Da Key4biz (21/03/2023): Scontro Meta vs Siae: la battaglia Siae è d’avanguardia o retroguardia?
L’oggetto del contendere va oltre l’aspetto materiale (sono in ballo pochi milioni di euro) ed è questione di principio, per superare l’asimmetria (“information gap” e “value gap”) che avvantaggia le piattaforme.
Abbiamo dato adeguata attenzione allo scontro venutosi a determinare giovedì scorso 16 marzo 2023 tra Meta (il gruppo al quale appartengono Facebook ed Instagram) e Siae, allorquando la società di Menlo Park ha annunciato che, non essendo stata trovata una intesa per rinnovare “l’accordo di licenza con Siae” (scaduto il 1° gennaio 2023), avrebbe avviato “la procedura per rimuovere i brani del repertorio Siae all’interno della nostra libreria musicale” (vedi l’intervento di Paolo Anastasio, su “Key4biz” del 16 marzo 2023, “Meta, salta l’accordo con Siae. Via la musica da Facebook e Instagram”).
Come abbiamo spiegato nell’economia di questa rubrica “ilprincipenudo” (curata da IsICult per Key4biz), le conseguenze sono state ben concrete, sull’universo degli utenti di Facebook ed Instagram italiani: da due o tre giorni, non sipossono più usare i brani del repertorio Siae nelle “Storie” di Facebook e Instagram, cioè nei “Reel” di Facebook e Instagram e nei “Feed” di Instagram, dove la musica si può aggiungere ai post dallo scorso novembre. Di fatto, tutti gli artisti italiani (ovvero la gran parte di essi, gli associati Siae sono oltre 106mila) sono stati cancellati dal “catalogo” di Facebook e Instagram (vedi “Key4biz” del 17 marzo 2023, “Tra Rai e Siae, spuntano Meta e ChatGpt: delle irrisolte contraddizioni fra politica culturale e ‘value gap’”). Anche se questa procedura di rimozione è avvenuta e sta avvenendo in modo non esattamente scientifico, avendo coinvolto erroneamente anche brani dell’altra “collecting” italica, Soundreef (che vanta avere nel proprio catalogo circa 28mila autori, di cui circa una metà italiani).
Le conseguenze sono dannose anzitutto per gli utenti, come ovvio, ma anche per la stessa Meta, dato che, così operando, perde “clienti”, considerando che togliere la musica da immagini e video determina una prevedibile riduzione del parco-fruitori della piattaforma… Si tratta di una classica arma a doppio taglio.
Se il nostro articolo di venerdì scorso è stato uno dei primi a “contestualizzare” la vicenda nell’ambito della rottura dei paradigmi storici di fruizione dei prodotti culturali determinata dalla rivoluzione digitale, rimarcando come si tratti dell’ennesimo processo che evidenzia le dinamiche nefaste del “value gap” (le piattaforme si arricchiscono grazie ai contenuti, e remunerano poco e male i creatori di contenuto), nei giorni successi (da venerdì 17 ad oggi martedì 21 marzo), la questione ha assunto una rilevanza crescente, anche sui media “mainstream”.
Ieri, Paolo Anastasio su queste stesse colonne poneva un quesito molto interessante, come emerge dal titolo del suo articolo “Meta vs Siae, cosa c’è dietro lo scontro? Italia primo test da replicare?”.
La posizione della Società Italiana degli Autori e Editori: avanguardia o retroguardia?
In effetti, due contrapposte tesi si scontrano:
- se è vero che Meta ha raggiunto accordi con le omologhe di Siae in 150 Paesi, come mai in Italia non ci sta riuscendo?!
- Siae si pone come avanguardia nella lotta per la tutela dei diritti degli autori (i creatori di contenuti di qualità), oppure si tratta di una battaglia degna di una retroguardia paleo-digitale?!
La mossa anti-Siae potrebbe in effetti essere una carta giocata da Mark Zuckerberg per negoziare a sua volta con il fisco italiano condizioni meno gravose per le casse aziendali che attualmente non sono esattamente in condizioni floride (è stato tra l’altro deciso il licenziamento di oltre 10mila dipendenti!). E questa è una possibile interpretazione.
Altra interpretazione è che Siae – col nuovo corso affidato da ottobre scorso al neo Presidente Salvatore Nastasi (fermo restando Giulio Rapetti Mogol Presidente Onorario) e da gennaio 2023 dal neo Direttore Generale Matteo Fedeli – abbia deciso di intraprendere una vera e propria crociata, affinché l’Italia possa divenire il primo Paese a pretendere una concreta applicazione della Direttiva Europea sul Copyright, che prevede – in estrema sintesi – che le piattaforme condividano non soltanto le informazioni ma anche i flussi reddituali con i creatori di contenuto.
