Da Key4biz (23/01/23): Silenzio stampa (e della politica) su Rai e Cinecittà
Il Ministro Giorgetti incontra l’Ad Fuortes ma permane una cortina fumogena assoluta. Totale assenza di dibattito pubblico sul futuro di Viale Mazzini, manovre nell’ombra della partitocrazia, intanto la Commissione di Vigilanza passa da 40 a 42 membri.
Ci piace – per così dire… – osservare che alcune notizie che il quotidiano online Key4biz ha lanciato in esclusiva (assoluta) la scorsa settimana siano state completamente ignorate dal sistema mediale “mainstream”:
- lunedì 2 gennaio 2023, sono IsICult & Key4biz a segnalare che, nel silenzio di tutti, il “contratto di servizio” tra Ministero e Rai, relativo al quinquennio 2018-2022, è stato prorogato dal Governo non al 30 luglio 2023 (come recitava, erroneamente, il comunicato stampa ufficiale di Palazzo Chigi dopo la riunione del 21 dicembre 2022), bensì al 30 settembre 2023: 8 mesi otto di proroga, invece dei 6 mesi annunciati; e la notizia sbagliata della proroga di sei mesi è stata ripresa da molte, e qualificate, testate giornalistiche (vedi “Key4biz” del 2 gennaio 2023, “Pasticcio Manovra 2023 e Milleproroghe: “Bonus Cultura” rimandato al 2024, “Contratto di servizio” Rai a settembre 2023”)…
- mercoledì della scorsa settimana, 18 gennaio 2023, siamo stati tra i pochi (pochissimi) ad affrontare il “dossier Cinecittà”, ovvero la mina vagante della deliberazione della Corte dei Conti sulla gestione dei fondi Pnrr da parte di Via Tuscolana; la notizia è stata lanciata per prima dal quotidiano “La Verità” il 3 gennaio 2023 (la deliberazione della magistratura contabile è stata resa nota il 30 dicembre), ma quasi nessuno sembra essersene interessato, nonostante la pericolosità della vicenda, anche rispetto ai futuri flussi numismatici di cui dovrebbe beneficiare Cinecittà nei prossimi mesi, ovvero i complessivi 300 milioni di euro assegnati dal “Recovery Plan”; e venerdì 20 siamo stati gli unici a segnalare che la prevista audizione dell’Ad di Cinecittà Nicola Maccanico di fronte alla Commissione Cultura della Camera presieduta da Federico Mollicone (Fratelli d’Italia) era stata inspiegabilmente spostata da giovedì 19 a giovedì prossimo 26 gennaio (vedi “Key4biz” del 18 gennaio 2023, “Il “dossier Cinecittà”, 32 milioni di euro per la formazione. Ma la Corte dei Conti chiede chiarezza”)…
- venerdì scorso 20 gennaio, abbiamo segnalato che tra i candidati alla successione di Goffredo Bettini, dimissionario dal Consiglio di Amministrazione di Cinecittà ci sarebbe in pool position l’avvocato Giuseppe De Mita (figlio del famoso Ciriaco), manager nell’organizzazione di eventi, ma certamente non esattamente noto per la sua competenza ed esperienza nel settore cinematografico e audiovisivo; siamo stati anche gli unici – dopo il qualificato ed effervescente blog specializzato “BloggoRai-La Rai prossima ventura” – a segnalare l’anomalia dell’estensione dei componenti della Commissione di Vigilanza Rai da 40 a 42 membri, attraverso un emendamento che – pur approvato all’unanimità – non può avere valore di legge, almeno fino a quando non verrà definitivamente legge dello Stato (vedi “Key4biz” del 20 gennaio 2023, “Cinecittà: da Bettini a De Mita? Rai: in arrivo la Commissione di Vigilanza. Il Presidente sarà “in quota” M5s”)…
E di Rai, al di là delle solite grancasse sull’imminente Festival di Sanremo, nessuno scrive nulla. Altresì dicasi di Cinecittà.
