Da Key4biz (2/7/19): Decreto Legge ‘Quote’, allentati gli obblighi di trasmissione e di produzione per le Tv
Allentati e rimandati gli obblighi di trasmissione e di produzione per le televisioni, il prevedibile plauso di Confindustria Radio Tv, l’inspiegabile silenzio degli altri player. Ma le sanzioni Agcom restano pesanti, fino all’1 % del fatturato.
Nell’edizione di giovedì 28 giugno di questa rubrica “ilprincipenudo”, abbiamo segnalato – in anteprima giornalistica – che il Consiglio dei Ministri di mercoledì sera ha approvato un curioso decreto-legge, che va a modificare il “sistema delle quote”, ovvero gli obblighi di trasmissione di prodotti italiani ed europei, e gli obblighi di investimento in produzione audiovisiva “made in Italy” (“and Europe”).
“Key4biz” ha anche pubblicato l’articolo 3 del decreto-legge, concentrato giustappunto sul settore cinematografico ed audiovisivo (vedi “Key4biz” del 27 giugno 2019, “Cinema, il Governo modifica la Legge Franceschini e allenta quote obbligatorie per la Tv”).
È interessante proporre una lettura critica della ricaduta mediale-politica della vicenda. Dopo l’approvazione del decreto (di cui si è avuto notizia nella tarda serata di mercoledì, con il comunicato stampa ufficiale della Presidenza del Consiglio dei Ministri), nessuna reazione da parte di chicchessia.
Soltanto il quotidiano “il Messaggero”, giovedì, dedicava qualche riga al decreto-legge, che pure interviene anche in materia di personale delle fondazioni lirico-sinfoniche, tematica che sembra aver suscitato – curiosamente – maggiore attenzione mediale.
Nessuna dichiarazione del Ministro Alberto Bonisoli, che invece si è espresso compiaciuto rispetto alla prospettata norma sulle fondazioni liriche. Nessun comunicato stampa della Sottosegretaria Lucia Borgonzoni, che pure del decreto-legge è primaria artefice, ma un semplice post sulla propria pagina Facebook: la Sottosegretaria scrive “piena soddisfazione per l’approvazione odierna da parte del Consiglio dei Ministri del Dl che modifica gli obblighi di programmazione e investimento delle emittenti televisive e delle piattaforme digitali. Questo risultato è il frutto di un importante lavoro portato avanti dallo scorso novembre e realizzato con il Mise e tramite il confronto con tutti gli operatori del settore: produttori, televisioni e, per la prima volta, delle nuove piattaforme digitali. Finalmente il settore ha regole certe, coerenti e sostenibili che favoriranno gli investimenti nella produzione audiovisiva italiana”.
Il plauso di Confindustria Radio Televisioni
Soltanto nella serata di giovedì, viene diramato da Confindustria Radio Televisioni un (prevedibile) comunicato stampa di apprezzamento, anzi di “plauso”: “Plauso di Confindustria Radio Televisioni (Crtv) alle nuove misure di semplificazione e sostegno per il cinema e l’audiovisivo: favoriranno uno sviluppo più sostenibile dell’interno sistema”. L’anima televisiva di Confindustria (alla quale – ricordiamo – non aderisce Sky Italia) “esprime soddisfazione per il decreto legge approvato ieri, 26 giugno, dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri recante, tra l’altro, misure urgenti di semplificazione e sostegno per il settore cinema e audiovisivo”.
Crtv precisa che “il decreto è frutto di un lavoro di consultazione con le emittenti televisive nazionali, con le associazioni del settore cinematografico e audiovisivo e con i maggiori fornitori di servizi a richiesta all’interno di un tavolo coordinato da Lucia Borgonzoni, Sottosegretario al Mibac, e Marco Bellezza, Consigliere giuridico del Ministro Di Maio (Mise), a cui vanno i ringraziamenti per aver creato le condizioni per una piena collaborazione e per aver portato avanti un percorso legislativo complesso in tempi idonei a garantire la piena operatività della norma”.