Ridurre l’asimmetria: al di là degli spiccioli che sembrano essere in gioco, è questione di principio, a tutela dei produttori di contenuto (autori e editori)
È una battaglia di principio (potremmo addirittura sostenere – presi da un conato di retorica – che si tratta di una “battaglia di civiltà”), oltre che una battaglia che cerca di ridurre l’asimmetria che caratterizza la produzione di ricchezza nell’ambiente digitale: alle piattaforme, il ricco banchetto; agli autori, gli avanzi della mensa.
L’iniziativa di Meta è certamente un atto di forza, piuttosto aggressivo, che va oltre l’aver abbandonato il tavolo delle trattative.
Siae continua comunque a dichiararsi disponibile a riavviare la trattativa.
Ancora una volta, le dinamiche concrete e materiali della vicenda non sono note, se non alle due parti.
Che si guardano bene dallo svelare delle cifre.
IsICult – Istituto italiano per l’Industria Culturale (nella veste di curatore di questa rubrica su Key4biz) si è rivolto a Meta, peraltro cercando di superare le abituali “barriere” che multinazionali come questa (esattamente come Netflix ed Amazon, etc.) pongono nelle proprie “relazioni esterne” e finanche nei rapporti con i media (identificare un responsabile o anche un referente è spesso una “mission impossible”), avendo posto sulle colonne di “Key4biz” di venerdì scorso, una qualche… domanda.
Crediamo sia importante (ed interessante) riportare esattamente le (non) risposte.
“Ecco le risposte alle domande presenti nell’articolo di Key4Biz. La prima risposta serve per dare il contesto e può essere inserita in un eventuale articolo, ma non va indicata come dichiarazione di Meta e non può essere virgolettata. La seconda risposta è invece una dichiarazione che può essere attribuita a un generico portavoce di Meta” (testuale)
Con queste premesse:
Domanda IsICult: “Che condizioni sono riuscite ad ottenere le “collecting” omologhe di Siae in altri Paesi?”
Risponde Meta:
“Meta ha rinnovato con successo accordi di licenza con molti dei suoi più importanti partner in tutta Europa (Spagna, Francia, Germania, Svezia), Regno Unito e Turchia. Tutti questi accordi si basano sul modello di compenso e sulle condizioni che sono state proposte da Meta a Siae”.
Domanda IsICult: “in generale, dopo quanto sta succedendo (diverse associazioni che esprimono preoccupazione, altre che auspicano l’accordo e l’interrogazione presentata da Gasparri), Meta sta ripensando alla vicenda in questo senso, o comunque rimane sulle sue posizioni? Perché?”
Risponde Meta:
“Crediamo che sia un valore per l’intera industria musicale permettere alle persone di condividere e connettersi sulle nostre piattaforme utilizzando la musica che amano. Abbiamo accordi di licenza in oltre 150 paesi nel mondo e continueremo a impegnarci per raggiungere un accordo con Siae che soddisfi tutte le parti”.
Come commentare?! Risposte cortesi quanto evanescenti.
Da giovedì ad oggi,la Società Italiana degli Autori e Editori ha continuato a sostenere che si tratta di una “decisione unilaterale” di Meta per escludere il repertorio della società dal proprio catalogo, “prescindendo da qualsiasi valutazione trasparente e condivisa dell’effettivo valore del repertorio”. Di fatto, Siae accusa il gruppo di Mark Zuckerberg di aver rifiutato di condividere “informazioni rilevanti ai fini di un accordo equo”, andando contro i principi della Direttiva “Copyright”.
Come abbiamo ben spiegato venerdì scorso, lo scontro è determinato dalle contrapposte tesi: Meta vorrebbe un accordo “a forfait”, mentre Siae vuole un accordo che determini una equa ripartizione dei ricavi, in funzione del reale andamento delle fruizioni da parte degli utenti.
Solo in Italia?! La Federazione Internazionale degli Editori Musicali: le “tattiche da dittatore” di Meta sono fallite in Francia, Australia, Danimarca, Canada…
La società di Menlo Park sostiene che “soltanto con l’Italia” non sarebbe riuscita a trovare un’intesa…
Però c’è chi contesta a chiare lettere questa tesi: dura la presa di posizione del Direttore generale della Federazione Internazionale degli Editori Musicali (Icmp = International Confederation of Music Publishers), John Phelan, che definito “tattiche da dittatore” da parte di Meta nei confronti di Siae: “oggi, l’industria dell’editoria musicale sta negoziando per garantire che aziende come Meta rispettino la legge, che è cristallina grazie al forte sostegno del governo italiano alla nuova direttiva sul copyright dell’Unione Europea. Questa legge stabilisce che se aziende come Meta e servizi come Facebook vogliono utilizzare la musica degli altri, devono acquisire una licenza e pagare i creatori. Quello che Meta sta facendo è utilizzare tattiche da dittatore, imponendo una tariffa in modalità “prendere o lasciare” e, in assenza di soddisfazione, rimuovendo la musica per cercare di svalutare l’accordo. Queste tattiche non sono nuove. Sono state provate in Francia, Australia, Danimarca, Canada e ora in Italia. Sono fallite in questi altri Paesi e non verrà consentito che abbiano successo in Italia. Meta deve rispettare la legge e acquisire una licenza completa e equa per la musica che vuole utilizzare e trarne profitto”.
