Da Key4biz (19/01/2024): Approvato il contratto di servizio: entusiasmo Rai ma scenari incerti. Riforma del tax credit cinema in gestazione (a porte chiuse)
Approvato il “contratto di servizio” 2024-2028, ancora più evanescente del precedente. Grande lavorio per la riforma della Legge Franceschini: molti film vengono realizzati “per” il tax credit, e non “con” il tax credit.
Una rubrica di analisi critica della politica culturale e dell’economia mediale qual è quella curata dall’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult ovvero “ilprincipenudo” non può esimersi oggi dal dedicare una qualche attenzione a quel che è avvenuto ieri, giovedì 18 gennaio 2024, al Settimo Piano di Viale Mazzini: è stato approvato il nuovo “contratto di servizio” tra il Ministero delle Imprese e del Made in Italy (Mimit) e la Rai, per il quinquennio 2024-2028 ,ed altresì il nuovo “piano industriale” 2024-2026 del gruppo radiotelevisivo pubblico.
Sui giornali di oggi, prevale la passiva registrazione dell’entusiasmo manifestato dalla triade apicale: la Presidente Marinella Soldi, l’Amministratore Delegato Roberto Sergio, il Direttore Generale Giampaolo Rossi. Voci in dissenso soltanto sulle colonne del quotidiano “il Manifesto”, con un intervento critico dell’ex Sottosegretario alle Comunicazioni Vincenzo Vita (dal cupo titolo: “Ultimo colpo di grazia, la Rai al tramonto”) e naturalmente sul sempre informato ed accurato “BloggoRai”, che resta la fonte primaria (pressochè unica) per chi vuole capire il “dietro le quinte” di Viale Mazzini.
Ci limitiamo a qui riportare quel che ha dichiarato il Dg Giampaolo Rossi ieri: “una nuova Rai è stata disegnata questa mattina con l’approvazione del Contratto di Servizio e del nuovo Piano Industriale 2024- 2026… Un passaggio importante, atteso, al quale abbiamo lavorato tanto e che rafforza quella che è la missione del Servizio Pubblico e allinea la Rai ai migliori broadcaster pubblici europei… L’obiettivo nel prossimo triennio sarà la trasformazione della Rai in digital media company, aumentando la competitività nel sistema toccando temi di vitale importanza come la transizione digitale e ambientale, la qualità dell’informazione, la valorizzazione delle filiere industriali del made in Italy. Oggi è una giornata positiva che segna l’inizio di un passaggio tra la visione tradizionale dell’azienda e il ruolo di innovazione che la Rai sta svolgendo da diversi anni”.
Speculare entusiasmo nelle parole della Presidente Marinella Soldi: “la giornata di oggi segna una straordinaria e storica coincidenza: il CdA Rai ha approvato insieme il nuovo Contratto di Servizio e il nuovo Piano Industriale: due documenti finalmente in stretta sinergia, per disegnare una Rai più flessibile, digitale, orientata al futuro”.
Ed altresì dicasi dell’Ad Roberto Sergio: “affrontare con coraggio le sfide della digitalizzazione, garantendo la stabilità economica dell’azienda, valorizzando il nostro capitale umano di professionalità e rafforzando la missione di Servizio Pubblico. È questo l’obiettivo ambizioso che ci pone al fianco dei grandi player internazionali, proiettando la Rai verso il futuro”.
Gli entusiasmi sono giustificati? Non ci sembra proprio
Sia consentito: molta retorica, molto autocompiacimento (ovvero – anche – molte rassicurazioni).
Addirittura il Dg Rossi ha annunciato che ieri sarebbe nata “una nuova Rai” (sic).
E – si osservi – appiattimento della quasi totalità dei giornalisti che si interessano di politiche della Rai. E non molti hanno segnalato che la Consigliera di Amministrazione Francesca Bria (“in quota” Partito Democratico) si è astenuta sul “contratto di servizio” ed ha espresso voto contrario rispetto al “Piano Industriale” ed al “Budget 2024”.
La Rai diverrà una “digital media company”. Questo annuncio non è affatto nuovo e francamente appare come una generica quanto evanescente dichiarazione di intenti (una formula retorica per tutte le stagioni), se non viene supportato da dati ed analisi e prospettive concrete.
E peraltro è stato notato che un emendamento in sede di dibattito in Vigilanza sul “contratto di servizio” che aveva chiesto di anteporre l’aggettivo “public” alla formula (che sarebbe quindi divenuta “public digital media company”) è stato accantonato, e forse qualcosa sta a significare.
Insomma, tutto questo entusiasmo è giustificato?!
