cultura” raccoglie i principali dati statistici sulla cultura in Italia.
Tutti i relatori hanno mostrato simpatica autoreferenzialità, a partire dalla dirigente dell’Ufficio Studi del Ministero, Alessandra Franzone (Servizio I della Dg Eric), struttura ministeriale che non ci sembra brilli per attivismo, e la cui sorte è peraltro incerta, allorquando arriveranno presto i decreti ministeriali di attuazione della riforma del funzionigramma del Collegio Romano (decisa dal Ministro Gennaro Sangiuliano), che prevede anzitutto l’eliminazione della figura del Segretario Generale e la creazione di 4 Dipartimenti… E questa mattina è stato citato soltanto en passant un altro ufficio del Mic, quell’Osservatorio dello Spettacolo, che, dalla creazione nel 1985 (con la legge istitutiva del Fus), è stato progressivamente de-strutturato, de-potenziato, de-finanziato, finendo per divenire sostanzialmente una sorta di scatola vuota (dinamica che andiamo denunciando da molti anni, inascoltati).
Questa deriva è avvenuta perché tutti i Ministri che si sono avvicendati da allora non hanno mai creduto nella esigenza di disporre di strumentazioni di conoscenza adeguate alle ambizioni delle loro decisioni di politica culturale, che si sono infatti caratterizzate per approssimazione, deficit di tecnicalità, assenza di valutazioni di impatto: questa è la (triste) vera verità.
Il “data-based policy making” in Italia resta una perfetta chimera.
La filosofia di fondo (malata) è: meno dati si hanno, più il Manovratore può governare indisturbato. Magari sostenuto da una coorte di consulenti passivi e scodinzolanti.
Autorefererenzialità
Autoreferenzialità e finanche narcisismo nelle parole del Segretario Generale, Mario Turetta: la pubblicazione propone “una diffusione libera di informazioni edite e inedite, molte delle quali fornite dallo stesso ministero, e che ne riconsegnano il costante impegno e il crescente contributo scientifico, economico e professionale”. Questo progetto – ha sostenuto il segretario generale del Mic – “rappresenta un traguardo importante, una tappa sostanziale di un percorso di ricerca di cui il Ministro della Cultura si è fatto promotore. Un progetto a cui tengo particolarmente”. Facendo riferimento alla precedente edizione del 2014 (dieci anni fa!), “una ripresa dunque, ma anche un rinnovamento del precedente progetto che si articola non solo in un volume cartaceo e una versione digitale, ma anche in una piattaforma liberamente accessibile su cui poter profilare elaborazioni e dati statisticamente raccolti”… Si tratta di “una restituzione pubblica dei dati sulla domanda, sull’offerta e sulle politiche di settore, in linea con gli indirizzi attuali in materia di condivisione con quanti a diverso titolo interessati degli esiti di azione di studio e ricerca di cui l’amministrazione intende farsi volano, anche in un’ottica di apertura al confronto e alle collaborazioni con le tante realtà che animano l’offerta culturale del Paese. Azioni rese oggi indispensabili per dar luogo a un agire davvero sostenibile a favore del patrimonio e della partecipazione culturale”.
Belle parole, ma – di fatto – le “Minicifre” non aggiungono granché (anzi – va detto – quasi nulla) a pubblicazioni come quelle prodotte, da molti anni, da soggetti come Symbola, Civita, Federculture, Siae. Qui stendendo ancora una volta un velo di pietoso silenzio sulle carenze dell’Istat, che pure istituzionalmente dovrebbe dedicare attenzione adeguata anche al sistema culturale.
Peraltro, i curatori del volume non si sono presi la briga di analizzare – con un minimo di approccio metodologico – la qualità di alcune fonti primarie: quindi, pur recando il marchio ministeriale, il digesto del dataset “istituzionale” proposto non beneficia di una validazione scientifica accurata (vedi l’errore marchiano succitato del considerare le “proiezioni” e non le “giornate” cinematografiche come indicatore dell’offerta, ma tanti altri ce ne sono…).