Noccioline… Siae ricava dalle piattaforme soltanto 10 milioni di euro l’anno?! L’Italia “mercato-test” per Meta, arroccata nel suo “no data”?!
Oggi sul quotidiano “Italia Oggi”, Claudio Plazzotta rivela alcune cifre e minimizza l’aspetto quantitativo della querelle, sostenendo che si tratta piuttosto di una questione di principio: nel 2021, Siae avrebbe raccolto in Italia soltanto 10 milioni di euro per artisti, autori, producer, aventi diritto, di cui 8 milioni da YouTube (ovvero Google, gruppo Alphabet), 1 milione da Tik Tok (gruppo ByteDance), 1 milione da Instagram (gruppo Meta). “Noccioline”, scrive Plazzotta, ipotizzando che l’obiettivo della Società Italiana degli Autori e Editori sia comunque puntare ad almeno il doppio, con un target di almeno 2 milioni di euro…
Riteniamo che la battaglia intrapresa dalla Siae vada ben oltre e sia – come si notava – anzitutto di principio.
Se Siae ha “alzato il tiro”, determinando che Meta arrivasse a rompere la trattativa, è perché verosimilmente la società di Mark Zukerberg non vuole accogliere il principio della “condivisione”: di informazioni e di danaro.
E l’Italia potrebbe quindi divenire una sorta di “mercato-test”, nell’economia di una visione globale / globalizzata delle “operations” nazionali della multinazionale.
Eppure soltanto attraverso il superamento dell’“information gap” e del “value gap” è possibile andare oltre l’asimmetria in atto da anni (tutta a vantaggio delle piattaforme).
Abbiamo ricordato su queste colonne come l’’articolo 19 della Direttiva Europea imponga l’obbligo di trasparenza: i licenziatari sono infatti tenuti a fornire annualmente, ai titolari dei diritti ed alle associazioni degli interpreti, informazioni complete, aggiornate e pertinenti sullo sfruttamento dell’opera, compresi il capitale generato ed il compenso dovuto.
L’articolo 20 determina invece il diritto per gli autori di rivendicare una remunerazione maggiore, adeguata ed equa, qualora quella prevista inizialmente appaia essere troppo bassa rispetto ai proventi effettivi generati dallo sfruttamento dell’opera/esecuzione.
“Dday”: “Meta vuole tagliare i ponti con Siae ma non può: sui video non ha nessun controllo”
Da segnalare quel che ha pubblicato ieri sera la qualificata newsletter “Dday” (diretta da Gianfranco Giardina, testata peraltro mai tenera nei confronti della Siae), in un intervento a firma Roberto Pezzali, dal titolo provocatorio “Meta vuole tagliare i ponti con Siae ma non può: sui video non ha nessun controllo”. E così spiega: “Siae, in attesa delle prossime mosse, è vigile: Meta non può in alcun modo pubblicare contenuti con audio per i quali non ha una licenza regolarmente pagata ed è responsabile per i contenuti caricati dagli utenti. Qui sorge il problema: se per le storie è relativamente facile gestire la musica, basta toglierla dall’elenco delle tracce selezionabili dall’utente e controllare i metadati degli elementi aggiunti ad una storia già pubblicata (la musica è tra questi), per i video Meta non è pronta. Nel momento in cui scriviamo infatti è possibile caricare un video con una traccia musicale di un autore Siae, ci abbiamo provato con una traccia di Gino Paoli, e il sistema sembra non essere interessato alla cosa. Meta non ha previsto, proprio per la modalità a “forfait” con cui ha sempre gestito i diritti musicali, un sistema di identificazione della musica di ogni singola traccia con analisi del brano”. Un bel paradosso!