Riteniamo di no. Crediamo sia francamente eccessivo.
Attendiamo di leggere la versione definitiva del “contratto di servizio”, ma, da quanto è dato sapere, la Rai ha accolto alcune modifiche che il Mimit (guidato da Alfonso Urso di Fratelli d’Italia) ha imposto, ignorando il parere (giustappunto obbligatorio ma non vincolante) espresso dalla Commissione di Vigilanza Rai il 3 ottobre 2023, per esempio in materia di vincoli agli appalti e produzioni esterne (una delle questioni più dolenti del servizio pubblico italiano, basti ricordare che – secondo alcune stime – circa il 60 % dei programmi delle 3 reti generaliste in prima serata e nell’“access prime-time” viene realizzata fuori) e su altre questioni sensibili (tra le quali rafforzamento dell’informazione istituzionale)…
E non abbiamo registrato un lamento da parte della Presidente della Commissione di Vigilanza Rai, Barbara Floridia, allorquando è evidente che al Mimit ed alla Rai poco è importato del parere della bicamerale.
Peraltro, oggettivamente, il nuovo “contratto di servizio” appare comunque più lasco e generico del precedente, anche soltanto per aver allocato in un “allegato” gli obblighi specifici del servizio pubblico, ma su queste tematiche abbiamo speso – tra i pochi – molto inchiostro anche su queste colonne e rimandiamo alle analisi critiche che abbiamo elaborato (vedi “Key4biz” del 3 ottobre 2023, “Contratto di servizio Rai: oggi la giornata decisiva?”, e del 17 ottobre 2023, “Matteo Salvini ‘killer’ della Rai? Verso l’abolizione del canone, tutto a carico della fiscalità generale”).
E non ci sembra che il nuovo contratto assicuri peraltro alla Rai garanzie sul budget, se è vero (come è vero) che la riduzione del canone (da 90 a 70 euro) determinerà dal 2024 una riduzione delle risorse, compensata da quanto previsto nella Legge di Bilancio 2024 ovvero 240 milioni di euro, ma per un anno finanziario soltanto: e nel 2025 (e 2026 e 2027, e dopo), cosa accadrà, restando la Rai sotto la spada di Damocle degli umori governativi e parlamentari?!
Siamo seri: come può Viale Mazzini disegnare il proprio futuro di medio periodo, se non ha alcuna certezza sul breve?! Come si può impostare un “piano industriale” triennale, a fronte di questa incertezza assoluta?!
Viene precisato che il fabbisogno finanziario del Gruppo Rai verrà alimentato anche dalla decisione di cedere una quota del 14 % del capitale sociale della controllata RaiWay (le cosiddette “torri”), questione peraltro altamente controversa.
Dalle dichiarazioni di Soldi e Sergio e Rossi non emerge molto altro (se non un annuncio di un programma di investimenti che prevede risorse incrementali pari a 255 milioni di euro), a parte questa contentezza autocompiaciuta. Non proprio chiarificatrici (e certo non entusiasmanti) le 4 paginette di “Note” al “Piano” (vedi in calce il link per leggere il documento).
Non avendo accesso alla versione definitiva del “contratto di servizio” ed ovviamente nemmeno al decantato novello “piano industriale”, è difficile comprendere se la triade si sia iniettata dosi di ottimismo a gogo (a rischio di overdose…), oppure se la strategia dei prossimi 3 anni consentirà effettivamente alla Rai di ridefinire meglio il proprio profilo identitario (il che, continuando a vedere trasmissioni ignobili come i “pacchi” in prima serata su Rai, non sembra…).
Concluse le audizioni (a porte chiuse) del Ministero della Cultura per la riforma del tax credit cinematografico e audiovisivo: riforme radicali o piccole correzioni di rotta?
Nel silenzio totale, a porte chiuse, e senza alcuna pubblica evidenza, si è conclusa oggi la settimana, avviata venerdì scorso 12 gennaio 2023, di audizioni con quelle che il Ministero della Cultura ritiene le associazioni più rappresentative del settore, nonché con le piattaforme digitali, in relazione alla riforma del “tax credit” cinematografico e audiovisivo, avviata anche attraverso alcune disposizioni della Legge di Bilancio 2024. Si tratta della fase finale annunciata prima dell’estate del 2023, ovvero prima dell’avvento del Governo guidato da Giorgia Meloni (vedi “Key4biz” del 23 giugno 2023, “Tax credit cinema e audiovisivo sotto indagine? Il Ministero avvia una ‘discussione’ sullo strumento. Esclusiva IsICult per Key4biz”).
