Approvato il “bilancio di esercizio” 2018 Rai (in pareggio) ed anche la seconda edizione del “Bilancio Sociale”, ma in verità si tratta del “documento di informazione non finanziaria”: sostanzialmente ignorato il “Contratto di Servizio” e’ 2018-2022.

Nella giornata di giovedì 9 maggio 2019, il Consiglio di Amministrazione di Viale Mazzini avrebbe dovuto procedere all’approvazione di una serie di nomine di dirigenti apicali, dopo aver approvato il “bilancio di esercizio” 2018 ed il “Bilancio Sociale” nella sua seconda (ovvero – di fatto – terza) edizione.

Le nomine sono state rimandate alla prossima riunione (e verosimilmente slitteranno al dopo Elezioni Europee del 26 maggio), ma i due bilanci sono stati approvati.

Per quanto riguarda il progetto di bilancio 2018, si osserva che curiosamente non sono stati esplicitati i dati, ma soltanto le variazioni, una modalità espositiva eccentrica: non viene indicato il totale dei ricavi, bensì il “delta” sull’esercizio precedente.

Perché questa scelta eterodossa?! È stato rivelato che l’esercizio 2018 registra un risultato netto consolidato “in pareggio” (rispetto a un utile di 14 milioni di euro nel 2017) e una posizione finanziaria netta negativa, attestata su livelli di sostenibilità, di circa 285 milioni di euro (quasi 210 milioni di euro nel precedente esercizio). Strane modalità informative.

Rai segnala che, in particolare, sul fronte dei ricavi, una riduzione complessiva nell’ordine di 46 milioni di euro, cui hanno concorso i canoni, la pubblicità e, in misura più contenuta, i ricavi commerciali (oh, perbacco!); sul versante dei costi, quelli esterni, a perimetro omogeneo, da un lato beneficiano di razionalizzazioni per quasi 20 milioni di euro e, dall’altro, scontano un “rafforzamento selettivo dell’area digital” (cioè?!). Quelli per il personale, sempre in termini omogenei, presentano una leggera flessione, portando la contrazione dei costi operativi a complessivi 24 milioni di euro. Numerologia invero criptica, evocata dal redattore del comunicato con finalità incomprensibili. Proposti così, questi dati sono sostanzialmente privi di significato. Attendiamo di leggere il documento, ovvero il bilancio, non appena verrà reso pubblico sul sito web di Viale Mazzini. Nel mentre, prendiamo questi dati per quello che sono…

Ci interessa qui concentrare l’attenzione sul “Bilancio Sociale”, perché esso dovrebbe (potrebbe) essere il vero strumento di “verifica” della rispondenza della Rai ai suoi obblighi di servizio pubblico.

È una tematica delicata ed importante in sé, e sicuramente appassionante per chi redige queste noterelle, perché pochi mesi prima della scadenza del suo mandato, nella nostra veste di consulenti Rai, suggerimmo alla allora Presidente Anna Maria Tarantola (in carica dal giugno 2012 all’agosto 2015) di promuovere una prima edizione del fino ad allora mai realizzato “Bilancio Sociale” Rai: toccammo corde sensibili, anche perché Tarantola si era interessata della questione quando era stata alla guida della Banca d’Italia (è stata Vice Direttrice Generale fino al 2012). Si ricorda che nel 2014 Banca d’Italia ha pubblicato la prima edizione del suo “Rapporto ambientale”.

Fu quindi realizzato il cosiddetto “numero zero” del “Bilancio Sociale” Rai, e fu presentato in pompa magna, di fatto a mo’ di ultimo atto pubblico del duo Anna Maria TarantolaLuigi Gubitosi (Dg): eravamo nell’estate del 2015, il Bilancio Sociale presentato era riferito ovviamente all’esercizio 2014, e ne scrivemmo con dovizia di particolari anche su queste colonne (vedi “Key4biz” del 29 luglio 2015, “Il numero zero del ‘Bilancio Sociale’ Rai: più ombre che luci”).

Il Bilancio Sociale Rai “numero zero” è curiosamente ancora ben visibile online, dato che esiste uno specifico sito web così intitolato (www.bilanciosociale.it), che però reca soltanto quella edizione di 4 anni (quattro anni) fa.