Secondo Confindustria, “il nuovo decreto rende nel complesso più funzionali, graduali e flessibili le modalità con cui i fornitori di servizi media audiovisivi devono promuovere le opere europee e italiane”.
Confindustria Radio Televisioni critica il precedente assetto, ovvero il decreto legislativo n. 204/17, il cosiddetto “decreto Franceschini” (dal nome del Ministro che lo volle), che “aveva infatti ulteriormente inasprito il sistema di obblighi in capo ai broadcaster”. Il comunicato fa proprio un passaggio della “relazione tecnica” che accompagna il decreto-legge, così evidenziando come il Governo abbia deciso di bollare gli obblighi introdotti dal precedente esecutivo come “in alcuni casi eccessivamente rigidi e poco in linea con il mutato contesto del settore audiovisivo”.
Sulla questione delle “quote”, che bolle in pentola da mesi (anni?! decenni?!) non sembra registrarsi l’attenzione che merita.
Poca attenzione sul tema delle “quote”, ma le sanzioni ci sono
In verità, a livello giornalistico soltanto il sempre attento collega Aldo Fontanarosa si è appassionato alla materia: nel suo blog “Antenne” su “la Repubblica” ha pubblicato, insieme a Leandro Palestini, interventi approfonditi, tra i quali merita essere segnalato quello del 27 gennaio 2019, “Opere tv europee, le blande sanzioni di Agcom” commentando la deliberazione assunta dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni.
Si ricordi che il 22 gennaio 2019, Agcom ha approvato il “Regolamento in materia di obblighi di programmazione ed investimento a favore di opere europee e di opere di produttori indipendenti” (delibera n. 24/19/Cons). Scrivevano Fontanarosa e Palestini: “il decreto legislativo 204 del 2017 (clicca qui per il testo pubblicato in Gazzetta Ufficiale, nota nostra) aumenta molto le quantità di programmi italiani ed europei, aggiornando la legge di dodici anni prima (del 2005). Obiettivo del decreto legislativo è rilanciare l’industria nazionale ed europea che produce contenuti tv proteggendola dallo strapotere dei colossi statunitensi”.
Il collega si domandava se il sistema sanzionatorio è adeguato, e citava un interessante saggio curato da Giacomo Manzoli, docente dell’Università di Bologna, pubblicato nell’aprile 2018sulla testata specializzata “Aedon”, dal bel titolo: “Molto rumore per nulla? Il decreto legislativo in materia di promozione delle opere europee ed italiane da parte dei fornitori di servizi di media audiovisivi”. Si ricordi che Manzoli è uno dei pochi ricercatori italiani che possono essere classificati come “indipendenti”, in quanto non agganciati a lobby di sorta: si segnala il suo stimolante saggio, a quattro mani con Marco Cucco, “Il cinema di Stato. Finanziamento pubblico e economia simbolica nel cinema italiano contemporaneo”, pubblicato da il Mulino nel 2017. Manzoli sostiene che le “regole” funzioneranno se vi saranno sanzioni severe. E, commentava Palestini, “dispiace notare che queste sanzioni sono tutt’altro che severe e dolorose. L’editore tv che sgarra – in un determinato anno – pagherà al massimo 100 mila euro. Questi soldi sono bruscolini, se paragonati agli enormi fatturati di questi editori televisivi”.