Un gran lavorio intellettuale, tecnico e politico, attende la Direzione Generale Cinema e Audiovisivo (guidata da molti anni Nicola Borrelli), che continua a patire un sottodimensionamento di organico che mette a rischio tutta l’economia del settore: i decreti da elaborare ed emanare sono numerosi: entro fine mese, il famoso “decreto di riparto” del Fondo Cinema e Audiovisivo, che pure deve acquisire il parere del Consiglio Superiore del Cinema e Audiovisivo (organismo la cui nomina viene data per imminente da mesi, ma che ancora attende la firma del Ministro Gennaro Sangiuliano); i decreti sul “tax credit” relativi al settore della “produzione”, della “distribuzione”, del “tax credito esterno”, dei “contributi selettivi”, dei “contributi automatici”, della “promozione”… Si attende anche la revisione dei decreti sulla “nazionalità italiana”, sull’attuazione degli “obblighi di investimento e programmazione”…
Centrale resta anche il decreto per la nomina della nuova commissione degli esperti, anzi di quelle che divengono 2 commissioni, una essenzialmente per la “produzione” ed una per la “promozione” (su questo specifico tema, si rimanda al nostro intervento del 25 ottobre 2023 su “Key4biz”: “Cinema, il Ministro Sangiuliano riforma le “commissioni” ministeriali chiamate ad assegnare milioni di contributi pubblici”).
Durante le audizioni (si precisa che non è di pubblico dominio nemmeno l’elenco dei soggetti convocati…), sono stati resi noti alcuni dati elaborati dalla Direzione Cinema e Audiovisivo: nel 2022, sono usciti nelle sale cinematografiche complessivamente 356 titoli, di cui 216 film di finzione e 140 documentari.
Dei 216 titoli cinematografici usciti nelle sale, soltanto un terzo ovvero 70 sono usciti in oltre 50 sale, a fronte di 146 usciti in meno di 50 sale.
Il numero di domande “tax credit produzione” pervenute nel 2022 e 2023 (dato ancora provvisorio perché la “finestra” si chiude domenica prossima 21 gennaio 2024): hanno richiesto credito d’imposta 402 opere cinematografiche, 145 opere del 2022 e quasi tutte quelle 2023 non sono ancora uscite in sala, ovvero un numero che supera le uscite in sala del 2023…
Numeri che confermano una rinnovata “overdose” di istanze.
Coscienza delle criticità: sovrapproduzione di opere e distorsioni nell’uso dei fondi… molti film vengono realizzati “per” il tax credit, e non “con” il tax credit
Il Ministero avrebbe finalmente acquisito coscienza delle criticità in atto: si assiste ad un fenomeno di sovrapproduzione, ci sono distorsioni nella utilizzazione delle risorse…
In sintesi, questa la vera (e amara) verità italiana: molte opere vengono realizzate “per” il tax credit, e non “con” il tax credit (sembra un gioco di parole, ma tale non è).
Questa verità emerge anche osservando che un gruppo di imprese ha ricevuto milioni e milioni di euro di crediti di imposta per opere che non ha visto nessuno. Paradossale.
Il Ministero ha presentato quindi agli interlocutori convocati alcune “linee di indirizzo”, tra le quali emerge la necessità di correggere il sistema “piatto” in essere, che tratta di fatto tutte le produzioni nello stesso modo.
Per quanto riguarda il “tax credit” relativo alla produzione, lo strumento dovrà “chiudere” i piani finanziari e non “aprirli”.
Si deve differenziare tra le opere che nascono con intenti commerciali, ovvero che puntano al mercato e che sul mercato possono trovare risorse ed opere che finalizzate a favorire i nuovi talenti, i giovani, le “start up”, i film con un contenuto culturale particolarmente elevato, che sul mercato non trovano le risorse finanziarie…
Questa seconda categoria di opere dovranno avviare il piano finanziario attraverso il “contributo selettivo”, il fondo per le coproduzioni minoritarie oppure i fondi internazionali.
Al credito d’imposta potrà dunque presentare domanda solo:
- chi ha 1 dei 2 requisiti che dimostrano l’interesse del mercato:
- un accordo con piattaforme o broadcaster di una qual certa rilevanza, ossia soggette agli obblighi di investimento e programmazione in Italia;
- accordo con primarie società di distribuzione cinematografica, che si obblighino a fare un certo tipo di investimento (considerato che anche esse sono beneficiarie di “tax credit” distribuzione);
- chi beneficia di un “contributo selettivo”.
