Intrigante esteticamente, ma deludente emozionalmente il nuovo film di Paolo Sorrentino, “Parthenope”, che sarà in oltre 300 cinema dal 24 settembre. Intanto, numeri in libertà nel nuovo Rapporto Symbola 2024, che parla di 104 miliardi di valore e 1,5 milioni di addetti nel settore culturale.

Questa mattina, il cronista “culturologico” dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale IsICult – inviato per il quotidiano online “Key4biz” – non ha avuto dubbi: tra l’anteprima per la stampa del film di Paolo Sorrentino “Parthenope” (al Cinema Moderno The Space di Roma) e la presentazione del 14° rapporto curato da Symbola  – la fondazione di Ermete Realacci – “Io Sono Cultura”, ha preferito la prima iniziativa (erano sostanzialmente in contemporanea), ma ha chiesto ad un collega di andare ad assistere alla seconda, presso la sede centrale di Unioncamere (in Piazza Sallustio).

Sul film di Paolo Sorrentino (non premiato a Cannes, con recensioni contrastanti), torneremo presto su queste colonne: impressione a caldo?! Visivamente ovvero esteticamente eccellente (ottima la fotografia firmata da Daria D’Antonio, eccellenti le musiche di Lele Marchitelli, eccezionale la protagonista Celeste Dalla Porta – per la quale prevediamo un percorso da star – che rappresenta una sorta di allegoria della città, nel suo percorso di vita, da adolescente ad anziana – quest’ultima interpretata da Stefania Sandrelli…), ma veramente molto autoreferenziale, saccente, pretenzioso… privo di autentico “pathos” (almeno questa è la sensazione che ha provocato in chi redige queste noterelle), con un eccesso di pretese filosofeggianti (una chicca? “la verità è indicibile”), giocando su una erratica ricerca “antropologica” ovvero esistenziale… Complessivamente troppo lungo (2 ore e 15 minuti), trama lenta e lento nel montaggio, con un eccesso di primi piani autocompiaciuti e qualche guizzo para-felliniano (il Vescovo che fa all’amore con Parthenope, che indossa i paramenti di San Gennaro… il figlio del professore, interpretato da un Orlando Silvio perfetto ma sempre simile a se stesso, che è una sorta di mostro quasi alieno)…

Un’opera complessivamente debole (qualcuno ha scritto “languida”), nonostante i mezzi messi a disposizioni del regista. Lungo l’elenco delle società che co-producono l’opera, anche se certamente su tutte prevale il gruppo tedesco-lussemburghese Fremantle ovvero BertelsmannThe Apartment controllata da FremantleSaint Laurent ProductionsNumero 10 – la società di produzione del regista –, Pathé Pictures; distribuito dalla neonata PiperFilm assieme a Warner Bros Entertainment Italy (ovvero Wb Discovery – Wbd)… Il film ha beneficiato di sovvenzioni dello Stato italiano per 11,2 milioni di euro (soltanto da “Tax Credit Produzione”), a fronte di un costo (dichiarato al Ministero della Cultura ovvero alla Direzione Cinema e Audiovisivo) nell’ordine di ben 32,3 milioni di euro… Queste cifre “si vedono” (concretamente) nel film?! Un po’ sì, un po’ no (a parer nostro). Ma questo è – come dire?! – un altro discorso, sul quale torneremo…

Come scrivevamo ieri su queste stesse colonne, scommettiamo che “Parthenope” non sarà un successo al botteghino (e quindi non contribuirà granché a risollevare le sorti penose dei film italiani nei cinematografici), ma attendiamo di leggere i dati Cinetel da martedì della prossima settimana, 24 settembre, quando uscirà in oltre 300 sale (per questa notte, Piper ha organizzato una ventina di anteprime esclusive in varie città). Crediamo si tratti del tipico caso di regista al quale è stata assegnata libertà totale (forse troppa) a fronte dei precedenti suoi successi, e non deve esservi stata grande dialettica col produttore (si sente proprio l’assenza di “final cut” del produttore)…

La presentazione del 14° Rapporto Symbola “Io sono Cultura” (2024) ovvero “L’Italia delle qualità e della bellezza sfida la crisi”