Possiamo farci vanto di essere stati tra i primi in Italia ad aver posto la questione dell’esigenza di un “Bilancio Sociale” per la Rai (clicca qui, per leggere la nostra “Lettera aperta al nuovo Cda della Rai”, su “Millecanali” di dieci anni fa): scrivevamo nel marzo del 2009, “deve essere comunque redatto un Bilancio Sociale (da inviare per via postale a tutti gli abbonati), con documentazione accurata che evidenzi in modo chiaro e netto “cosa” è finanziato dal canone, in quale proporzione e soprattutto per quale ragione”…

La questione “Bilancio Sociale” non sembra purtroppo aver suscitato l’interesse dell’allora Direttore Generale Antonio Campo Dall’Orto (insediatosi il 6 agosto 2015) ed è finita purtroppo su un… binario morto, ma Rai ha continuato (sulla carta, ma anche a livello di risorse professionali e budget) a lavorarci, nelle ovattate stanze del Settimo Piano, nel silenzio più totale.

Può peraltro sembrare incredibile, ma incredibile non è, perché, a distanza di tre anni, Viale Mazzini ha “pubblicato” la prima inedita edizione del “Bilancio Sociale”, ma assegnandogli zero attenzione, e zero visibilità: non fu diramato nemmeno un comunicato stampa, e la notizia non è stata degnata di alcuna attenzione mediatica, anche perché Rai si è limitata a “inserirlo” nell’elenco dei documenti della sezione “Trasparenza” (che certo non godono di audience… di massa).

Unica testata giornalistica ad aver reso nota l’avvenuta pubblicazione è stata giustappunto “Key4biz”, a metà novembre del 2018: vedi l’articolo “Bilancio Sociale Rai 2017, di male in peggio” (edizione del 16 novembre 2018).

Più esattamente, il primo (sedicente) “Bilancio Sociale” della Rai è stato formalmente approvato l’11 giugno 2018, e reca la firma della allora Presidente Monica Maggioni (in carica dall’agosto 2015 al luglio 2018) e dell’allora neo Direttore Generale Mario Orfeo: la decisione di mantenerlo come documento semi-clandestino potrebbe essere stata co-determinata dalla volontà del direttore entrante di non accendere i riflettori sul predecessore. Peraltro, il Dg Mario Orfeo è entrato formalmente in carica il 9 giugno 2018, mentre Antonio Campo Dall’Orto era cessato dall’incarico il 6 giugno…

Rimandiamo al succitato nostro articolo di commento critico: come si evince dal titolo, l’evoluzione del “Bilancio Sociale” – dal “numero zero” del 2014 alla “prima edizione” del 2017 – poteva essere sintetizzata con un “di male in peggio”.

In sostanza, è stata messa in atto una sorta di “distrazione” confusionale: non a caso, la copertina del documento di 136 pagine, affidato alla consulenza esterna della multinazionale Deloitte, recava a chiare lettere, come titolo: “Dichiarazione consolidata di carattere non finanziario redatta ai sensi del D.Lgs. 254/16”, e, poche righe dopo, “Bilancio Sociale”.

In sostanza, s’è finito per confondere – inconsciamente?! – mere e pere.

La “Dichiarazione consolidata di carattere non finanziario” – alias “Dnf” – non è infatti un sinonimo di “Bilancio Sociale”, bensì un obbligo introdotto dalla legge, a fine 2016, per alcune imprese e gruppi di grandi dimensioni, anzitutto quelle quotate in borsa.

Nel caso in ispecie della Rai, nel suo status di “Ente di interesse pubblico rilevanti” alias “Eipr”.

In  buona  sostanza,  gli  “Eipr”  sono  gli  enti  di  interesse  pubblico  che  risultano    “grandi  imprese”  o società-madri  di  un  “gruppo  di  grandi  dimensioni”, ai  sensi,  rispettivamente,  degli  indicatori dimensionali previsti dalla Direttiva  2013/34/Ue3,  per  i  quali  il  parametro  dimensionale  relativo  al  numero  medio  dei dipendenti è stato innalzato da “superiore a 250” a “superiore a 500” (primo requisito) e (secondo requisito) un totale dello stato patrimoniale di 20 milioni di euro oppure un totale dei ricavi netti delle vendite e delle prestazioni di 40 milioni di euro.