Il “credito di imposta” deve per il Ministero dunque tornare (semmai lo è stato, verrebbe da domandarsi…) ad essere uno strumento che incentiva gli investimenti, intesi come “operazioni di mercato”, oppure come strumento che si affianca ad altri strumenti per conseguire gli altri obiettivi previsti della “Legge Franceschini”, ovvero stimolare una elevata qualità culturale, contribuire alla realizzazione di opere con risorse scarse, eccetera.
Quindi anche il sistema dei “selettivi” deve essere rivisto, e comunque le opere chiaramente orientate al mercato non dovrebbero chiedere i contributi selettivi.
Finalmente vengono introdotti “obblighi di trasparenza” rispetto alla circolazione delle opere cinematografiche finanziate dallo Stato
Il Ministero sta anche lavorando all’introduzione di obblighi di trasparenza in merito alla circuitazione delle opere finanziate dallo Stato.
Da molti anni IsICult auspica questa esigenza.
Per quanto riguarda il cinema nei circuiti “theatrical” e le opere trasmesse dai “broadcaster”, non si tratta di una particolare criticità, perché il Ministero dispone già di questi dati, ed altresì dicasi per quanto riguarda Netflix, che fornisce dati sulla fruizione delle opere italiane, mentre anche gli altri “over-the-top” saranno chiamati a rispondere a queste esigenze di trasparenza.
Il Ministero della Cultura riconosce – finalmente! – l’esigenza di rendere conto alla collettività della visione che viene fatta delle opere finanziate da fondi pubblici.
Nei contratti, verrà quindi prevista una clausola che obbliga anche gli “ott” a fornire i dati relativi all’audience: in assenza, quell’opera non potrà accedere al “tax credit”…
Si auspica che il “dataset” che il Mic Dgca andrà ad acquisire venga reso di pubblico dominio.
In sostanza: molta carne al fuoco, il lavorio che la Direzione Cinema e Audiovisivo deve affrontare è veramente gravoso.
E ci si augura naturalmente che la “montagna” non finisca per partorire un “topolino”.
Va anche segnalato che questo lavorio per il futuro si affianca alla “ordinaria amministrazione” della Dgca, ovvero alla gestione delle migliaia di pratiche rispetto alla situazione in essere: ed in questo molti operatori lamentano i ritardi (non soltanto sul fronte specifico del “tax credit”), che sono determinati anche dalla carenza di risorse della Direzione Generale… Questione che riteniamo sia il primo problema che dovrebbe affrontare il Ministro Gennaro Sangiuliano.
Più volte – anche su queste colonne – abbiamo denunciato l’urgente esigenza di un rafforzamento strutturale dell’organico della Direzione Cinema e Audiovisivo.
Si rinnova altresì l’auspicio che questioni così delicate e strategiche per il futuro dell’industria cinematografica e audiovisiva divengano oggetto di procedure più trasparenti, ovvero che il dibattito fuoriesca dalle stanze di Santa Croce in Gerusalemme, divenga pubblico e sia aperto a tutta la comunità professionale, imprenditoriale ed artistica.
Che sia un dibattito non riservato soltanto alla eletta schiera di associazioni che sono certamente rappresentative di una parte significativa del settore, ma non della sua totalità. Peraltro, negli incontri al Ministero, curiosamente non sono state coinvolte nemmeno le “Film Commission”, che ormai rappresentano una fonte non marginale nell’economia produttiva dei film italiani: eppure la Dgca, negli incontri, ha specificato che l’ottenimento di contributi regionali o di Film Commission non è elemento sufficiente a permettere l’accesso al “tax credit”…
Il grido di allarme dei festival cinematografici: l’allarme del Presidente dell’Afic Giorgio Gosetti
In argomento, è emerso in questi giorni – sulla chat su WhatsApp “W il cinema!” (promossa da Francesco Gesualdi e Gaetano Blandini, rispettivamente Direttore della Marche Film Commission e Presidente della Fondazione Copia Privata Italia) – il grido di lamentazione dell’Afic, l’associazione dei festival cinematografici italiani (ne rappresenta circa 100, la gran parte dei più importanti, su un totale nazionale che IsICult stima essere intorno ai 250), presieduta da Giorgio Gosetti, che ha sostenuto che “la situazione dei festival rischia di andare rapidamente verso il precipizio: il comparto promozione ha avuto accesso a un bando 2023 a tardissima primavera… il decreto di assegnazione è arrivato a fine novembre (per un anno di fatto già al termine)… Chi ha avuto diritto ad un anticipo lo ha visto tra Natale (e solo per l’impegno personale di uffici sotto organico) o nel corso di gennaio… La piattaforma per rendicontare non è ancora aperta, e, senza il riscontro degli uffici sui consuntivi, non sarà possibile accedere a domande corrette per il 2024…”. Questo per il passato (l’anno 2023), mentre “del nuovo bando non c’è notizia, delle commissioni nemmeno” (vedi supra, in argomento).
