Da Key4biz (18/7/2023): Gli autori attaccano il Governo? Proteste contro la Sottosegretaria Borgonzoni, mentre il Ministro della Cultura Sangiuliano non si pronuncia
Si moltiplica il fronte “autoriale”, sia rispetto allo strapotere delle piattaforme (da Meta a Netflix) sia rispetto alla annunciata riforma del tax credit (cinematografico e audiovisivo).
In questi giorni, l’agenda della politica culturale e mediale italiana si sta ingrossando e affronteremo presto su queste colonne temi delicati e controversi come la gestazione del “contratto di servizio” Rai, i ritardi italiani nel Pnrr causati anche dalle problematiche di Cinecittà poi risolte dal Ministro della Cultura, il rinnovo delle commissioni del Ministero della Cultura e gli avvicendamenti alla guida di istituzioni come la Biennale di Venezia…
Oggi dirigiamo i nostri riflettori su temi che riteniamo sintomatici di questioni ancora più “macroscopiche”.
Nell’ultima settimana, sembra infatti essersi scatenato un fronte plurale di critiche nei confronti del Governo da parte di una delle due “anime” del sistema culturale italiano, ovvero gli autori ed i creativi: se, da un lato, le associazioni degli imprenditori – le sempre sorridenti Anica (cinema) ed Apa (televisione) – continuano a ringraziare la Sottosegretaria leghista delegata al cinema ed all’audiovisivo per il suo impegno entusiasta, dall’altro lato emerge una diffusa protesta nei confronti di Lucia Borgonzoni, rispetto all’annunciata riforma dello strumento ormai prevalente di intervento pubblico nell’industria delle immagini, qual è quel “tax credit” tanto decantato dai più e tanto criticato da una minoranza sempre più sul piede di guerra…
A questo fronte, già in sé esplosivo (anche se finora sostanzialmente ignorato dall’attenzione mediatica), se ne è aggiunto ieri un altro, più dirompente ancora, perché attraversa tutte le industrie culturali, trasversalmente, e pone questioni fondamentali per il futuro del nostro sistema socio-culturale.
Ieri, lunedì, 6 qualificate associazioni del sistema audiovisivo (sempre dell’anima “creativa”, si tratta) hanno scritto una dura lettera, indirizzata in primis alla Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, e quindi al Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano ed al Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, per affrontare a muso duro lo squilibrio economico che si è venuto a determinare tra i creativi e le piattaforme che utilizzano le opere della creatività, con il nodo sempre più grosso e aggrovigliato di inadeguati compensi da parte delle piattaforme “streaming”.
Riemerge il “value gap” frutto del libero mercato: e lo Stato resta fermo?
Una riproposizione del sempre più grave problema del “value gap”, ovvero il trasferimento di reddito e ricchezza da chi la creatività la produce a favore di chi invece si limita a commercializzarla. In sintesi: le piattaforme si arricchiscono sempre più e determinano uno strisciante depauperamento degli autori e dei creativi. La classe creativa ed intellettuale si impoverisce sempre più…
Le dinamiche si accavallano: adeguamento dei compensi, trasparenza dei dati da parte delle piattaforme e rispetto delle direttive europee sul copyright…
La questione delle varie “asimmetrie” riemerge anche perché non è stata finora affrontata, in Italia, con l’adeguata attenzione ed in modo organico e strategico, né dalle istituzioni preposte – il Ministero della Cultura (Mic), l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (Agcom), la Società Italiana degli Autori e Editori (Siae)… – e nemmeno dalle associazioni di categoria, a cominciare dalle succitate “lobby” degli imprenditori.
Peraltro, non esiste ancora in Italia – va ricordato – “un fronte unitario” delle associazioni degli autori e dei creativi, e se ne ha recente conferma anche rispetto alle posizioni differenziate delle varie Anac e 100Autori riguardo alla annunciata riforma del “tax credit”.
Questo è forse l’aspetto più grave del sistema italiano (come abbiamo segnalato più volte anche su “Key4biz”): la debolezza del (non) “fronte” autoriale, allorquando esiste di fatto una sostanziale sintonia (non su tutto ma su molte questioni) da parte delle imprese, tra Anica ed Apa e Confindustria Radio Televisioni (Crtv).
La lettera sugli inadeguati compensi da parte delle piattaforme streaming è co-firmata da Artisti 7607, Unita (Unione Nazionale Interpreti Teatro e Audiovisivo), 100 Autori (Associazione della Autorialità Cinetelevisiva), Air3 (Associazione Italiana Registi), Wgi (Writers Guild Italia)e Anad (Associazione Nazionale Attori Doppiatori).