Nessuno sembra realmente interessarsi, tra politici e giornalisti, della situazione di Viale Mazzini, e della situazione degli “studios” di Via Tuscolana.
Negli ultimi giorni, merita essere segnalato un articolo: è stato soltanto il quotidiano “Il Messaggero” di sabato 21 gennaio 2023 a rendere noto – in esclusiva – che venerdì scorso 20 gennaio ci sarebbe stato un incontro (ovviamente avvolto nella riservatezza più assoluta) tra il Ministro dell’Economia e Finanze (Mef) Giancarlo Giorgetti e l’Amministratore Delegato della Rai Carlo Fuortes: scrivono Francesco Malfetano ed Emilio Pucci, che, “chiuso il primo giro di nomine, sul tavolo del governo piomba ora il dossier Rai”. Giorgetti avrebbe manifestato preoccupazione sulla dinamica finanziaria di Viale Mazzini: nonostante un pareggio di bilancio che sarebbe stato raggiunto nel 2022, l’indebitamento veleggia oltre i 600 milioni di euro… “Grande rilievo al capitolo RaiWay. La vendita delle quote con il il pacchetto della tv pubblica che potrebbe scendere sotto la maggioranza assoluta, fino alla possibile fusione con Ei Towers preoccupa molti”…
Si ricordi che l’attuale Cda della Rai è stato sostanzialmente scelto dal Partito Democratico, dal M5s e da Mario Draghi: esecutivo e parlamento sono attualmente ben diversi da quelli che hanno determinato quelle nomine. I due giornalisti citano una fonte anonima di Fratelli d’Italia, secondo la quale attualmente “chi ha vinto le elezioni è fuori da tutto”, e questa situazione andrebbe presto modificata ovvero opportunamente “corretta”.
E nella Rai dei prossimi mesi, appare pronto ad assumere un ruolo assolutamente primario il fiduciario di Giorgia Meloni in materia televisiva, ovvero l’ex Consigliere di Amministrazione Giampaolo Rossi (che è stato anche candidato a guidare – tra l’altro – il Ministero della Cultura). Nelle more di un possibile “dimissionamento” di Fuortes, Rossi potrebbe essere nominato Direttore Generale, ma con una modificazione dell’attuale assetto della “governance” di Viale Mazzini che gli assegni poteri non del tutto subordinati a quelli attuali dell’Ad. Strumentazione che potrebbe essere inserita – come sempre “all’italiana” – in un qualche decreto di tipo omnibus…
Come sarà “spartita” la prossima Commissione di Vigilanza Rai, che dovrebbe passare da 40 a 42 componenti?
Questa la composizione partitica della precedente Commissione, presieduta dal forzista Alberto Barachini (nominato dal Governo Meloni Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri con delega all’Informazione e l’Editoria): situazione al maggio 2021 (secondo l’analisi sempre accurata di OpenPolis): “oggi la componente giallorosa del governo conta 16 membri all’interno della Commissione di Vigilanza Rai: 9 del Movimento 5 Stelle, 5 del Partito Democratico, 2 di Leu (di cui uno, come componente del Gruppo Misto al Senato). Quanto alla componente di centrodestra del governo invece sono 14 i membri della commissione: 7 di Forza Italia e 7 della Lega. Fratelli d’Italia, unico gruppo parlamentare di minoranza, esprime 2 membri mentre i rimanenti si dividono tra gruppo misto (6 di cui uno già contato come Leu), Italia Viva (2) e il Gruppo per le Autonomie (1)”.
Clicca qui per la scheda dei membri che risulta sul sito web della XVIII Legislatura.
È ovviamente prevedibile che i “numeri” dei prossimi giorni saranno ben differenti…
Sarà interessante conoscere non soltanto il “peso” di ogni partito, ma anche l’identità dei 42 deputati e senatori che andranno a comporla.