In attesa della risposta del Governo all’interrogazione parlamentare di Gasparri (Forza Italia): “incredibile arroganza di Meta”. Manzi e Orfini (Pd): “sconcertati”
Si attende la risposta del Governo all’interrogazione parlamentare che Maurizio Gasparri (Forza Italia), Vice Presidente del Senato, ha annunciato venerdì scorso 17 marzo: “ho presentato un’interrogazione ai Ministri competenti per quanto riguarda l’inquietante vicenda di Meta, il gigante della rete proprietario di Facebook, Instagram, Whatsapp e Messenger, e la Siae, la società che tutela i diritti di autore nonché opere e musica degli artisti produttori. È incredibile l’arroganza con cui Meta decide, unilateralmente, di interrompere gli accordi con la Siae e far sparire la musica italiana dai social. Oltretutto andando contro i principi sanciti dalla Direttiva Copyright per cui tantissimi autori ed editori si sono sempre battuti. L’ennesimo atto di arroganza da parte di chi, oltre a non pagare le tasse, vorrebbe continuare ad alimentare i suoi incassi utilizzando il lavoro dei nostri artisti senza riconoscergli quanto gli è dovuto. Ho chiesto quindi ai Ministri competenti di fare chiarezza su questa vicenda, affinché si ponga un freno a questi veri e propri atti di pirateria che il nostro Paese continua a subire ingiustificatamente. Dopo l’enorme danno che questi nuovi ‘potentati’ hanno creato al commercio, pagando cifre irrisorie al fisco rispetto a tanti onesti commercianti, ora vorrebbero anche approfittare del lavoro dei nostri artisti. È una vergogna. Noi vogliamo fortemente che il progresso e la tecnologia vadano avanti ma senza stravolgere le leggi della concorrenza e riconoscendo il lavoro egualitario di tutti”.
A sinistra, questa la presa di posizione assunta sabato scorso dal Partito Democratico, nelle parole di Irene Manzi e Matteo Orfini, deputati “dem” componenti della Commissione Cultura della Camera: “purtroppo, in queste ore, assistiamo agli effetti del mancato accordo tra Meta e Siae per il rinnovo della licenza sul diritto d’autore. Sui social cominciano a essere bloccati o silenziati i brani che rientrano nel repertorio Siae. Si tratta di una decisione unilaterale e dannosa che lascia sconcertati; per questo auspichiamo si raggiunga al più presto un accordo tra le parti che tenga conto della valutazione trasparente e condivisa dell’effettivo valore del repertorio. Il governo convochi immediatamente i soggetti coinvolti e lavori per riaprire il negoziato e raggiungere un accordo equo che tuteli consumatori, autori e editori nel pieno interesse del crescente mercato musicale in Italia e degli aventi diritto. Vanno ripristinati al più presto sulle piattaforme Meta tutti i brani di cui Siae amministra i diritti”.
Slc Cgil: “in un negozio, il prezzo delle merci non lo decide l’acquirente”
Interessanti e ben articolate anche le argomentazioni della Cgil – Slc (Sindacato Lavoratori della Comunicazione), che venerdì 17 ha mostrato chiara sensibilità nei confronti delle conseguenze negative della società digitale: “veniamo a conoscenza con preoccupazione ed incredulità del fatto che la trattativa sulle utilizzazioni da parte di Meta delle opere tutelate da Siae sarebbe incagliata su questioni di percentuali sugli introiti e ripartizioni analitiche, vale a dire che Meta pretenderebbe di concordare compensi forfettari svincolati dal suo volume di affari in Italia (che secondo l’utilizzatore deve restare sconosciuto) e da qualsiasi dato inerente le utilizzazioni effettive del repertorio tutelato da Siae”.
Rimarca il maggiore sindacato italiano: “è bene ricordare che la Direttiva Barnier, a lungo invocata quando si trattava di liberalizzare il settore, prevede espressamente che gli utilizzatori debbano fornire i dati relativi sia alle utilizzazioni che al volume di affari generato, in modo che la contrattazione possa basarsi su dati reali ed individuare compensi adeguati sia alle giuste spettanze degli autori che ai guadagni in tal modo conseguiti dall’utilizzatore. Non si tratta di prendere posizione nei confronti di questa o di quella collecting, o di giudicare tout court il comportamento negoziale di un grande utilizzatore, ma di rispettare i parametri di contrattazione identificati a livello europeo soprattutto in presenza di chi ha introiti enormi e grandemente differenziati, ricava i propri guadagni solo parzialmente dalla utilizzazione di repertorio tutelato e fruisce per di più di tassazioni di favore”.
E conclude: “in un negozio, il prezzo delle merci non lo decide l’acquirente, ma è frutto quanto meno di una valutazione congiunta: la decisione di Meta, di ‘far saltare il banco’ ricattando gli autori italiani (o ti accontenti di quello che decido di darti o boicotto le tue opere), è muscolare ed è sintomatica dell’arroganza del nuovo potere economico ‘virtuale’, quello che dovremmo smettere di finanziare con il nostro consenso e costringere a pagare come tutti le altre realtà commerciali”.
Si resta in attesa delle prossime puntate della controversa vicenda.
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