“Il Sole 24 Ore” scopre, che secondo elaborazioni Inps, gli attori in Italia lavorano mediamente 16 giorni l’anno… e quindi non avranno mai diritto alla pensione
Unica osservazione critica, durante le due ore di presentazione (di fronte ad un centinaio di persone, per lo più studenti), quella manifestata dalla moderatrice ovvero dalla giornalista de “Il Sole 24 Ore”, alla quale è stata concessa una sorta di anteprima (anche se in verità, era stato IsICult su queste colonne a proporre una qualche anticipazione, nell’edizione di martedì scorso, sul rapporto del Mic). La giornalista che ha dedicato sul quotidiano arancione un articolo pubblicato proprio oggi. Ha detto (e scritto) Marilena Pirrelli: “scopriamo per esempio che il numero di giornate medie retribuite secondo Inps ex-Enpals per gli attori sono 16, salgono a 39 per concertisti e orchestrali. Si capisce bene come per tanti giunti all’età della pensione non è possibile prenderla perché non si è maturato il minimo previsto dall’Inps. Vi sono anche casi di attori famosi che hanno dovuto far ricorso alla Legge Bacchelli (fondo a favore di cittadini illustri in stato di necessità)”.
Pirrelli riflette anche sul recente decreto legislativo n. 175 del 30 novembre 2023, col quale è stato introdotto il tetto all’indennità massimo di 4.000 euro, calcolata su una media di 1.500 euro l’anno, più un bonus che un reale riconoscimento di indennità di discontinuità, come promesso dalla legge delega dello spettacolo (la n. 106 del 2022) che prevede (prevederebbe) “il riordino e la revisione degli strumenti di sostegno in favore dei lavoratori del settore nonché per il riconoscimento di nuove tutele in materia di contratti di lavoro e di equo compenso per i lavoratori autonomi…”. Secondo la giornalista, “l’atteso riconoscimento del lavoro di preparazione prima dello spettacolo di musicisti, ballerini e attori, ha visto un piccolo riconoscimento equiparabile forse ai ristori previsti durante il Covid, ma non una vera indennità di discontinuità”.
Interessante osservare come la giornalista della testata confindustriale simpatizzi con “i sindacati dei lavoratori della cultura (in primis la Cgil Slc – Sindacato Lavoratori della Comunicazione, come abbiamo segnalato anche su queste colonne, n.d.r.) che propongono che venga riconosciuto il tempo di lavoro tout court e non si escludono futuri scioperi della categoria”. Al di là di questa (lieve) sortita critica, per il resto dibattito mogio, anzi proprio moscio.
Per le nuove “Minicifre” un budget (pubblico) di 171.000 euro l’anno, per un triennio
I costi dell’iniziativa “Minicifre” non sono stati comunicati, in occasione dell’incontro odierno.
Nel nostro precedente articolo in argomento, avevamo segnalato che “Minicifre” era costato 90.000 euro, apportati dalla Fondazione Beni Attività Culturali, ma abbiamo successivamente approfondito, e abbiamo intercettato la convenzione tra la Fondazione e il Ministero stesso, ed il secondo apporta anch’esso un budget per il progetto, nell’ordine di 50.000 euro, su base annua (nell’economia di una convenzione triennale): quindi, per un totale di 140.000 euro al netto Iva, che alla fin fine determinano un costo totale di 170.800 euro
Quindi “Minicifre” costa allo Stato 171.000 euro l’anno, per 3 anni. Non poco.
A sua volta, i due partner (Fondazione + Ministero) hanno ritenuto di doversi affidare a soggetti esterni, e francamente non se ne comprende la ragione, dato che si immagina che l’Ufficio Studi del Ministero possa disporre delle professionalità necessarie per una simile – non così complessa né ardita – intrapresa di raccolta di dati (in buona parte, di fonte interna al Mic stesso).
Tra il gennaio ed il marzo 2023, è stato pubblicato sul sito web della Fondazione Beni Attività Culturale un avviso pubblico “indagine di mercato preliminare all’affidamento diretto dei servizi specialistici di raccolta e elaborazione dati per il progetto”, e nel marzo l’incarico è stato assegnato – con affidamento diretto – al raggruppamento temporaneo di impresa Cles srl e Pts spa (non è dato sapere quali altri soggetti hanno partecipato all’indagine di mercato), per circa 46.000 euro.