Voltiamo pagina: poche persone alla presentazione del 14° rapporto della Fondazione Symbola, presso Unioncamere, e – curiosamente – nessuna presenza istituzionale. D’accordo, il Ministro Alessandro Giuli è impegnato nel “G7 della Cultura” a Napoli, ma almeno uno dei due Sottosegretari – per quanto ancora privi di conferma della delega (argomento scottante quanto irrisolto) – ovvero Lucia Borgonzoni e Gianmarco Mazzi, avrebbero potuto intervenire o comunque inviare un messaggio…

Abbiamo assistito ad una rinnovata numerologia, effervescente e positiva come sempre: la fondazione di Ermete Realacci incarna senza dubbio la vocazione (ideologica) a vedere sempre il bicchiere “mezzo pieno”, anche quando i dati non confermano proprio questa impostazione/interpretazione…

Tante volte – e non soltanto su queste colonne – abbiamo criticato non soltanto l’approccio ideologico (ottimismo a gogo), ma anche quello metodologico (definizione troppo estesa del “perimetro”, solita utilizzazione dei dati delle Camere di Commercio, vincolati alla logica dei codici Ateco, ecc.): queste criticità si riproducono, un po’ stancamente anche, nella nuova edizione, la n° 14…

Nel “perimetro” – ampio e generoso – della “cultura” così come intesa da Symbola rientra… di tutto: anche gli studi di architettura e chi produce software (si noti: non software finalizzato o funzionale alla cultura)…

E quindi la “torta” è assai grossa…

D’altronde, la Fondazione ovvero il “think tank” promosso da Realacci (che – si ricordi – è stato tra l’altro anche stato Presidente della Commissione Ambiente Territorio e Lavori Pubblici della Camera tra il 2006 e 2008 col governo Prodi e dal 2013 al 2018 con i governi Letta e Renzi e Gentiloni, come parlamentare del Pd, partito che ha contribuito a cofondare) si chiama – esattamente – Fondazione per le Qualità Italiane, e tutti i suoi studi sono focalizzati giustappunto sulla “bellezza” – anzi sulle “bellezze” – del nostro Paese.

E non a caso, il fondatore ribadisce la sua visione: “al di là del dato numerico, non si può capire perché l’Italia vende tanti prodotti nel mondo, se non si capisce quanto conta la cultura: quello che attira dell’Italia – sia sul fronte turistico che su quello dei prodotti – è proprio questo legame con la bellezza e con la qualità. Noi siamo un grande Paese esportatore, anche perché attiriamo sensibilità, umori e passioni con la qualità e la bellezza, e questo dipende dalla cultura” (Realacci dixit). E, ancora, “bellezza e cultura, quindi, sono parte del Dna italiano e sono alla base delle ricette Made in Italy per la fuoriuscita dalle crisi”.

Per onor di cronaca, ci limitiamo a riprodurre qui di seguito alcuni dati sintetici del rapporto (che può essere downloadato: vedi in calce all’articolo), tralasciando premesse ormai (veramente!) banali, del tipo “cultura e bellezza in Italia sono tratti identitari radicati nella società e nell’economia”, ovvero “la cultura per l’Italia è anche un formidabile attivatore di economia” o ancora “settore spesso sottovalutato, suo peso intorno ai 300 miliardi di euro” (Realacci dixit).

Il solito approccio (ideologico) per cui la cultura è importante perché rilevante in termini di dimensioni economiche: la deriva mercatista del sistema culturale…

Questo rapporto di Symbola si pone – ancora una volta – sulla scia della tesi dell’importanza economica del sistema culturale, come se questa “dimensione” (realmente crescente?!) sia sufficiente a descrivere il funzionamento stesso delle industrie culturali e creative, e come se la “crescita” fosse in sé un indicatore necessariamente positivo…

Cresce il numero di imprese… ma quante sono fragili? cresce il numero dei lavoratori, ma …quanti sono precari?!

