Da Key4Biz (15.10.21): Rai, Netflix e TikTok: confronto su Far West del web e retorica del ‘parental control’
Interessante convegno promosso dal Mercato Audiovisivo Internazionale (Mia): convitato di pietra l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni.
Questa mattina, la terza giornata del Mercato Internazionale Audiovisivo ha proposto un incontro di riflessione dall’ambizioso titolo: “Media & Minori: la ricerca di soluzioni tecnologiche ai problemi sociali e culturali”, a conferma di una sensibilità dei promotori del Mia anche verso le tematiche non specificamente di tipo “business”.
Anche se, in verità, questo tema incide concretamente con le “policy” aziendali di broadcaster e piattaforme, ed è in verità una questione sensibile, delicata, grave: un tema scottante che sembra essere scomparso dal panorama mediale (mediologico) e politico (culturale) del nostro Paese.
In effetti, al di là della recente “riforma” (abolizione) dello storico sistema di censura cinematografica (il consumo in sala rappresenta ormai una minima quota del totale della fruizione di immagini audiovisive), lo Stato italiano brilla per assenza di intervento in materia di regolazione della straripante offerta da web (vedi “Key4biz” del 7 aprile 2021, “Abolita la censura cinematografica. Ma il vero problema è cosa circola sul web”).
Come abbiamo denunciato – da anni – anche su queste colonne “internet libero” sta a significare nel nostro Paese la “libertà” di accesso dei minori alla pornografia (senza alcun filtro da parte della mano pubblica) ed una utilizzazione dei “social media” che non risponde a nessuna regola, (se non a quelle della “autoregolazione” dei proprietari delle piattaforme).
Un vero “Far West”, come si usava dire, decenni fa, nella fase di avvio e crescita del fenomeno dell’emittenza televisiva commerciale in Italia.
Riteniamo che il Far West del web italiano sia molto pericoloso, ed è intollerabile la passività di quelle che dovrebbero essere le “autorità” preposte, ovvero la ben dotata (di risorse professionali e budget) Autorità per le Garanzie per le Comunicazioni e la modesta consorella (debole di giurisdizione e di risorse) Agia ovvero l’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza.
Cosa fanno in materia?! Nulla, o quasi. Assistono inermi ed inerti alle degenerazioni del sistema.
Questa mattina, abbiamo assistito allo “scontro” tra due “mondi”, anzi tre: l’ emittenza televisiva tradizionale (rappresentata da Rai), un fornitore “over-the-top” di contenuti audiovisivi (Netflix), le piattaforme (rappresentate da TikTok)…
I “broadcaster” sono sottoposti ad una normativa che consente di evitare – fatti salvi rari casi – particolari degenerazioni, ma sul web tutto diviene “libero e bello”…
Milano (Rai Ragazzi): la tv pubblica cerca di curare al meglio il suo “giardino”, ma cosa fare quando si esce dal recinto?!
La televisione pubblica italiana, rappresentata dal Direttore di Rai Ragazzi Luca Milano, ha proposto il proprio punto di vista, ovvero ha rivendicato la scelta di offrire un canale televisivo senza pubblicità (dal maggio del 2016 Rai Yoyo) e di prestare massima attenzione alla tutela dei minori, svolgendo anche una attività di educazione rispetto alle tematiche del buon uso del web e dei “social media”. Un esempio, tra i tanti: la serie televisiva per adolescenti “Jams”, per la regia di Alessandro Celli ed Emanuele Pisano, prodotta dalla Stand By Me di Simona Ercolani per Rai Gulp a partire dal 2019 e giunta ormai alla quarta stagione (2022), che affronta tematiche delicate come l’abuso sui minori, bullismo e cyberbullismo… Qui ci piace ricordare – una volta ancora – anche la serie televisiva, diretta da Michele Vannucci (sceneggiata da Laura Grimaldi e da Pietro Seghetti) e prodotta da RaiPlay e Rai Fiction, “Mental”, una delle operazioni più illuminate della televisione pubblica (iniziativa che non ha beneficiato della diffusione e della promozione che meritava, perché forse Viale Mazzini non ha avuto abbastanza coraggio nell’affrontare le tematiche delicate del disagio psichico).
Lo stesso Luca Milano si è domandato: ma cosa fare, allorquando si esce dal “recinto” (discretamente ben curato) ovvero dal “giardino” della televisione pubblica? Si entra veramente in una selva oscura, ovvero in una fossa di leoni (da tastiera).
Il Direttore di Rai Ragazzi ha segnalato come sia inquietante osservare che alcune ricognizioni hanno mostrato come talvolta la ricerca sui motori di ricerca evidenzi un deficit cognitivo e delle psicopatologie latenti: basti pensare che molti pare cerchino su web video di “donne umiliate” (!).
