Da Key4biz (16/10/2020): Rapporto Apa su Produzione Audiovisiva in Italia: ‘trend positivo’ ma approccio acritico e deficit strategico
Mercoledì scorso 14 ottobre ha preso il via a Roma la 6ª edizione del Mercato Internazionale dell’Audiovisivo (Mia) e ieri giovedì 15ª edizione della Festa del Cinema, eventi caratterizzati entrambi da una rigidità logistico-organizzativa che ne snatura il senso e la funzionalità.
Le iniziative promosse dal Mia sono molte, le proiezioni ed i “pitch” altrettanti, in una baraonda di offerta nella quale è difficile districarsi. Alcune iniziative sono aperte agli operatori ma precluse ai giornalisti (è il caso – tra gli altri – di “What’s Next Italy”, una sorta di “preview” di opere in fase di conclusione produttiva non ancora “lanciate” sul mercato), ed anche questo limite suscita dubbi, perché – di grazia – non abbiamo a che fare con “segreti industriali”, e forse dovrebbe prevalere il sano principio (anche in chiave di marketing) che è bene si parli (e si scriva) di qualsiasi opera in gestazione…
Il 2° Rapporto Apa sulla produzione audiovisiva in Italia: trend positivo, stime su dati non validati
L’iniziativa più interessante della seconda giornata del Mia (ieri giovedì 15 ottobre) è stata la presentazione del “2° Rapporto sulla produzione audiovisiva nazionale”, una sorta di zibaldone di dati promosso dalla confindustriale Associazione Produttori Audiovisivi – Apa (già Apt, Associazione Produttori Televisivi), presieduta da Giancarlo Leone (già potente dirigente apicale della Rai): un digesto di dati senza dubbio interessanti, ma disomogeneo e parcellizzato (alcune sezioni sono state curate dalla eMedia di Emilio Pucci, alcune dall’Ofi di Milly Buonanno, etcetera), non validato metodologicamente. Comunque, in assenza di studi più accurati, ben venga anche questa proposta di dati ed analisi.
Anche questa ricerca è però un esempio di studio… “finalizzato”, ovvero di una ricerca sostanzialmente eterodiretta: il committente chiede al consulente di produrre dati ed analisi funzionali alle proprie tesi (ed il consulente prono si presta). Si tratta di una modalità di azione che altera il principio di indipendenza che dovrebbe caratterizzare – in un habitat sano – l’attività dei ricercatori e dei consulenti, ma in Italia è ormai da anni – soprattutto nell’ambito culturale e mediale – la prassi prevalente, anzi quasi esclusiva. La “ricerca indipendente” è ignorata, servono semplicemente consulenti che si prestino a fungere da portatori d’acqua.
Il 2° “Rapporto Apa” conferma questa impostazione, e se ne è avuta riprova nel “panel” che ha discusso i risultati della ricerca, nel quale veramente si è assistito ad una messa in scena curiosa, nell’avvicendamento (quasi una circolarità!) dei ruoli di una raffinata “compagnia di giro”: Giancarlo Leone (ex dominus Rai) che manifesta un “assist” un po’ surreale a Salini (attuale dominus Rai), con la benedizione di Eleonora Andreatta (attuale domina Netflix Italia, ma per un decennio domina della fiction di Viale Mazzino), e di Nicola Maccanico (dominus di Sky Italia, ma già alla guida di Warner)…
Si dirà: eccellenti manager, che semplicemente si avvicendano alla guida delle principali imprese del settore, e “sliding doors”…
Salini, Leone, Andreatta, Maccanico, Casini: un incontro lobbistico rituale?!
Per chi – come chi redige queste noterelle – osserva da decenni l’economia, la struttura ma anche la “sovrastruttura” (la coreografia, finanche) – del settore culturale italiano, è inevitabile un sorriso (amaro o ironico che sia), allorquando il Presidente Apa Giancarlo Leone lancia “un appello” affinché vengano riconosciuta alla Rai le quote dell’extra-gettito del canone, “ingiustamente sottratte da anni”.