I firmatari scrivono che le loro associazioni rappresentano migliaia di professionisti tra cui autori, sceneggiatori, artisti interpreti e doppiatori, ed è vero, ma sicuramente non rappresentano la totalità degli autori e dei creativi italiani. Mancano all’appello, tra gli altri, la storica Anac (Associazione Nazionale Autori Cinematografici) e l’Aidac (Associazione Italiana Dialoghisti Adattatori Cinetelevisivi), ma altre associazioni potrebbero essere citate… Non a caso, da qualche tempo è in atto un tentativo di “coordinamento” degli autori promosso da Aut-Autori (che si autodescrive come “Federazione degli Autori di Letteratura, Cinema & Audiovisivo, Teatro”), ma si nutre l’impressione che la massa critica sia ancora lontana da raggiungere…
Scrivono i firmatari della lettera indirizzata anzitutto alla Premier: “sul tema dei compensi non adeguati da parte delle piattaforme streaming alle nostre categorie, sulla mancanza dei dati necessari alla definizione dei compensi e sulla sistematica mancanza di buonafede da parte dei grandi utilizzatori nella conduzione delle trattative con gli Organismi di Gestione Collettiva, nelle ultime settimane abbiamo seguito le audizioni svoltesi presso la Commissione Cultura del Senato della Repubblica; audizioni nate dal caso Siae/Meta e dal caso Artisti 7607/Netflix”…
L’accusa è diretta nei confronti dei rappresentanti delle piattaforme che avrebbero sostenuto, “con strumentali interpretazioni normative”, di essere in regola con le previsioni di legge circa la trasmissione dei dati e di corrispondere dei compensi “adeguati e proporzionati”, come indicato dalla direttiva copyright e dal decreto legislativo di recepimento nel nostro ordinamento.
Artisti 7607, Unita, 100Autori, Air3, Wgi, Anad mettono le piattaforme sul banco degli accusati: “al netto di generiche frasi di sostegno alle nostre categorie, i rappresentanti delle piattaforme hanno completamente evaso il tema delle informazioni sui ricavi che generano in Italia; e non hanno comunicato quale livello medio di compensi le piattaforme corrispondono ai professionisti coinvolti nelle opere. Abbiamo ascoltato soltanto mere autodichiarazioni prive di riscontri”.
“Proterva indifferenza alle norme” da parte delle piattaforme multinazionali? Non adeguato intervento da parte dell’Agcom?
Si denuncia un atteggiamento di “proterva indifferenza alle norme, alle istituzioni, ai diritti delle persone”. Si rimarca come si tratti di “multinazionali che dirottano all’estero gran parte dei ricavi”.
Sotto accusa – pesante accusa – anche Giacomo Lasorella, che avrebbe utilizzato una “presunta scarsa chiarezza normativa nel settore” e una “presunta confusione nata dalla liberalizzazione” (dinamiche che renderebbero “conflittuale” il mercato) a mo’ di alibi per giustificare il proprio moderato (non) intervento: “nulla ha detto (il Presidente di Agcom) sul tema dell’adeguatezza dei compensi che le piattaforme devono corrispondere, nulla sul rispetto dei principi prevista dalla direttiva copyright che nasce proprio per tutelare le nostre categorie, nulla sui dati che le piattaforme devono per legge comunicare”.
Come se non vi fossero ben due Direttive europee (la Direttiva cosiddetta “Barnier” e la Direttiva cosiddetta “Copyright”) e due relativi decreti legislativi di recepimento a chiarire inequivocabilmente quali siano gli obblighi cui gli utilizzatori sono tenuti. I protestatari ricordano peraltro che Agcom non ha ancora emanato, dopo quasi due anni, il regolamento previsto dal Decreto Legislativo n. 177/21 (direttiva Copyright): “una grave mancanza cui chiediamo venga tempestivamente posto rimedio, così come chiediamo vengano recepite nel testo finale le istanze presentate ad Agcom dalle scriventi in occasione della Consultazione pubblica su detto schema di regolamento”.
La denuncia è netta: “ai reiterati comportamenti delle grandi piattaforme streaming non corrispondono adeguate contromisure da parte delle Istituzioni. Sorprende inoltre che il Presidente di un’Autorità di Garanzia come Agcom esprima posizioni evasive oppure schiacciate sull’atteggiamento delle grandi piattaforme streaming, posizioni che appaiono distanti dalla realtà e dallo spirito delle norme”.