La situazione è grave e non è sotto controllo: l’assenza di presidio statale è inquietante.
Sul web, qualsiasi minore può accedere a tutto, nell’indifferenza delle istituzioni.
Ciullo (Netflix): elogio delle tecnologie per il “parental control”. Ma quanti le utilizzano realmente?!
L’intervento di Stefano Ciullo, l’uomo che, insieme ad Eleonora Andreatta – che è responsabile della produzione di contenuti originali –, guida Netflix in Italia (è Director of Public Policy), è stato incardinato sulle chance di “regolazione” dei flussi audiovisivi che possono venire dai sistemi di “parental control”. Ciullo ha rivendicato che le “policy” di Netflix sono severe e che il sistema è “user friendly” è ben evoluto.
Avremmo voluto domandare al dirigente apicale di Netflix di informarci, fatto 100 il totale degli abbonati a Netflix (sono 4 milioni, ha rivelato ieri al Mia la sua collega Andreatta), quanti sono quelli che utilizzano il “parental control”: scommettiamo che non saranno più dell’1 per cento del totale, e ci piacerebbe essere smentiti. Temiamo che il “mood” culturale (ed imprenditoriale) con cui Netflix gestisce – assai gelosamente – il proprio dataset non ci consentirà di acquisire queste informazioni.
Ciullo ha rimarcato come non si debbano demonizzare le “tecnologie”, perché esse possono contribuire a risolvere anche criticità in ambito sociale (d’altronde, il titolo del convegno questo positivamente intendeva prospettare): siamo d’accordo (chi non sarebbe d’accordo?!), ma il problema resta quello della “regolazione”, ovvero di come lo Stato deve intervenire per consentire la tutela (reale, non teorica) dei minori.
Interessante il caso “scandinavo”: dalle ricerche (ovviamente segretamente custodite) realizzate da Netflix nei 190 Paesi nei quali è presente, è emerso che nei Paesi del Nord Europa alcuni genitori si sono rivelati contrari alla chance che Netflix consente ai genitori di verificare quale offerta è stata fruita attraverso i profili individuali dei figli. Questa “supervisione” è stata da alcuni interpreta come una violazione della “privacy”. Una interpretazione paradossale dei fenomeni in atto, per alcuni aspetti.
TikTok si vanta di controllare seriamente i contenuti inappropriati. La Polizia Postale e delle Comunicazione non registra sempre una particolare sensibilità delle piattaforme
Per TikTok, è intervenuto Giacomo Lev Mennheimer (da marzo 2021 è Head of Government Relations and Public Policy di TikTok Italia, ma è responsabile anche per Spagna, Grecia e Portogallo; un passato in Weber Shandwick e poi in Glovo) ha rivendicato la grande attenzione che la piattaforma, che ha raggiunto recentemente 1 miliardo di utenti, dedica al controllo dei video caricati dagli utenti. Agli utenti fino a 16 anni è precluso l’accesso alle “chat”, ovvero alle conversazioni che possono essere attivate a commento dei video.
E qui si dovrebbe aprire il capitolo su chi, in Italia, (non) “controlla” (oppure sembra faccia finta di controllare…) l’età di coloro che accedono alle piattaforme: una delle questioni più dolenti di tutta l’economia (anche semantica) dell’habitat digitale.
Il Commissario Capo Marco Valerio Cervellini è intervenuto in rappresentanza della Polizia Postale e delle Comunicazioni (diretta da Nunzia Ciardi). Gli abbiamo domandato qual è, a parer suo, la criticità più grave: “la resistenza che oppongono le piattaforme, allorquando si segnala loro contenuti che dovrebbero essere rimossi… talvolta adducono che i video non violano i loro codici di autoregolamentazione”. E questo è senza dubbio uno dei “nodi” da sciogliere: possono soggetti come Google e YouTube decidere autocraticamente quel che è “giusto” e quello che non lo è?!
Lo spirito della “autoregolamentazione” è l’incarnazione del capitalismo digitale (in verità, non soltanto dell’economia digitale, è lo spirito stesso del capitale), allorquando riteniamo che lo Stato non debba abdicare al proprio ruolo di garante dell’interesse della collettività.
Poi, naturalmente, tutti coloro che partecipano a questi dibattiti invocano il ruolo pedagogico delle famiglie e subito dopo quello della scuola: retorica a gogò, ma nessuna azione concreta.
Il dibattito si riaccende, per qualche giorno, quando si assiste ad un caso di suicidio: un po’ come avviene per le morti sul lavoro. Retorica spinta, non azioni concrete. Il legislatore è assente, il Parlamento – fatte salve rarissime eccezioni – disinteressato. Come se il problema non esistesse.