È vero: Agcom può comminare, in generale, soltanto “sanzioni-bruscolini”. In questo caso è un po’ diverso: le sanzioni, in verità, ci sono e non sono proprio bruscolini, vanno da un minimo di 100.000 euro a 5 milioni di euro, e possono arrivare finanche all’1 % del fatturato: più precisamente, la misura minima delle sanzioni per i “trasgressori” è definita a 100.000 euro e la misura massima a 5 milioni di euro, ovvero fino all’1 % del fatturato annuo, quando il valore di tale percentuale è superiore a 5 milioni. Il decreto legislativo n. 204/2017 prevede che la verifica sul rispetto degli obblighi sia affidata all’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, la quale, entro il 31 marzo di ogni anno, presenta al Parlamento una relazione sull’assolvimento degli stessi e sulle sanzioni irrogate. Si dirà che 5 milioni di euro è comunque l’equivalente del budget di due o tre puntate di una fiction tv di alta gamma, e quindi… quasi-quasi, conviene trasgredire! L’1 % del fatturato comincia però ad essere un rischio preoccupante. Certo, queste sanzioni non sono mai state finora messe in atto, e qualcuno teme il solito andamento Agcom, mediterraneo ovvero dormiente…
La questione riguarda, al di là del caso specifico, in effetti, il complessivo “sistema sanzionatorio” di cui è dotata l’Agcom, questione che abbiamo noi stessi evidenziato anche recentemente, rispetto alla lotta all’“hate-speech”(vedi “Key4biz” del 5 giugno 2019,“L’Agcom presenta il regolamento contro l’hate speech. Ma senza sanzioni non è efficace”). Scriveva Palestini: “Il Garante può applicare solo le multe che le leggi generali le permettono di applicare; non può andare oltre certi vincoli, quando sanziona. Ma allora il Parlamento – nel varare le norme sulle opere tv – avrebbe dovuto dotare il Garante di armi più puntute e di un maggiore potere sanzionatorio. Cosa che ha invece dimenticato, forse per non dare troppo fastidio ai potentissimi editori della nostra televisione”.
In verità, nel caso in ispecie delle “quote” le sanzioni ci sono e sono certamente più fastidiose di una puntura di zanzara: certo, se Agcom controlla in modo serio, facendo pelo e contropelo alle emittenti ed agli “over-the-top”. Insomma, se il sistema sanzionatorio passa dalla teoria alla pratica.
Il 28 gennaio Fontanarosa tornava su “la Repubblica”, con un articolo anch’esso puntuto: “Arriva il bollino “Italia” sui programmi tv. Bisogna indicare la provenienza”, nel quale segnalava come Agcom abbia introdotto anche una quota del 30 per cento delle opere audiovisive del catalogo online di operatori come Netflix, Amazon Prime, Infinity (Mediaset), Chili Tv, Now Tv (Sky), Tim Vision, Vodafone Tv… Provenienza che deve essere segnalata da una sorta di “bollino” doc ben visibile.
Va segnalato che il decreto-legge approvato mercoledì deve essere comunque ben studiato nella sua complessità: è interessante, per esempio, la previsione secondo la quale per soggetti come Netflix il mancato stabilimento di una sede operativa in Italia e l’impiego di un numero di dipendenti inferiore a 20 unità (da verificare entro 12 mesi dall’entrata in vigore del regolamento dell’Autorità), comporta l’aumento di 3 punti percentuali dell’aliquota del 12,5 % degli introiti netti in Italia da investire a favore di opere audiovisive europee prodotte da produttori indipendenti (da segnalare che la quota finora prevista era del 15 %, ridotta al 12,5 % dal decreto-legge stesso).
Insomma, si allenta da una parte, si rafforza dall’altra… E si deve attendere comunque un nuovo “regolamento” Agcom…
Peraltro, si ha notizia che, nella gestazione “condivisa” del testo poi divenuto decreto-legge, i broadcaster hanno cercato di far ridurre significativamente il sistema sanzionatorio: in questo caso, però, lo Stato non ha gettato la spugna, e le multe son rimaste immutate.
Il silenzioso ma alacre lavoro delle lobby di broadcaster ed ott
Nei mesi seguenti all’approvazione della Delibera Agcom del 22 gennaio 2019 (il “regolamento sulle quote”, nello slang degli operatori), le lobby delle emittenti e degli “over-the-top” si mettono silenziosamente all’opraed ottengono il risultato prefissato: allentare gli obblighi e rimandarli, ancora una volta, nel tempo. Libero mercato. Libero.
Come dire, se l’approccio iper-liberista nella vicenda è comprensibile in un partito come la Lega Salvini, è più arduo comprendere l’atteggiamento del Movimento 5 Stelle.