Come e perché è passato l’aumento dei componenti della Commissione Vigilanza Rai da 40 a 42… prima “inammissibile” e poi classificato come “ammissibile” a causa dell’unanimità dei pareri
Se, nella precedente composizione, erano necessari almeno 21 voti per essere eletti Presidente, con la nuova composizione a quota 42 membri, i voti necessari saranno 22…
Abbiamo già ricordato su queste colonne che la proposta di modifica è stato presentato dalle relatrici Annarita Patriarca (Forza Italia) e Luana Zanella (Avs – Alleanza Verdi Sinistra), nell’economia della proposta di legge che istituisce una nuova Bicamerale, quella contro il Femminicidio. Da notare che l’emendamento all’inizio era stato dichiarato “inammissibile” per estraneità di materia, ma poi, essendo tutti i gruppi d’accordo, l’unanimità ha superato il giudizio di inammissibilità: dinamica, anche questa, tipicamente “italica”…
Della dinamica in verità non si ha nessuna traccia giornalistica, se non un dispaccio Ansa di giovedì 19 gennaio scorso, che così spiega il “dietro le quinte”: “il tema della mancata rappresentanza dei piccoli gruppi parlamentari sia con senatori che con deputati è stato sollevato ieri da Maurizio Lupi (NcI), preannunciando quindi un paio di emendamenti. Nel corso delle interlocuzioni, ieri nella tarda serata e stamani, è emersa la possibilità che fosse presentato un emendamento da parte delle relatrici, Annarita Patriarca (Fi) e Luana Zanella (Avs) che aumentasse il numero dei componenti della Bicamerale, cosa su cui le opposizioni hanno dato l’assenso. «Stiamo valutando per capire – ha spiegato al termine della seduta Patriarca all’Ansa – se il Senato ci garantisce una rapida approvazione in terza lettura della legge istitutiva della Bicamerale». Anche Marco Furfaro, Capogruppo del Pd in Commissione Affari sociali, interpellato in proposito, ha detto che, a tali condizioni, il suo partito voterebbe l’emendamento. Il bastone tra le ruote dell’iter del provvedimento è costituito da un emendamento della maggioranza che riguarda la Commissione di Vigilanza, dove il problema della rappresentanza dei piccoli gruppi si ripresenta. Su questo emendamento, i gruppi di opposizione, nelle interlocuzioni informali, hanno detto di non essere d’accordo, sottolineando che è inammissibile per estraneità di materia. La presentazione o meno di tale emendamento costituirebbe quindi un elemento che accelera o rallenta l’iter rapido della legge istituito dalla Bicamerale sul femminicidio”…
Approfondiamo la dinamica.
Leggendo il verbale della riunione delle Commissioni Giustizia e Affari Sociali del 19 gennaio 2013, si apprende che Marco Furfaro (Pd-Idp; si precisa che la sigla “Idp” sta per “Italia Democratica e Progressista”) ha sottolineato che “in primo luogo, che occorre procedere con celerità all’istituzione della Commissione parlamentare d’inchiesta sul Femminicidio. Per quanto concerne l’accordo politico richiamato dal deputato Lupi, ribadisce che occorre l’unanimità di tutti i gruppi, per procedere alla votazione delle proposte emendative relative all’ampliamento del numero dei componenti della Commissione di Vigilanza Rai. Osserva che, in ogni caso, tale modo di procedere deve essere rigorosamente circoscritto al caso in questione, senza diventare un precedente”.
Interessante la precisazione di Furfaro: “rigorosamente circoscritto” e “senza diventare un precedente” (sic).
Questo è quindi il testo dell’emendamento approvato, che modifica la Legge n. 103 del 1975, a distanza di poco meno di 50 (cinquanta!) anni:
“(Modifica della composizione della Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi). 1. All’articolo 1 della legge 14 aprile 1975, n. 103, il terzo comma è sostituito dal seguente: « 3. Essa è composta da ventuno senatori e da ventuno deputati, nominati rispettivamente dal Presidente del Senato della Repubblica e dal Presidente della Camera dei deputati, in proporzione al numero dei componenti dei gruppi parlamentari, comunque assicurando la presenza di almeno un deputato per ciascun gruppo esistente alla Camera dei deputati e di almeno un senatore per ciascun gruppo esistente al Senato della Repubblica». (emendamenti * 6.01. Schullian, Brambilla e * 6.02. Lupi).