Altra questione nodale viene denunciata ovvero l’“indifferenza nei riguardi dei più basilari diritti delle artiste ed artisti che rappresentiamo, ad oggi ancora privi di un Contratto Nazionale di Lavoro, e ai quali viene ora negato anche l’accesso a compensi “adeguati e proporzionati” per il frutto del proprio lavoro, come invece stabilito per legge”. Sul tema del “ccnl”, sembra registrarsi invece – da altre fonti – una sorta di cauto ottimismo da parte dei sindacati, in primis il Sindacato Lavoratori della Comunicazione (Slc) della Cgil, senza dimenticare una qual certa sempre emergente asintonia tra le organizzazioni sindacali attive nelle industrie culturali e creative e le associazioni degli autori e dei creativi.
Come non dare ragione ai protestatari?!
Oggettivamente in Italia, il tema dello strapotere delle piattaforme è stato finora affrontato poco e male.
Anzitutto, “no data”: come denunciato tante volte anche su queste colonne, non esiste una analisi strutturale del sistema culturale italiano, e quindi si procede nasometricamente: pochi dati, e frammentari, e non validati.
Questo problema, essenziale, riguarda tutti i settori del sistema culturale e delle industrie culturali e creative.
Restiamo dell’idea che questo deficit di conoscenza faccia gioco a chi ha interesse a mantenere lo status quo.
In assenza di trasparenza, si può sostenere tutto ed il contrario di tutto. Ed ogni battaglia, per quanto legittima, si scontra con i mulini a vento.
Laddove alligna oscurità, o comunque nebbia, il Manovratore opera indisturbato
Laddove alligna oscurità, o comunque nebbia, il Manovratore opera indisturbato: ciò vale per il “tax credit” cinematografico e audiovisivo, così come per il “value gap” nell’habitat digitale.
Oltre alla questione “cognitiva” (il denunciato “no data”), si pone anche una questione di sensibilità ideologica, ovvero di deficit di politica culturale: da decenni ormai si assiste ad una sorta di rassegnazione alla deriva mercatista del sistema.
La sinistra (buona parte della sinistra, Partito Democratico in primis) si è inchinata di fronte alle regole del neo-liberismo ed ha rinunciato a prospettare un “indirizzo di sistema” che sia altro rispetto al mero incontro della domanda e dell’offerta.
La prospettiva economicista ha finito per influenzare in modo determinante anche le politiche culturali: “è il mercato, baby” è la regola essenziale, che governa ovunque.
Il “tax credit” è l’incarnazione di questa deriva: se ha avuto un senso smantellare un sistema rigido di intervento ministeriale nel “selezionare” idee e proposte e progetti, siamo passati all’opposto.
Ora è il Mercato a selezionare tutto.
L’apertura “al mercato” avviata dai Ministri della “sinistra” Walter Veltroni e Giovanna Melandri ha determinato il trionfo del Mercato a scapito dello Stato.
In sintesi: le regole del mercato sono subentrate alle “commissioni ministeriali”.
Questa deriva mercatista del sistema la si è riscontrata nell’atteggiamento sostanzialmente inerte che il Governo ha assunto rispetto alla società digitale.
Gli esecutivi degli ultimi anni hanno subito la fascinazione del tecno-entusiasmo.
Qualcuno al Governo si è posto la questione – essenziale delicata strategica – del controllo pubblico degli algoritmi?! Non ci sembra.
Sia ben chiaro: una qualche presa di posizione c’è stata, per esempio quando, qualche mese fa, Siae ha chiuso un accordo con Meta, dopo un braccio di ferro protrattosi per settimane (vedi “Key4biz” del 17 marzo 2023, “Tra Rai e Siae, spuntano Meta e ChatGpt: delle irrisolte contraddizioni fra politica culturale e ‘value gap’”). In quell’occasione, il Ministro Gennaro Sangiuliano dichiarò: “occorre difendere in modo sacrosanto gli autori italiani e l’opera del loro ingegno. I colossi transnazionali del digitale devono rispettare l’identità e la sovranità legislativa degli Stati. È sacrosanto difendere gli autori italiani e tutelare l’opera del loro ingegno, quella creatività che tanto valore ha nel mondo. Salvaguardare il frutto del lavoro autoriale è innanzitutto un principio etico, ancor prima che giuridico. Operare per difendere la creatività nazionale e l’immaginario italiano, poi, è un preciso mandato politico da onorare nei fatti. La indiscutibile libertà di mercato va esercitata all’interno di regole condivise e rispettate da tutti: è il fondamento di una convivenza pacifica e produttiva. La frontiera dell’innovazione non può e non deve essere il Far West del terzo millennio. L’oceano della rete va alimentato di contenuti di cui va riconosciuta la giusta retribuzione, altrimenti è destinato a diventare un Mar Morto sterile e senza vita”. Belle parole: tesi condivisibili ed apprezzabile teorizzazione, ma… concretamente?!