Al dicembre 2018, le società che hanno pubblicato la “dichiarazione di carattere non finanziario” erano poco più di 200, come evidenziato sul sito della Consob. Tra queste oltre 200, certamente la controllata Rai Way s.p.a., in quanto quotata in borsa, e la controllante Rai s.p.a., classificata da Consob giustappunto come “ente di interesse pubblico rilevante” obbligato.

La normativa vigente prevede che ciascuna “Dnf” redatta dalle imprese debba riportare informazioni qualitative che descrivano il modello di business adottato, le attività aziendali messe in atto, tra le quali anche quelle non prettamente di natura economico-finanziaria, così come i principali rischi gestionali, generati o subiti dall’impresa. 

Le “Dnf” devono inoltre rendicontare informazioni riguardo le performance di carattere ambientale (per esempio, utilizzo di risorse energetiche, idriche, emissioni di gas serra), di carattere sociale e riguardanti la gestione del personale (per esempio, dati e politiche relativi alla parità di genere), e ancora debbono contenere informazioni riguardanti le politiche adottate dall’azienda a tutela dei diritti umani e per la lotta contro la corruzione.

Domanda: un “Bilancio Sociale” ed una “dichiarazione non finanziaria” sono la stessa cosa? La risposta è univoca: no.

Il primo è uno strumento che si rivolge alla collettività tutta, in primis certamente agli “stakeholder” dell’impresa (nel caso in ispecie, i telespettatori ovvero potenzialmente tutta la popolazione).

La seconda è uno strumento informativo-documentativo che deriva comunque da un approccio economico-finanziario (anche se tratta di questioni che vanno “oltre” lo specifico economico)…

L’errore, nel caso Rai, è determinato dall’aver voluto confondere, nell’edizione 2017 (la prima), i due livelli, e – soprattutto – dall’aver ignorato il dettato del “Contratto di Servizio” e’ 2018-2022.

Il contratto prevede (art. 25, comma 1, lettera l.): “Bilancio Sociale: la Rai è tenuta a presentare al Ministero, alla Commissione e all’Autorità, entro quattro mesi dalla conclusione dell’esercizio precedente, un Bilancio Sociale, che dia anche conto delle attività svolte in ambito socio-culturale, con particolare riguardo al rispetto del pluralismo informativo e politico, alla tutela dei minori e dei diritti delle minoranze, alla rappresentazione dell’immagine femminile e alla promozione della cultura nazionale. Il Bilancio Sociale dà altresì conto dei risultati di indagini demoscopiche sulla qualità dell’offerta proposta così come percepita dall’utenza e della corporate reputation della Rai”.

Si voglia notare che il “Bilancio Sociale” Rai va presentato al Ministero dello Sviluppo Economico (Mise), alla Commissione bicamerale di Vigilanza ed all’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (Agcom).

Non alla Consob, come invece avviene per la “Dichiarazione non finanziaria”.

Non si tratta di un raffinato sofisma, bensì di una radicale differenza concettuale e culturale.

Gli obiettivi dei due documenti sono soltanto parzialmente sovrapponibili, perché il primo (“Contratto di Servizio)” ha una funzione strategica di tipo sociale, il secondo (“Dnf”) ha una funzione di trasparenza soprattutto in termini economico-finanziari.

Rimandiamo ad un nostro intervento su queste colonne, per comprendere la genesi del “Bilancio Sociale”: si veda “Key4biz” del 7 aprile 2017, “Concessione Stato-Rai: il Bilancio Sociale diventa obbligatorio”. Ricordiamo che l’iniziativa del “Bilancio Sociale” si deve soprattutto all’ex Capo Gruppo del Gruppo Misto di Montecitorio, Pino Pisicchio (che è tra l’altro docente universitario di mediologia).

In qualche modo intimamente collegata alla questione del “Bilancio Sociale” è la questione dell’“indice di coesione sociale”, anch’esso introdotto dal “Contratto di Servizio” e’ 2018-2022.