Lo studio soffre insomma di quella “deriva mercatistica” che tante volte abbiamo denunciato, che pure è stata avviata da esponenti del centro-sinistra come Walter Veltroni e Giovanna Melandri quando erano titolari del Collegio Romano: sono loro che hanno aperto la “cultura” al “mercato”, ovvero alle logiche del consumo. I loro successori Dario Franceschini e non meno Gennaro Sangiuliano si sono beati – esemplificativamente – di quanto fosse cresciuto il numero dei visitatori nei musei, senza porsi quesiti sul “senso” di questi incrementi, come se il “quantitativo” dovesse sempre prevalere sul “qualitativo” (come dire?! “il numero” su “il senso”)… Senza porsi quesiti sulla qualità dell’offerta, sull’identikit dei visitatori, sul ruolo stesso dell’istituzione “museo”…

Come se affermare (dimostrare?!) l’importanza economica del sistema culturale stesse a significare che, per questa ragione, la cultura è “importante”. Tralasciando di fatto tutti gli aspetti altri (o comunque “subordinandoli” all’economico): la stimolazione della coesione sociale e del senso civile, l’integrazione multiculturale, l’alfabetizzazione culturale e mediale, lo studio e la ricerca e la sperimentazione…

Non siamo così “apocalittici” (à la Umberto Eco), ma molte delle critiche di Tomaso Montanari (storico dell’arte, ma anche uno dei pochi intellettuali italiani appassionati di “politica culturale”) meritano essere accolte, rispetto a questo approccio ideologico assolutamente neo-liberista, che subordina il sociale (anzi il culturale!) all’economico (ci limitiamo a rimandare ai suoi saggi “Le pietre e il popolo” del 2013 ed ai più  recenti “Arte per tutti” e “Chiese chiuse” del 2021).

In Italia, nel sistema culturale sempre più lo Stato si inchina di fronte al Mercato…

Numeri e numeri ed ancora numeri (e di dubbia affidabilità metodologica) che riproducono la logica capitalistica del “size does matter”. Questo, almeno, nella sintesi del rapporto, nella presentazione, nei comunicati stampa…

Senza dubbio interessante invece la lettura dei vari e variegati contributi al rapporto, i quali, pur complessivamente privi di un approccio critico (della serie: “va tutto bene…”), forniscono un contributo di conoscenza ed analisi senza dubbio utile, anche se i contributori non sono sempre gli stessi e quindi è difficile cercare una lettura diacronica delle schede di lettura proposte di anno in anno… Questi contributi, seppur difformi tra loro come struttura, sono senza dubbio ricchi di dati e di considerazioni (inclusi preziosi suggerimenti bibliografici), e si rivelano la parte più interessante del rapporto (accantonando – appunto – la storica vocazione squisitamente “numerologica”…). Ci limitiamo a qui citare il contributo di Valentina Montalto (consulente Unesco), che così si apre: “forme di lavoro atipiche, lavori secondari, competenze difficilmente ascrivibili a una singola categoria: il lavoro culturale è sempre più complesso da imbrigliare in definizioni rigide e classificazioni statistiche” (così, pag. 37 del Rapporto). Sacrosante e condivisibili tesi, ma – ahinoi – Symbola pretende contare finanche all’unità (!) la “forza-lavoro” impiegata nel sistema culturale italico, magari giocando sui… codici Ateco.

I numeri, suvvia?! Secondo Symbola si tratterebbe di una “filiera” (in cui operano soggetti privati, pubblici e del terzo settore) che, nel 2023, cresce sia dal punto di vista del “valore aggiunto”, che sarebbe di 104,3 miliardi di euro, in aumento del + 5,5 % rispetto all’anno precedente e del +12,7 % rispetto al 2019, che da quello dell’occupazione, con 1.550.068 lavoratori (addirittura quantificati giustappunto… all’unità?!), ed una variazione del + 3,2 % rispetto al 2022, a fronte di un + 1,8 % registrato a livello nazionale…

Numerologie da trattare con prudenza. Molta prudenza

Ribadiamo: numerologie da trattare con prudenza. Molta prudenza.

Una “filiera” complessa e composita, in cui si trovano ad operare quasi 284mila imprese (sarebbero in crescita del + 3,1 % rispetto al 2022) e più di 33mila organizzazioni “non-profit” che si occupano di cultura e creatività (il 9,3 % del totale delle organizzazioni attive nel settore “non-profit”), le quali impiegano più di 22.700 tra dipendenti, interinali ed esterni (il 2,4 % del totale delle risorse umane retribuite operanti nell’intero universo del “non-profit”).