“No data” e “no control”
Soltanto alcuni parlamentari hanno mostrato – negli ultimi anni – sensibilità sulla questione dello strapotere delle piattaforme, e tra essi va riconosciuta la posizione assunta da Maurizio Gasparri (Vice Presidente del Senato ed esponente di punta di Forza Italia), e da Federico Mollicone (Presidente della Commissione Cultura della Camera e Responsabile Cultura di Fratelli d’Italia).
Ma alle dichiarazioni di intenti, anche in questo caso, non ha purtroppo fatto seguito un’azione legislativa conseguente… Concretamente, il deserto.
Ed il Governo sostanzialmente tace.
Si tratta di questioni critiche che si intrecciano e che propongono “variazioni sul tema”.
La denuncia rispetto alle posizioni “schiacciate sull’atteggiamento delle grandi piattaforme streaming” può riscontrarsi – mutatis mutandis – tra le righe di quel che scrivono in questi giorni, sul fronte del “tax credit”, altre associazioni, in primis i 100Autori e l’Anac: in questo caso, le posizioni del Governo sembrano essere “schiacciate sull’atteggiamento delle grandi lobby dei produttori” (ovvero Anica ed Apa).
IsICult pubblica in esclusiva su “Key4biz” i due documenti elaborati nei giorni scorsi dai 100Autori e dall’Anac.
100Autori, tax credit: contro “le distorsioni e gli utilizzi fraudolenti”, salvaguardare “gli spazi artistici di libertà”
Estrapoliamo alcuni passaggi dal documento dei 100autori (associazione presieduta da Francesca Archibugi): “come autori e autrici, riteniamo oggi di avere il diritto-dovere di intervenire nel dibattito sulla riforma del tax credit – non tanto per le distorsioni, gli utilizzi fraudolenti e gli eccessi di cui sappiamo solo per vox populi: è invece vitale per gli autori salvaguardare quegli spazi artistici di libertà, di cura e di passione che sono alla base di ogni serie tv, di ogni documentario o film riusciti, grandi o piccoli che siano. Il numero sempre più alto delle opere prodotte non è qualcosa che ci preoccupa: vogliamo segnalare che si tratta di un naturale effetto degli sviluppi tecnologici, che sempre più rendono possibile la realizzazione di un film anche a budget molto bassi, e questo sarà sempre più così. A noi interessa invece interrompere le operazioni fraudolente, i budget fasulli che sottraggono risorse a chi lavora con passione e cura”. Una premessa pesante… Sugli aspetti più tecnici del documento, entreremo con un prossimo intervento, ma è evidente che le tesi dei 100Autori cozzano l’approccio di riforma tratteggiato dalla Sottosegretaria Lucia Borgonzoni, che è, ancora una volta, destinato a rafforzare il potere dei più grossi, sulla base dell’illusione del “size does matter” e “bigger is better”, ovvero la crescita ad ogni costo… Con buona pace degli indipendenti, dei “piccoli”, di chi non rientra nella eletta schiera dei “top producer”…
Anac: non far finanziare con il tax credit i format di intrattenimento
Estrapoliamo dal documento dell’Anac (associazione presieduta da Francesco Ranieri Martinotti), un punto specifico ed importante: “per quanto riguarda l’estensione del Tax credit allo sviluppo di programmi di intrattenimento, l’Anac prende atto della volontà della Sottosegretaria di favorire lo sviluppo di format nazionali (per non limitarsi solo a importare format stranieri), ma chiede di non fare rientrare questo sostegno nelle attività finanziate dal Tax credit, non solo per una questione di risorse limitate, ma anche per evitare il rischio che l’incentivo fiscale, assegnato sostanzialmente in automatico, possa favorire format diseducativi e che non riguardino neanche minimamente la cultura”.