È anche vero che non ci sembra vi sia una vera “linea” di politica culturale e mediale da parte dei grillini, e se ne ha conferma osservando la deriva della Rai.
Ideologicamente, analizzando i fatti (il concreto “policy making”, al di là delle “grandi” strategie scenaristiche) sembra prevalere comunque – nella Lega e nel M5S – una grande apertura al mercato in ambito televisivo, un convincimento intimo sulle sue naturali doti: meno Stato, più mercato. Se poi, il mercato viene interpretato in salsa digitale, tutto diviene più semplice, bello, liberatorio, salvifico.
Le quote sono un “caso di studio” veramente interessante.
Vengono allentate e rimandate, si riducono gli obblighi: il tutto, incredibilmente, nel silenzio dei più.
Come abbiamo già segnalato su queste colonne, una labile voce di contestazione è emersa il giorno prima della prospettata prima presentazione del decreto-legge in Consiglio dei Ministri, da parte dell’associazione 100autori. Il 19 giugno l’associazione ha manifestato peraltro perplessità non sulle “quote”, ma sulla rimodulazione della quota percentuale dei fondi della legge cinema da allocare a favore dei cosiddetti “contributi selettivi” (altra questione dolente della politica cinematografica italica). Rispetto alle quote, 100autori sostiene che si tratta di “norme veramente necessarie e urgenti relative alle modifiche degli obblighi di investimento e programmazione per i fornitori di servizi media audiovisivi”. Comunque il decreto-legge salta all’ordine del giorno del Cdm di mercoledì 19 giugno. Riappare mercoledì 26 giugno e viene approvato.
Per il resto, silenzio tombale.
Anche per l’Anica, elogio della “disruption” creativa e del libero mercato?
Sul finire della scorsa settimana, si registra la voce dell’Anica, l’Associazione Nazionale Industrie Cinematografiche Audiovisive Multimediali. Commenta il Presidente Francesco Rutelli: “le misure varate dal governo vanno accolte positivamente”. Sembra paradossale che il Presidente dell’associazione dei produttori cinematografici – che, secondo logica, dovrebbe essere favorevole ad un sistema di quote – manifesti un parere positivo. Rutelli però lamenta che “l’entrata in vigore degli obblighi di investimenti e programmazione di broadcaster e piattaforme slitta di un anno (a gennaio 2020)”. Si ricordi che, in verità, a seguito di quanto disposto dalla Legge di Bilancio 2019, il graduale innalzamento degli obblighi di programmazione previsto dal D.Lgs. 204/2017 si sarebbe dovuto applicare a decorrere dal 1° luglio 2019…
Il Presidente dell’Anica, anch’egli evidentemente sedotto dal vento liberista, si dichiara convinto che “l’insieme delle norme può consentire una programmazione per industrie e settori creativi che sono sfidati da enormi trasformazioni globali”.
Come dire?! Elogio della “disruption creativa” e, ancora una volta, del “libero mercato”.
Meno regole?! Saremo tutti più liberi, buoni, e belli.
L’altra potente associazione del settore, l’Apa – Associazione Produttori Audiovisivi (ex Apt) tace, nessuna dichiarazione del Presidente Giancarlo Leone. Anche lui sedotto dal vento della “disruption”?!
La domanda che sorge naturale è: la questione degli obblighi e delle quote non interessa più nessuno, nel sistema culturale italiana?!
È veramente “follia passatista”, come ha scritto – rispetto alle ipotizzate quote a favore della musica italiana sulle emittenti radiofoniche – il critico musicale de “la Repubblica” Ernesto Assante?!
Noi crediamo di no. E torneremo presto sulla questione, che riteniamo importante, anzi fondamentale, per lo sviluppo dell’industria culturale nazionale.
Nel mentre, ci piacerebbe vedere un Agcom che mette in atto concretamente le sanzioni previste dalla legge vigente, in caso di trasgressioni. Dovremo attendere ormai la prossima consiliatura, dato che l’attuale è in scadenza tra poche settimane.
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