Sacrosanta tesi, quella di Leone, con il piccolo dettaglio che poi Apa – “naturalmente” – si attende che parte significativa dell’extra-gettito venga allocata a favore della produzione…
Senza che si discuta del perdurante strapotere – contrattuale e sostanziale – della Rai nel rapporto con la produzione indipendente…
Senza che nessuno si domandi il “perché” di una Rai che trasmette (dati dell’ultima stagione) i tre quarti del totale nazionale dell’offerta di “fiction” italiana…
Senza che nessuno si domandi qual è la vera situazione di mercato di decine e decine di imprese audiovisive di medie e piccoli dimensioni, a fronte dello strapotere di poche imprese “leader” di mercato…
L’incontro al Mia è parso una sorta di balletto di cortesie, una ritualità lobbistica: il Presidente dell’Apa domanda all’Amministratore Delegato della Rai quando verrà nominato il nuovo Direttore della Fiction (l’incarico resta da mesi “ad interim” nelle mani di Salini), e la domanda avviene in presenza di colei che la fiction Rai ha diretto fino a pochi mesi fa ed ora lavora per Netflix (l’incarico formale di Andreatta è “Vice President Original Series” di Netflix Italia)… Fabrizio Salini risponde in modo simpaticamente elusivo – con la sua abituale retorica e prossemica di “understatement” – ma prospetta che almeno il “piano editoriale” della fiction per il 2021 vedrà la luce “entro Natale”. Bene, grazie.
Tutti i partecipanti si inchinano di fronte all’alter ego del Principe, il giovane (classe 1976) avvocato Lorenzo Casini, Capo di Gabinetto del titolare del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo Dario Franceschini: è lui “la mente” delle iniziative ministeriali a favore del sistema cinematografico e audiovisivo, il grande regolatore dei “cordoni della borsa” (assieme al Segretario Generale Salvo Nastasi ed al Direttore del Cinema e dell’Audiovisivo Nicola Borrelli) che sono stati allargati sempre più nel corso degli ultimi anni (a partire dal 2017, con l’entrata in vigore della “legge Franceschini)… Casini ha assicurato che il governo continuerà a garantire risorse, che negli ultimi sei anni – ha ricordato – sono triplicate. “Lo strumento del tax credit ha funzionato benissimo – ha sostenuto il Capo di Gabinetto – ma credo che la sfida del futuro sia superare il tax credit, avvicinandosi al modello francese, nel quale non ci sia un inseguimento continuo di risorse. È un settore in cui la programmazione non può essere condizionata dai tempi in cui lo Stato decide che ci sono risorse aggiuntive…”. Siamo d’accordo sull’esigenza che l’industria non debba stare sempre con il cappello in mano in anticamera del Principe: una industria sana dovrebbe peraltro agire sulla leva dell’autofinanziamento: domanda imbarazzante: quanto “capitale di rischio” c’è veramente nel sistema italiano dell’audiovisivo?!
Ci domandiamo però sulla base di quali dati ed analisi il Capo di Gabinetto del Ministro Franceschini possa sostenere che “il tax credit ha funzionato benissimo”, ma forse egli dispone di studi e ricerche non resi di pubblico dominio, che gli consentono una così positiva affermazione: sarebbe utile che essi vengano messi a disposizione della comunità professionale.
Complessivamente, il 2° Rapporto Apa: una ricerca debole, un dibattito rituale.
Qualche dato estrapolato dal Rapporto, seppur con tutta la prudenza del caso?! Nel 2018, il comparto avrebbe raggiunto un valore di 1,2 miliardi di euro, registrando un incremento pari circa al 14 % rispetto al 2017; per quanto riguarda il 2019, le stime parlano di una crescita che innalzerebbe il valore a circa 1,3 miliardi di euro.
In termini di fatturato, la produzione audiovisiva evidenzia anche nel 2018 un primato della fiction (film-tv, serie, mini-serie, sit-com, telefilm, soap-opera…) destinata alle televisioni e ai servizi di streaming. Si stima che dalla fiction derivi un valore di produzione di 443 milioni di euro. mentre dai film cinematografici derivano 382 milioni.