Conclude Gosetti: “anche a essere ottimisti, il meccanismo rischia di rimanere incagliato fino all’estate, e questo farà ragionevolmente morire o agonizzare una bella parte di un settore che, con tutti i suoi difetti, è cruciale per la parte di cinema italiano che ha bisogno di visibilità e non sbarca solo a Venezia Roma Cannes… davvero rischiamo di curare i fine vita quando sarà troppo tardi…”.
Questa vicenda può assurgere a “case study” sintomatico delle patologie del sistema in essere: e peraltro, restiamo convinti che la ripartizione dei 700 milioni di euro del Fondo Cinema e Audiovisivo per l’anno 2024 debba essere oggetto di una revisione radicale: la fase “promozione” della “filiera” cinematografica è essenziale e preziosa, ed invece riceve da anni le briciole del banchetto. La Legge Franceschini e soprattutto il “riparto” annuale del Fondo ha privilegiato 1 fase una soltanto della filiera: la produzione.
Perché… se parte rilevante di questa “produzione” finisce per essere fine a se stessa?!
Deve essere messa in discussione l’asimmetria attuale nella allocazione delle risorse pubbliche, allorquando la gran parte dell’intervento dello Stato viene irragionevolmente allocato a favore della “produzione”.
Di una “produzione” che – come ormai ha coscienza (finalmente!) anche il Ministero – è una attività che ha finito per alimentare anche parassitismi e velleitarismi e pseudo-imprenditori, determinando un latente rischio “bolla”, che preoccupa anche il Ministero dell’Economia e Finanze , come ha riconosciuto anche il Ministro leghista Giancarlo Giorgetti (si rimanda al nostro intervento del 9 gennaio 2024 su “Key4biz”, “Cinema italiano, nel 2023 incassi per meno di 500 milioni di euro e soltanto 70 milioni di spettatori (-23% rispetto al triennio 2017-2019)”.
Si ricordi che – secondo l’ultimo “riparto” del Fondo Cinema e Audiovisivo (decreto del 14 marzo 2023 a firma di Gennaro Sangiuliano) – dei complessivi 746 milioni di euro assegnati al cinema e audiovisivo per l’anno 2023, soltanto 7 milioni sono stati assegnati alla realizzazione di festival, rassegne e premi: meno dell’1 % (uno) per cento del totale! Ciò basti. Questa dotazione dovrebbe almeno essere triplicata, per riconoscere la effettiva importanza di queste iniziative nell’economia complessiva dell’immaginario nazionale.
Conclusivamente, perché continuare ad operare “a porte chiuse”, nei processi di gestazione regolamentativa del Ministero rispetto alla riforma della Legge Franceschini, dato che si tratta del futuro di un settore centrale nel sistema culturale nazionale?!
Clicca qui per il “Piano Industriale Rai 2024-2026. Nota illustrativa”, approvato dal Consiglio di Amministrazione il 18 gennaio 2024.
[ Nota: questo articolo è stato redatto senza avvalersi di strumenti di “intelligenza artificiale. ]
(*) Angelo Zaccone Teodosi è Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult (www.isicult.it) e curatore della rubrica IsICult “ilprincipenudo” per “Key4biz”.
Articoli correlati
Articoli recenti
- Da Articolo21 (19/12/24): Precisazioni in merito a “diffida stragiudiziale” della Sottosegretaria Senatrice Lucia Borgonzoni 20 Dicembre, 2024
- Da Il Fatto Quotidiano (12/12/24): Tax credit paralizzato: l’ennesima riprova del (mal)governo della cultura 13 Dicembre, 2024
- Da Articolo21 (12/12/24): L’apparenza e la realtà: il cinema italiano va a gonfie vele (dice la Sottosegretaria Borgonzoni) o c’è crisi acuta (come sostengono 15 associazioni del settore)?! 12 Dicembre, 2024
- Da Il Riformista (5/12/24): Gli Studios di Cinecittà sono una cattedrale nel deserto: i film mai usciti, i lavoratori fermi e le voci di privatizzazione 5 Dicembre, 2024
- Da il Riformista (2/12/24): Cine-audiovisivo: il Tar boccia i decreti di riforma del settore. Si aggrava la crisi, studios di Cinecittà vuoti 2 Dicembre, 2024