A maggio, è stato effettuato un altro affidamento diretto a Uptoearth srl, per la progettazione della banca dati e la visualizzazione dei dati su piattaforma online, per poco meno di 18mila euro, ed a giugno a TipiBlu (ditta individuale di Andrea Amato) per l’ideazione e la progettazione dell’identità visiva, applicazione web, e progetto editoriale del volume, per poco più di 3mila euro…
Da segnalare che la Fondazione ha poi deciso di stampare 500 copie del tomo, ed in affidamento diretto si è impegnata per 10.400 euro con Stabilimento Tipolitografico Ugo Quintily spa (Roma): costo per copia, un onesto (circa) 21 euro. Non si ha notizia della distribuzione del tomo in libreria.
Procedure burocratiche a parte, tortuosi affidamenti secondo le logiche degli appalti… nonostante il mix tra pubblico e privato, e gli apporti specialistici… in sostanza, l’“elefante” (il Ministero) ha partorito un “topolino” (le Minicifre).
Da segnalare che – nonostante le nostre previsioni – non si sono affacciati alla presentazione delle “Minicifre” né il Ministro Gennaro Sangiuliano né nessuno dei 3 Sottosegretari (Lucia Borgonzoni e Gianmarco Mazzi ed il barcollante Vittorio Sgarbi): tanti impegni? distrazione?! disattenzione?? disinteresse??? Oppure, di queste numerologie non importa loro un fico secco?!
A Via Asiago, la Rai ignora completamente un progetto che era tra i suoi obblighi in base al “contratto di servizio” (ancora vigente): il canale in lingua in inglese per l’estero
A distanza di un paio di chilometri, in contemporanea, la Rai presentava, non nella sede istituzionale di Viale Mazzini, ma nella bella sede di Via Asiago (Radio Rai), la “nuova” offerta per gli italiani all’estero, ovvero circa 6 milioni di cittadini con passaporto italiano che vivono nel mondo, e circa 40 milioni di cosiddetti “oriundi”…
In questo caso, toni pacati ma pregni di ottimismo, e, anche qui, di autoreferenzialità. Nel fascicolo del notiziario “NewRai” edito per l’occasione, ci sono titoli come: “Che numeri!” (a proposito di… numeri) e “Che classe!” (riferito ad una “sit comedy” per imparare l’italiano ridendo e con leggerezza).
Non viene proposto però 1 dato uno sull’audience (reale, non potenziale) delle trasmissioni Rai per l’estero.
Anche qui… toni autoreferenziali ed approccio narcisistico: va tutto bene, anzi benissimo, siamo bravi anzi bravissimi, e la Rai opera alla grande!
Recita il comunicato dell’Ufficio Stampa guidato da Fabrizio Casinelli: “Rai Italia fa un nuovo, fondamentale passo, verso la sua diffusione anche in Europa. E lo fa in grande stile consentendo alla Rai di approdare per la prima volta con le sue trasmissioni in Gran Bretagna e Spagna, due aree geografiche dove la comunità italiana è vasta e molto attenta alle vicissitudini del proprio paese di origine. L’accordo di distribuzione con la World Stream – Il Globo è stato finalizzato da Rai Com e comprende, tra gli altri, anche i territori di Irlanda del Sud, Portogallo, Svizzera, Francia, Belgio, Malta, Grecia, Cipro, Turchia, Romania, Moldavia, Finlandia, Lettonia e Lituania che si aggiungono a Germania, Ungheria e Lussemburgo. La World Stream è parte integrante del Gruppo editoriale di Melbourne “Il Globo”, nato nel 2016 con l’intento di fornire un servizio di informazione cartacea e digitale alle comunità di italiani residenti, in lingua italiana ed inglese ed ha già altri accordi in essere per la distribuzione di Rai Italia in Australia ed America del Sud”.
E questi sarebbero i numeri grandiosi: “la platea del canale della Rai è davvero ampia e, oggi, è visibile in oltre 40 milioni di case raggiunte attraverso piattaforme satellitari, cavo, Iptv e Ott in tutti i continenti. Il suo pubblico nel mondo è rappresentato da oltre sei milioni di italiani (iscritti all’Aire) che vivono e lavorano all’estero, circa ottanta milioni di oriundi e duecentocinquanta milioni di italici”.