Vengono identificate come tendenze positive l’espansione delle attività di “M&A” (fusioni ed acquisizioni, ovvero “mergers and acquisitions”), che vedono, da un lato, l’aggregazione fra le imprese nazionali e, dall’altro, l’ingresso dei gruppi esteri che mirano a un presidio esteso e sempre più globale… Ci si domanda se l’acquisizione di imprese italiane da parte di gruppi stranieri possa essere considerata realmente (al di là della retorica sulla “globalizzazione”) una dinamica “positiva”, per il tessuto economico della produzione italiana…
Considerati positivi gli effetti del “tax credit” per il prodotto televisivo, come leva per lo sviluppo del settore e la crescita significativa della committenza degli operatori “VoD”, il cui valore sarebbe stato pari a 50 milioni nel 2018 e avrebbe superato i 70 milioni nel 2019. Anche in questo caso, si tratta di stime e di valutazioni da prendere con le pinze, perché – ribadiamo – nessuno ha finora mai realizzato in Italia una ricerca sulle ricadute del “tax credit” e sulla efficacia di questo strumento: certo, apparentemente “tutti” sono lieti di questa strumentazione, ma si nutre il timore che essa sia andata a beneficiare soprattutto le grandi imprese, e ben poco abbia sostenuto i piccoli produttori indipendenti.
Totale assenza di dati (e strategie) per l’export del “made in Italy” audiovisivo
Secondo il Rapporto Apa, anche l’“export” audiovisivo italiano sarebbe in crescita, e qui casca l’asino: sulla base di quali fonti, si elabora un simile parere? Se ci si affida alla nasometria, è forse vero, ma si denuncia – ancora una volta – che non esiste una stima minimamente attendibile dell’esportazione del “made in Italy” audiovisivo. Incredibile, ma vero. Totale assenza di stime.
Ci si domanda quindi con quale criterio si teorizza di sostegno all’esportazione – così mercoledì anche la Sottosegretaria al Mise Mirella Liuzzi (M5S)intervenendo al Mia – allorquando lo Stato italiano non dispone di dati ed analisi in materia: belle intenzioni ed apprezzabili auspici, a fronte di un deficit cognitivo totale.
Purtroppo anche l’accademia italica non affronta di petto la questione: è fresco di stampa un utile saggio curato da Massimo Scaglioni (ordinario alla Cattolica di Milano, ove insegna “Economia e Marketing dei Media”), intitolato “Cinema made in Italy. La circolazione internazionale dell’audiovisivo italiano” (Carocci, 266 pagine, 28 euro), dedicato a queste tematiche in chiave soprattutto economica, ma stranamente senza dedicare attenzione alle dinamiche di fatturato dell’esportazione di immaginario italiano. La ragione è verosimilmente la stessa: deficit, anzi assenza di dataset.
E, ancora una volta, ci si domanda: che senso hanno iniziative come il Mercato Internazionale dell’Audiovisivo (ed anche la Festa del Cinema di Roma), in assenza di una vera strategia di promozione internazionale del cinema e dell’audiovisivo italiano?! Cosa combina, “in argomento”, Istituto Luce Cinecittà? Poco e male. Ed altresì dicasi dell’Ice, l’Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane. Anch’essa: poco e male.
E perché non si ragiona piuttosto sulla costituzione di una “agenzia” governativa ad hoc, in partenariato tra Mibact e Maeci (Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale), magari dopo aver adeguatamente studiato le caratteristiche del mercato audiovisivo internazionale?!
Indimenticato resta un tentativo di una decina di anni fa: la Regione Lazio (sotto la giunta di Piero Marrazzo, in carica dal maggio 2005 all’ottobre 2009) costituì effettivamente una agenzia “ad hoc”, la Fondazione Lazio per lo Sviluppo dell’Audiovisivo già Fondazione Rossellini per l’Audiovisivo (presieduta da Francesco Gesualdi), che ambiva a divenire giustappunto un’agenzia nazionale per l’export audiovisivo italiano. Fu anche promosso, nel 2009, un avanguardistico Osservatorio Internazionale sull’Audiovisivo e la Multimedialità “Roberto Rossellini” (Iamo), iniziativa in partenariato dell’IsICult – Istituto italiano per l’Industria Culturale e la Luiss – Business School. Entrambe le iniziative – la Fondazione e l’Osservatorio – furono smantellati nel 2012, nel solito “passaggio di consegne”, con l’arrivo di Renata Polverini alla guida della Regione (è stata Presidente dall’aprile 2010 al maggio 2013), in base ad una malata logica di “spoil system”, che ignora la qualità dei progetti e guarda soltanto alle appartenenze partitiche.