Si tratta quindi di un emendamento innestato “impropriamente” dalle Commissioni riunite II (Giustizia) e XII (Affari Sociali), in sede referente, nella seduta del 19 gennaio 2023, durante l’iter per la “Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere. (C. 640, approvata, in un testo unificato, dal Senato, C. 602 Serracchiani e C. 772 Ascari)”.
Ne deriva che è prevedibile che – così stando le cose – si debba attendere la definitiva approvazione del disegno di legge che istituisce la Commissione sul Femminicidio.
Questione di giorni, verosimilmente, ma non si sa mai: potrebbero divenire settimane…
Il Presidente della XII Commissione “Affari Sociali” Ugo Cappellacci (Forza Italia) a conclusione del dibattito di giovedì 19, ha ricordato che il provvedimento è iscritto all’ordine del giorno dell’Assemblea a partire da oggi lunedì 23 gennaio.
Nelle more, in verità, i Presidenti di Camera e Senato potrebbero procedere alla nomina “a legislatura vigente” (cioè sulla base di quanto previsto dalla Legge 103/1975)… mettendo poi in atto una successiva integrazione dei 2 membri “integrativi”, sulla base della nuova normativa…
Perché il Ministro Adolfo Urso, titolare del Ministero per le Imprese e il Made in Italy (Mimit) non si pronuncia in alcun modo su Rai, se è lui a firmare il “contratto di servizio” per conto del Governo?
Va segnalata peraltro una strana altra anomalia, ricordando che il rapporto tra Stato e Rai – almeno dal punto di vista contrattuale – è (dovrebbe essere) gestito dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy (il Mimit, ovvero l’ex Mise), dato che il contraente, per il Governo, è giustappunto Alfredo Urso (Fratelli d’Italia).
Ma, di Urso, in materia Rai, nessun pronunciamento, da quando si è insediato.
In base alla Legge n. 220/2015 (così all’art. 5), è infatti il Ministero dello Sviluppo Economico (il Mise ora Mimit) a trasmettere alla Commissione Parlamentare di Vigilanza, affinché esprima il suo parere, lo “schema di contratto di servizio” con la società concessionaria del servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale.
E quindi il “dossier” Rai non dovrebbe essere avocato dal Ministro Giancarlo Giorgetti (Lega Salvini) soltanto…
Ma ribadiamo: la parola “Rai” non appare nei radar che monitorano l’attività del Ministro Urso.
Curioso, in verità: che, nei fatti, sia stato deciso di assegnare una delega informale al titolare del Tesoro rispetto alla Rai?!
Va pur sempre ricordato che gli azionisti di Rai Radiotelevisione Italiana spa sono giustappunto il Mef per il 99,56 per cento delle quote ma anche la Siae per lo 0,44 %.
Nessuna posizione, in materia di Rai, è stata peraltro assunta – almeno pubblicamente – dalla Società Italiana Autori e Editori, presieduta da ottobre 2022 da Salvatore Nastasi.
L’ultima dichiarazione pubblica di Siae rispetto a Viale Mazzini risale ad un anno fa. L’azionista Siae sarà sì socio “di minoranza”, ma pur sempre rappresenta gran parte dell’anima creativa dell’industria culturale nazionale, con i suoi oltre 106mila associati: si ha ragione di ritenere che dovrebbe assumere un ruolo proattivo nel dibattito sul servizio pubblico radiotelevisivo.