Altra questione fondamentale, relativa a quella (piccola) parte del sostegno pubblico che fuoriesce dalla logica del “tax credit”, ovvero i cosiddetti “aiuti selettivi”, anch’essi paradossalmente subordinati a logiche di mercato: “va cambiato il senso con il quale lo Stato assegna i selettivi. Oggi la Dg-Ca chiede al produttore i contratti con il distributore, l’antenna, gli accordi con gli attori, l’eventuale co-produttore straniero… Vale a dire si aggancia a un progetto che è stato già valutato da altri. Noi riteniamo che debba accadere il contrario, vale a dire che il sostegno sia assegnato a progetti che gli esperti dello Stato considerano validi sostenendoli con i selettivi e segnalandoli così agli operatori della filiera. Una sorta di bollino di qualità accompagnato dal primo sostegno finanziario. Il produttore una volta ottenuto il selettivo potrà andare dal distributore, dal broadcast, e trattare da una posizione più forte”.
Di fatto, Anac invoca che lo Stato riassuma il controllo dell’indirizzo della politica culturale, superando l’abdicazione nei confronti del Mercato.
Ancora una volta, lo scontro è tra i “piccoli” (gli indipendenti, gli artigiani…) e tra i “grandi” (i potenti e le multinazionali…).
Ha assunto una posizione chiara il Governo Meloni su questi temi?!
Non ci sembra.
Oggi sulle colonne de “la Repubblica” (“Affari&Finanza”), Aldo Fontanarosa è l’unico a segnalare con la adeguata enfasi la proposta del Presidente francese di imporre un prelievo dell’1,75 % dei ricavi a tutte le piattaforme streaming: “Macron tassa Apple e Spotify per sostenere i giovani artisti”. Come dire?! Questa sì è “politica culturale”. Il Presidente ha già incaricato la Ministra della Cultura Rima Abdul-Malak di convocare le piattaforme dello streaming, come Apple Music, Amazon Music, la francese Deezer, Spotify, la stessa YouTube… Qui andiamo ben oltre il pur importante italico accordo Meta-Siae di qualche mese fa: l’approccio è globale, organico, strategico.
Politica culturale, appunto, non interventi occasionali e frammentari. Strategia di medio-lungo periodo.
Il Ministro Gennaro Sangiuliano ha dato ampia delega (delega totale?!) alla Sottosegretaria Lucia Borgonzoni, le cui posizioni sono “schiacciate” su quelle delle due grandi lobby dei produttori per quanto riguarda il “tax credit” (e non soltanto), e le cui tesi rispetto alle asimmetrie ed alle storture dell’habitat digitale non ci sembra emergano in modo evidente (con atti concreti, intendiamo).
Non ritengono la Presidente del Consiglio ed il Ministro della Cultura che questa rotta debba essere corretta?!
Si vuole o no estendere lo spettro espressivo e quindi il pluralismo artistico, far crescere la pluralità del sistema imprenditoriale, introdurre nel sistema elementi di culture non dominanti e non conformi, combattere il pensiero unico?!
Non è necessario assumere una posizione netta rispetto al governo pubblico degli algoritmi e di resistenza rispetto allo strapotere imminente di una intelligenza artificiale che – se non sottoposta a regole di controllo pubblico – scardinerà ulteriormente tutti i paradigmi del sistema culturale, a tutto vantaggio dei poteri forti del mercato?!
Si crede realmente in un sano concetto di “sovranismo culturale” di fronte al rischio del dilagante e pervasivo pensiero unico neo-liberista digital-globalista?!
Si crede realmente nelle radici culturali del nostro Paese da tutelare sempre più anche nell’habitat digitale o si trattava di evanescenti promesse elettoralistiche?!
Clicca qui per la “lettera aperta” indirizzata da Artisti 7607, Unita, 100Autori, Air3, Wgi, Anad, al Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano e al Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, in relazione agli inadeguati compensi agli autori da parte delle piattaforme streaming, Roma, 17 luglio 2023
Clicca qui per il documento Anac “Osservazioni sul tax credit e altre questioni generali”, elaborato dall’Associazione Nazionale Autori Cinematografici – Anac (a seguito dell’incontro in videoconferenza con la Sottosegretaria alla Cultura Lucia Borgonzoni il 13 luglio 2023), Roma, 17 luglio 2023
Clicca qui per il documento 100autori, “Documento 100Autori Incontro Mic luglio 2023”, sulla proposta di riforma del tax credit, Roma, 13 luglio 2023
(*) Angelo Zaccone Teodosi è Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult (www.isicult.it) e curatore della rubrica IsICult “ilprincipenudo” per “Key4biz”.
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