Così definisce art. 25, comma 1, lett. o), la “Coesione sociale: la Rai è tenuta a dotarsi di un sistema di analisi e monitoraggio della programmazione che sia in grado di misurare l’efficacia dell’offerta complessiva in relazione agli obiettivi di coesione sociale di cui all’art. 2, comma 3, lettera a), anche attraverso l’elaborazione di specifici dati di ascolto”.

La lettera a.) dell’articolo 2 comma 3, prevede che Rai debba: “raggiungere i diversi pubblici attraverso una varietà della programmazione complessiva, con particolare attenzione alle offerte che favoriscano la coesione sociale”.

Questi obiettivi sono stati rispettati nella prima edizione del clandestino “Bilancio Sociale” Rai?! No.

Il Consiglio di Amministrazione Rai, nella riunione del 9 maggio 2019, ha approvato la seconda edizione del “Bilancio Sociale”: questa volta, la notizia è stata ritenuta degna di… pubblicazione, se è vero che il comunicato stampa di Viale Mazzini dedica non poca attenzione al documento: 37 righe per il “bilancio di esercizio” e 17 righe al “Bilancio Sociale”!

Si legge: “Nel corso della seduta del Cda è stato anche approvato il Bilancio Sociale e la Dichiarazione consolidata di carattere non finanziario 2018 ai sensi del decreto legislativo 254/16 e del Contratto di Servizio 2018-2022 che rappresenta una fotografia di quanto fatto da Rai nel corso dell’anno e di quanto sta facendo sul percorso della sostenibilità”. Si noti – ancora una volta – la convergenza e quindi confusione tra il decreto legislativo ed il Contratto di Servizio: si ribadisce che sono due fonti “normative” (in senso lato) radicalmente differenti, autonome, indipendenti.

Si teme quindi che nell’edizione del 2018 del “Bilancio Sociale” sia stato riprodotto l’errore del 2017: è un errore anzitutto di approccio metodologico ma soprattutto culturale.

Si legge ancora nel comunicato: “Tra i temi più rilevanti trattati, oltre alla matrice di materialità e al coinvolgimento degli stakeholder, vi è la rappresentazione dell’offerta radiotelevisiva e multimediale in correlazione agli obiettivi per lo sviluppo sostenibile dell’Agenda Onu 2030”. Anche qui, si rinnova l’errore ovvero la confusione.

Chiude così Viale Mazzini: “Il Bilancio Sociale dimostra come l’offerta del Gruppo Rai proponga nel suo palinsesto e nella sua programmazione quotidiana molteplici spazi e momenti di riflessione sui temi della sostenibilità sotto il profilo sociale, economico e ambientale. Un’attenzione particolare è poi riservata ai temi che riguardano inclusione e accessibilità, la responsabilità sociale, la programmazione per le diverse abilità, l’eguaglianza di genere, l’attività svolta a sostegno delle associazioni del Terzo settore, la programmazione per le minoranze linguistiche, l’impegno alla tutela dei diritti umani e il contrasto ad ogni forma di discriminazione”.

Sarà interessante sottoporre il “Bilancio Sociale” Rai 2018 ad una attenta analisi ed approfondita radiografia: a naso, si nutre l’impressione che esso riproponga l’errore – concettuale, tecnico, culturale – commesso nel 2017.

Si tratta di una ennesima conferma della “deriva commerciale” del “public service media” italiano: confondere il “Bilancio Sociale” con il “Documento Non Finanziario”. Un sintomatico asservimento (o comunque subordinazione) della dimensione “sociale” alla dimensione “mercantile”.

In relazione all’“indice di coesione sociale”, sarà interessante verificare se Rai si è dotata di una strumentazione adeguata e multidimensionale, previa indispensabile analisi del concetto stesso di “coesione sociale” (sull’argomento si rimanda – da ultimo – a “Key4biz” del 9 maggio 2019, all’articolo di Andrea Melodia, “Coesione sociale Rai, un punto di partenza per far ritornare competitivo il servizio pubblico”). Sarà interessante comprendere la metodologia adottata.