Si ricordi che nel dicembre del 2021, in occasione di un’audizione in Senato di fronte alla Commissione Lavori Pubblici e Comunicazioni (nell’ambito dell’esame dei disegni di legge di riforma della Rai, tutti andati a finire su binari morti a causa della conclusione della legislatura), l’allora Direttore Generale della Siae Gaetano Blandini (dal 1° gennaio 2023 è subentrato come Dg Siae l’ingegner Matteo Fedeli, e Blandini è andato a guidare la neo costituita Fondazione Copia Privata, della quale presto scriveremo su queste colonne) sostenne: “è giusto chiedere alla Rai di assolvere i propri impegni verso la creatività e la produzione di nuovi contenuti. Ed è giusto chiedere impegni sempre maggiori, efficaci, trasparenti, e spostare costantemente più in alto l’asticella degli obiettivi. Ma è altrettanto giusto mettere la Rai nella condizione di operare al meglio, con risorse adeguate: da una parte tagliando eventuali sprechi, eliminando le spese superflue e facendo sinergie, dall’altra assicurando le risorse economiche necessarie”.
Aldo Grasso (“Corriere della Sera”): la Vigilanza Rai è un residuo del MinCulPop
Merita essere segnalato e – riteniamo – criticato anche l’editoriale che il massimo critico televisivo italiano (nonché ben qualificato docente universitario) Aldo Grasso ha pubblicato nell’edizione di ieri domenica 22 gennaio 2023 sul quotidiano “Il Corriere della Sera”.
Il titolo è sintomatico: “La Vigilanza Rai, residuo del MinCulPop”. Ed anche l’occhiello: “Passi. Invece di un passo indietro sulla tv, la politica ne fa uno avanti”.
Scrive Grasso: “Un posto al sole: nonostante la drastica riduzione del numero dei parlamentari, è aumentato il numero dei componenti la Commissione di Vigilanza Rai, da 40 a 42, in modo che ogni gruppo abbia il suo rappresentante. In uno scenario mediale mutato, c’è ancora chi crede, da parvenu del potere, che la ragione sociale della Vigilanza sia quella di tutelare le minoranze e garantire l’imparzialità, senza rendersi conto che è un residuo di Minculpop”. E, ancora: “invece di un passo indietro, come richiesto dai tempi, in Rai la politica ne fa uno avanti: il «vigilitantismo» fa danni ovunque, basti pensare all’ideologia woke. Ai partiti non basta nominare il Cda, indicare la governance; no, bisogna fare qualcosa di più, qualcosa che assomigli molto a una strisciante volontà di «censura»”.
L’osservazione critica potrebbe essere condivisibile (finanche l’aver coniato il neologismo “vigilantismo”!), per quanto il richiamo al Ministero della Cultura Popolare del regime fascista ci sembra veramente improprio, ma quel che stupisce è che Grasso ne approfitti per alzare il tiro e porre quesiti filosofici sul senso stesso del “servizio pubblico” radiotelevisivo / mediale: “in realtà, c’è da chiedersi se abbia ancora senso il servizio pubblico, così com’è inteso ora, o se non sia invece un concetto superato, legato alla cultura del dopoguerra, un bottino per i vincitori. Nel frattempo, la tv è diventata parte di un sistema ecomediale, dove la connessione alla Rete gioca un ruolo fondamentale, dove servono professionisti e non accoliti”. E conclude in modo ambiguo: “non sembra esserci aria di cambiamento: la manutenzione dell’esistente garantisce solidità e l’idea che la Rai debba vigilare sui governanti e non essere vigilata appare solo come un’ingenua bizzarria”. Qual è la “bizzaria”, di grazia?! Una Vigilanza che “vigila” sulla Rai, o la Rai che vigila sui governanti?! Al di là del gioco di parole, richiamiamo ancora una volta la britannica Bbc, che si pone talvolta come soggetto critico nei confronti del Governo, forte di una propria indipendenza dalla politica.