E conclude: “numeri capaci di garantire anche la validità del progetto e di centrare appieno gli obiettivi del Servizio Pubblico”.
Numeri, d’accordo, ma potenziali, audience teoriche.
Sarebbe interessante conoscere un qualche dato (suvvia qualcuno…) sull’audience effettiva.
Restiamo convinti che l’offerta della Rai per gli italiani all’estero sia assolutamente insufficiente ed inadeguata, come abbiamo evidenziato anche in un saggio curato da IsICult pubblicato l’anno scorso nell’edizione 2022 del “Rapporto Italiani nel Mondo” (il cosiddetto “Rim”), il testo di riferimento sulla situazione dei nostri connazionali nel mondo, curato dalla Fondazione Migrantes della Cei (Conferenza Episcopale Italiana): “Rai non rende pubblico però nessun dato sulla audience realmente raggiunta (con buona pace di una cultura di rendicontazione trasparente e di valutazione di impatto). E non a caso, in occasione di ogni convegno a Roma di rappresentanti degli italiani all’estero, da anni ed anni viene lamentato il disservizio e la pochezza dell’offerta Rai nel mondo. Alcuni considerano Rai Italia una sorta di “canale-fantasma”. Eppure, la stessa Rai simpaticamente si riferisce all’audience (potenziale!): «[…] quasi sei milioni di italiani residenti all’estero, tra 60 ed 80 milioni di oriundi e circa 250 milioni di italici che apprezzano e seguono lo stile di vita italiano e ne condividono i valori di fondo» (vedi il contributo “I media e gli italiani all’estero: un inquietante fenomeno di sotto-rappresentazione, risorse economiche inadeguate e effimera sensibilità politica”).
No comment.
Ed oggi ben due esponenti del Governo hanno manifestato il loro plauso: si tratta addirittura del Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale Antonio Tajani (Forza Italia) e del Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri Alberto Barachini (Forza Italia). Tanti complimenti all’Amministratore Delegato Roberto Sergio ed al Direttore Generale Giampaolo Rossi, ed ovviamente a Fabrizio Ferragni, Direttore Rai Offerta per l’Estero.
E – come prevedevamo (temevamo) – non 1 parola una sul canale in inglese per l’estero che Rai avrebbe dovuto (anzi “dovrebbe”, perché il contratto di servizio 2018-2022 è paradossalmente ancora in vigore, anche perché il nuovo, pur approvato dalla Commissione Vigilanza Rai presieduta dalla grillina Barbara Floridia ormai oltre due mesi fa non è stato ancora firmato…) lanciare da anni: scomparso dai radar di viale Mazzini, seppellito nel cimitero delle belle intenzioni…
A conferma che il “contratto di servizio” tra Rai e Ministero per le Imprese e il Made in Italy non è un contratto, ma una mera dichiarazione di intenti, una simpatica stretta di mano. Sul tema, si rimanda al nostro intervento di un anno fa su queste colonne: “Rai rilancia l’offerta per l’estero ma seppellisce il canale in lingua inglese”, su “Key4biz” del 22 novembre 2022…
Tutto va bene, Madama la Marchesa…
Da non crederci. Ma è purtroppo reale.
Clicca qui per il file in formato. pdf di “Minicifre della Cultura”, Ministero della Cultura – Fondazione per i Beni e le Attività Culturali, presentato al Collegio Romano, Mic, Roma, 6 dicembre 2023
Clicca qui per il sito web dedicato del progetto “Minicifre della Cultura”, Ministero della Cultura – Fondazione per i Beni e le Attività Culturali, presentato al Collegio Romano, Mic, Roma, 6 dicembre 2023
Clicca qui per l’edizione monografica di “NewsRai” dedicato alla presentazione Rai di “Un mondo d’Italia. Nuovi mercati, nuovi originals”, Via Asiago, Rai, Roma 6 dicembre 2023
[ Nota: questo articolo è stato redatto senza avvalersi di strumenti di “intelligenza artificiale. ]
(*) Angelo Zaccone Teodosi è Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult (www.isicult.it) e curatore della rubrica IsICult “ilprincipenudo” per “Key4biz”.
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