E poi, ancora una volta, un… “moltiplicatore” misteriosamente calcolato (una nota metodologica accurata è ancora assente: scrive Symbola che il “peso” della cultura e della creatività nel nostro Paese è molto maggiore rispetto al valore aggiunto che deriva dalle sole attività che ne fanno parte. Cultura e creatività, in maniera diretta o indiretta, generano complessivamente un valore aggiunto per circa 297 miliardi di euro. Oh, perbacco: boom! Che “grossi” numeri…

Anche se qualche dato “in negativo” c’è: per esempio, secondo le stime Symbola le imprese del settore “audiovisivo e musica” sarebbe calato dalle 16.388 imprese dell’anno 2022 alle 15.851 dell’anno 2023, con un decremento del 3 %…

In relazione alle critiche che abbiamo manifestato – con simpatia, sia ben chiaro – a Symbola nel corso degli anni, ci limitiamo a rimandare all’articolo che abbiamo pubblicato qualche mese fa, in occasione di un altro rapporto “numerologico”, anzi due: il dossier “Mini-cifre della Cultura” del Ministero della Cultura (che contiene errori marchiani anche soltanto nella quantificazione delle sale cinematografiche attive in Italia) e l’“Atlante delle Imprese Culturali e Creative” pubblicato dall’Istituto dell’Enciclopedia Italiana alias Treccani (che in verità ben poco ha aggiunto al lavoro di Symbola e sempre sui fantastici “codici Ateco” è anch’esso basato): vedi “Key4biz” del 4 dicembre 2023, “Dall’“Atlante delle Imprese Culturali e Creative” della Treccani alle “Minicifre della Cultura” del Ministero: quando la ricerca porta acqua alla conservazione”.

Questi studi non sono inutili in sé – sia ben chiaro – ma contribuiscono assai poco ad una analisi critica delle politiche pubbliche a sostegno della cultura: il deficit di approccio critico – ribadiamo – finisce per portare acqua alla conservazione.

Il deficit di approccio critico negli studi sulle politiche culturali determina dinamiche conservative e processi inerziali. E finanche rischi di “crash”

È esattamente l’errore commesso dallo stesso Ministero della Cultura nella (non) valutazione della “Legge Franceschini” (nata a fine 2016) per il settore cinema e audiovisivo: e, a distanza di anni, dopo un lungo periodo di entusiasmo privo di fondamento, si è… “improvvisamente” scoperto che tutto il settore era stato drogato dalla manna del “Tax Credit” e che si stava rischiando il “crash”.

Si noti bene: l’ha “scoperto” il Ministro designato da Fratelli d’Italia, Gennaro Sangiuliano, e non la sua ex Sottosegretaria, la senatrice Lucia Borgonzoni, che per anni (passando da una maggioranza all’altra, in funzione delle varie alleanze della Lega Salvini) ha invece continuato a manifestare plauso ed entusiasmo per le sorti “magnifiche e progressive” del cinema italico. In assenza – giustappunto – di analisi critiche e di valutazioni di impatto trasparenti

Questo è il problema essenziale di rapporti come quello di Symbola: producendo numerologie effervescenti, finiscono per essere strumenti dei “portatori d’acqua” del Principe di turno…

Infine, i crediti di “Io sono Cultura” edizione 2024?! Il rapporto è realizzato da Fondazione Symbola, Unioncamere, Centro Studi delle Camere di Commercio Guglielmo Tagliacarne, Deloitte, con la collaborazione dell’Istituto per il Credito Sportivo (Ics) e Culturale, Fondazione Fitzcarraldo, Fornasetti e con il patrocinio del Ministero della Cultura. È stato presentato da Ermete Realacci (Presidente della Fondazione Symbola), Alessandro Rinaldi (Vice-direttore Centro Studi delle Camere di Commercio “Guglielmo Tagliacarne”, Valeria Brambilla (socio ed Amministratore Delegato di Deloitte & Touche spa); Beniamino Quintieri (Presidente Istituto per il Credito Sportivo e Culturale). Tutti gli intervenienti hanno mostrato il succitato approccio da “bicchiere mezzo pieno”, in gran sintonia d’ottimismo…

Clicca qui per il Quaderno di Symbola, “Io sono Cultura 2024. L’Italia delle qualità e della bellezza sfida la crisi” (14° rapporto) curato dalla Fondazione Symbola per le Qualità Italiane, presentato il 19 settembre 2024 a Roma, Piazza Sallustio, Unioncamere.

[ Ha collaborato Luca Baldazzi. ]

(*) Angelo Zaccone Teodosi è Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult (www.isicult.it) e curatore della rubrica IsICult “ilprincipenudo” per “Key4biz” (ragionamenti eterodossi di politica culturale e economia mediale).

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