Conclusivamente, al di là dell’affidamento a Deloitte & Touch dell’incarico per l’elaborazione del “Bilancio Sociale / Dnf” 2018 per la parte contenutistica, ed alla Ergon Com per l’architettura grafica, si segnala che il 15 aprile scorso, l’Amministratore Delegato Fabrizio Salini ha apposto la sua firma su un contratto che aumenta da 1 milione ad 1,2 milioni di euro l’impegno economico della Rai per i “servizi di consulenza strategica per lo sviluppo e l’implementazione di progetti industriali del Gruppo Rai” affidati alla Boston Consulting Group srl: si tratta di un + 200.000 euro, ovvero di una integrazione di quanto previsto dall’accordo quadro di consulenza strategica, che va dal 24 settembre 2018 al 23 settembre 2020, che aveva come importo-base giustappunto 1 milione di euro.

Permane il quesito di sempre: possibile che queste elaborazioni non siano proprio realizzabili… “in house” a Viale Mazzini???

E ciò vale ancor più per il “Bilancio Sociale”, che, se non fosse “confuso” con la “Dichiarazione Non Finanziaria”, non richiederebbe l’apporto di una delle multinazionali della revisione, qual è il caso della Deloitte per il “Bilancio Sociale + Dnf”. Mentre il “bilancio di esercizio” ed il “consolidato” della Rai sono affidati – si ricordi – alla Pwc.

Peraltro, proprio per non farsi mancare niente, il “Bilancio Sociale + Dnf” affidato alla Deloitte, registra anche un superiore intervento della Pwc, che ha dovuto certificare l’avvenuta rispondenza della “Dnf” a quanto previsto dal decreto legislativo del n. 254 del 2016 (formalmente, si tratta di una relazione cosiddetta “esame limitato”, ovvero “limited assurance engagement”). Come dire?! Pwc certifica quel che Deloitte ha elaborato: certificazioni e revisioni… “ad abundatiam”. Si ricorda che le “Big 4” del mercato mondiale – e quindi nazionale – del business della revisione (e spesso della “conseguente” consulenza strategica) sono Pwc alias PriceWaterhouseCoopers, Deloitte & Touche, E&Y alias Ernst & Young, Kpmg. Ed ora non sono pochi coloro che si pongono dubbi profondi sul loro (stra)potere nell’economia planetaria.

Torneremo presto sull’argomento del “Bilancio Sociale”.

Nel mentre, si annuncia per lunedì 20 maggio una grande kermesse a Roma, promossa dall’Amministratore Delegato Fabrizio Salini, di presentazione del famoso “piano industriale”, che quindi sarebbe destinato a passare dall’attuale status di documento “segreto” (o comunque “a esclusiva circolazione interna”), a… fonte aperta!

Era ora, essendo stato approvato il 6 marzo scorso: vedi “Key4biz” del 6 marzo 2019, “Oggi in cda il piano industriale 2019-2021, con l’assetto ‘content-centric’ e le nuove 9 direzioni.

Ne siamo lieti (abbiamo sempre sostenuto che il “piano industriale” dovesse essere un documento pubblico), e non possiamo che augurarci che l’iniziativa del 20 maggio non sia una operazione promozionale autocompiaciuta (vogliamo sperare non divenga una kermesse narcisistica come la presentazione dei palinsesti), ma possa divenire una occasione di dibattito pubblico, aperto, approfondito, ampio, plurale… Un laboratorio di confronto con la società civile e non una operazione autopromozionale.

Da rimarcare che, finora, nessuno sembra essersi interessato realmente alla tematica sul futuro della Rai, fatta salva l’eccezione del “think tank” informale promosso dal gruppo di lavoro denominatosi “Visioni2030”, promosso da Marco Mele e Patrizio Rossano, le cui riunioni vengono ospitate in seno all’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, grazie alla disponibilità dei commissari Mario Morcellini ed Antonio Nicita.

Nel deserto politico-sindacale-culturale rispetto alla Rai – nell’ultimo anno almeno –, il gruppo di lavoro di “Visioni2030” si pone veramente come “rara avis”, anzi come paradossale “monopolista” di un dibattito che invece merita grande attenzione, per il futuro del servizio televisivo pubblico e finanche del Paese stesso (anzitutto della sua democrzia). Una riflessione strategica necessaria che è in verità ben più importante della nuova/vecchia sceneggiata delle nomine lottizzate che purtroppo continua a dominare le pagine di gran parte dei giornali.

Link all’articolo originale>