La Bbc resta il modello di “benchmark” di servizio pubblico a livello planetario
Chi redige questa rubrica IsICult per “Key4biz” studia il sistema mediale da oltre trent’anni, e nel 2000 ha pubblicato un corposo tomo, scritto assieme a Francesca Medolago Albani (attualmente Segretaria Generale dell’Anica nonché Direttrice dell’Anica Academy), che analizzava comparativamente a livello internazionale la struttura ed il funzionamento dei “servizi pubblici” radiotelevisivi nel mondo (testo che lo stesso Grasso ha qualche volta citato nelle bibliografie dei suoi vari saggi): il libro si intitola “Con lo Stato e con il mercato?” (edito per i tipi di Mondadori, e frutto di una ricerca indipendente paradossalmente commissionata da Mediaset), e già in quel punto interrogativo si manifestava la latente critica rispetto al rischio di un servizio pubblico ibrido, sovvenzionato dalla mano pubblica (ma in modo ancora instabile) ma al tempo stesso appoggiato alla stampella (semanticamente inquinante) della pubblicità, qual è il caso non eccellente dell’Italia. Già allora si guardava al modello Bbc come insuperabile “benchmark” a livello planetario.
È triste osservare che, a distanza di vent’anni, quel libro mantiene, per quanto riguarda l’Italia, una sua paradossale attualità: in effetti, nel nostro Paese il dibattito sul servizio pubblico sembra essere paralizzato, anzi congelato, da anni, anzi decenni.
Nessun partito ha deciso di affrontare di petto la questione: hanno prevalso inerzia e conservazione.
L’ultima occasione di pubblica dialettica risale all’inverno di due anni fa, con una apprezzabile iniziativa promossa dalla Cgil, il convegno-seminario “Rai / Bene pubblico in un Paese che cambia”, che pure non ha avuto seguito, nonostante il maggiore sindacato italiano avesse prospettato l’avvio proprio di un “laboratorio” sul servizio pubblico (vedi “Key4biz” del 20 novembre 2020, “Rai, la Cgil apre il laboratorio per la riforma del servizio pubblico”). Il Segretario Generale Confederazione Generale Italiana del Lavoro Maurizio Landini sembra aver fatto due passi indietro, dopo quel passo avanti di allora. Era stata prospettata la pubblicazione degli atti del seminario, ma nemmeno questa s’è poi concretizzata…
La gestazione del “contratto di servizio” Rai resta chiusa in segrete stanze
Chi redige questa rubrica ritiene che il servizio pubblico mediale sia assolutamente essenziale, per la società e per la democrazia, e dovrebbe essere rigenerato e rivitalizzato, dopo un dibattito ampio e plurale con tutti gli “stakeholder”.
Dovrebbe essere dotato di risorse economiche adeguate (e stabili nel medio periodo) alla sfida che deve affrontare, sulla base di un contratto di servizio che preveda precisi obblighi di prestazione e controprestazioni ben definite, con una budgetizzazione coerente e puntuale. Non l’attuale calderone, confuso e pasticciato, fumoso ed evanescente. Finora i “contratti di servizio” sono state mere dichiarazioni di intenti, scritte sulla sabbia, anzi sull’acqua.
Eppure nessuno (si ribadisce: nessuno) chiede che la gestazione del “contratto di servizio” che regolerà il rapporto tra Stato e concessionaria di “public media service” sia una occasione di confronto pubblico e trasparente, con la società civile, con il terzo settore, con le università, con i sindacati…
Si vuole quindi lasciare che questo “contratto” venga redatto dal Ministro Giorgetti e dal suo collega Urso, e dall’Amministratore Delegato della Rai Fuortes e dalla Presidente Soldi, nelle loro ovattate stanze?!
Certo, la bozza (“lo schema”) arriverà, prima o poi (quando?!), alla Vigilanza, la quale esprimerà il suo parere. Che però non è vincolante, e quindi conta come il due di coppe quando briscola è spade…
Sembra prevalere – soprattutto negli ultimi anni – un sentimento di rassegnazione, ovvero quella mera “manutenzione dell’esistente” richiamata da Grasso, che si traduce in conservazione.
Ovvero stagnazione.
Nessun segnale di innovazione, almeno finora, dall’annunciato “governo del cambiamento”.
Non ci risulta che il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni si sia espresso, purtroppo, in “materia” Rai. Non ancora, almeno.
E perdura trasparenza zero.
Dialettica pubblica assente.
(*) Angelo Zaccone Teodosi è Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale (www.isicult.it) e curatore della rubrica IsICult “ilprincipenudo” per “Key4biz”
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