Questa mattina “lo Stato” era rappresentato, in qualche modo, da Francesco Soro, già a capo dei Corecom regionali italiani, e da qualche settimana Direttore Generale della Direzioni Servizi di Comunicazione Elettronica, di radiodiffusione e postali (Dgscerp) del Ministero dello Sviluppo Economico (Mise). Non ci sembra d’aver ascoltato parole di fuoco (quelle che sarebbero necessarie) per denunciare le inadempienze dei soggetti preposti. In questi consessi, tutti gli intervenienti “convengono” sull’esistenza di criticità, ma raramente qualcuno assume una posizione critica, netta e decisa, che possa stimolare i “policy maker”.
Consiglio Nazionale degli Utenti e Comitato Media e Minori: foglie di fico di un sistema autoconservativo?
Tempo fa, abbiamo scritto, su queste colonne, che ci si domanda a cosa servano realmente “organismi” come il Consiglio Nazionale degli Utenti – Cnu (organo “ausiliario” dell’Agcom) o il Comitato Media e Minori (più esattamente il Comitato di Applicazione del Codice di Autoregolamentazione Media e Minori), se non vengono dotati delle risorse minime necessarie per garantire loro una effettiva capacità di incidere sulla realtà.
Non ce ne vogliano i rispettivi presidenti, Sandra Cioffi per il Cnu e Donatella Pacelli per il Comitato Media e Minori, ed i componenti tutti, ma non si può non osservare come la loro attività (talvolta addirittura volontaristica!) non incida minimamente nella realtà quotidiana del sistema dei media. Altresì dicasi per Carla Garlatti, ovvero l’Autorità per l’Infanzia e l’Adolescenza – Agia. Qualche volta, sulla stampa e sui media, appare un qualche loro “richiamo”, presto dimenticato dai più…
Scrivevamo e riscriviamo: si tratta di enti che sono così depotenziati (e definanziati) da non poter disporre della strumentazione minima per poter incidere nella realtà.
Sembrano talvolta delle vere e proprie “foglie di fico” del sistema: “sistema” inteso come organizzazione sociale ed istituzionale che punta semplicemente alla propria autoconservazione, senza disturbare in alcun modo gli equilibri in essere, determinati dal “libero” mercato o dalle “lobby” più influenti.
Il “panel” di questa mattina è stato chiuso da due giovani “influencer”, che si sono simpaticamente definiti “creatori di contenuto” (anzi “creator”), ovvero la giovanissima Sara Giulia Salemi e Paolo Camilli: entrambi sensibili rispetto alle criticità in atto, ma entrambi con un approccio un po’ naiv e velleitario, dichiarandosi entrambi combattenti contro la “maleducazione” in rete.
Ricordiamo che in occasione della presentazione della Relazione annuale a Parlamento il Presidente Giacomo Lasorella ha riconosciuto, a chiare lettere: “manca una organica e adeguata disciplina di protezione dei minori applicabile ai contenuti online” (vedi “Key4biz” del 27 luglio 2021, “Tra Festival del Cinema di Venezia e Relazione Agcom, canone Rai non più in bolletta?”). Peraltro segnalavamo che nella presentazione di Lasorella la parola “pornografia” (riferita al libero accesso per i minori, che, banalmente attraverso Google, è possibile senza limiti) non veniva mai nemmeno citata. E nemmeno mai citata nelle centinaia di pagine della Relazione al Parlamento: autocensura spirituale, trattandosi di argomento scabroso?!
Sono trascorsi due mesi e mezzo da allora: è forse successo qualcosa, a livello parlamentare?! No.
E, nel mentre, l’habitat digitale si sviluppa con prepotenza.
Nel pomeriggio di oggi, abbiamo assistito ad una impressionante presentazione, sempre nell’ambito del Mia, da parte di Giuseppe Suma, Head of Entertainment, Media, Gaming, Sport & Telco, Global Business Solutions di TikTok Italia…
Al di là della questione fin qui sollevata (in verità ci sembra che TikTik sia uno dei “social” più sensibili in materia di difesa dei minori e contenuti inappropriati), si è trattato di un’autodescrizione – molto accurata, ricca di dati ed analisi (purtroppo classificata come “confidential” e non divulgabile) – della potenza di fuoco di questo “player” nell’economia digitale, anche rispetto allo specifico mercato italiano.
Basti pensare che TikTok sta per entrare, di fatto (seppur indirettamente, promuovendo contenuti di “majors”), anche nel business della produzione di contenuti originali, con serie di alcune decine di episodi della durata di 60 secondi… Torneremo presto su questi temi.
Il variegato universo dell’industria audiovisiva planetario sta subendo modificazioni radicali, e lo Stato italiano continua beota a guardare il proprio ombelico.
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