La sempiterna lezione di Einaudi del conoscere per (ben) governare: per lo più inascoltata
Il problema di fondo è sempre lo stesso: la sempiterna lezione di Luigi Einaudi – ovvero del conoscere per (ben) governare – è disattesa dalla quasi totalità dei “policy maker”, e prevale quasi sempre la discrezionalità, la soggettività, l’intuitività del decisore “pro tempore”.
Il livello di (non) conoscenza dell’economia politica del sistema culturale italiano caratterizza quasi tutti i settori. Su queste colonne, qualche giorno fa (vedi “Key4biz” del 13 ottobre 2020, “Festa del Cinema e Mia al via. Ma a cosa servono queste kermesse?”), lamentavamo l’assenza di una “mappatura” accurata della ricca realtà festivaliera italiana: in materia, nessuna iniziativa del Mibact, e si assiste ad iniziative spontanee – non sostenute istituzionalmente – come il progetto “TrovaFestival”, coordinato da Giulia Alonzo e sostenuto dalla webzine di cultura teatrale “ateatro” (uno dei rarissimi laboratori di discussione critica delle politiche culturali nazionali) che pure cerca di censire – con strumentazione artigianale – i festival italiani di arti, cinema, danza, libri, musica, teatro, video… Ennesimo caso, questo di “TrovaFestival”, di dispersione di risorse e di incapacità della “mano pubblica” di stimolare sinergie cogliendo al meglio l’impegno volontaristico di intellettuali ed attivisti ed organizzatori culturali.
Il caso “Soul” alla Festa del Cinema: ennesimo deficit di politica culturale
Ennesima riprova dei deficit di “politica culturale” in Italia quel che è accaduto alla Festa del Cinema: come abbiamo già segnalato, uno dei film verso i quali si registrava maggiore aspettativa è stato “Soul”, l’ultima produzione d’animazione targata Pixar (kolossal da 150 milioni di dollari) diretta da Pete Docter (regista di “Up” e “Inside Out”), che la Disney non distribuirà in sala, ma utilizzerà come “appeal” per la diffusione della piattaforma online Disney+. Pochi hanno alzato la voce (il Ministro tace), e tra questi una nuova associazione di esercenti cinematografici, la Ueci (affiliata alla Cna, e quindi in dissenso con la storica Anec associata alla confindustriale Agis), che ha diramato un comunicato netto: “Non può esserci Festa del Cinema senza il rispetto della Vita delle Sale. La nostra presa di posizione è irrinunciabile e necessaria. Siamo infatti di fronte ad una tendenza di mercato che se non regolamentata, corre il rischio di lasciare per strada molti imprenditori e migliaia di lavoratori, vanificando inoltre i grandi investimenti e l’attenzione che l’intero Sistema Pubblico dimostra, concretamente, di avere nei confronti del Cinema”. Era stata addirittura prospettata una azione di protesta, una “serrata” dei cinematografici per ieri 15 ottobre, in concomitanza con l’avvio giustappunto della kermesse romana…
Intanto, i consumi in sala calano, nonostante gli sforzi di alcuni coraggiosi esercenti: come segnala l’appassionato analista Fulvio Bennati sul sito specializzato “Cineguru (Cinema 2.0 innovazione e business)”, ieri 15 ottobre in Italia la media “Spettatori Film per Copia” ha registrato 12 presenze che hanno occupato le poltrone durante la programmazione giornaliera, la settimana scorsa erano 16, un anno fa erano 49… Siamo a meno di un terzo.
Ancora una volta, si matura l’impressione di una assenza di strategia organica, e di una incapacità di intervenire in modo efficace sulle varie criticità che caratterizzano il sistema italiano dell’audiovisivo.
Prevale conservazione ed inerzia. E la deriva è in agguato.
Clicca qui, per il “2° Rapporto sulla produzione audiovisiva nazionale”, promosso da Apa e presentato al Mia il 15 ottobre 2020
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