Da Key4Biz (23.7.21): Dossier IsICult: bilancio di esercizio e bilancio sociale Rai, entrambi allarmanti
Esclusiva analisi IsICult per Key4biz: bilancio economico Rai preoccupante (- 147 milioni di euro di ricavi, debiti cresciuti a quota 606 milioni) e bilancio sociale insoddisfacente (il 74 % dei 313 dirigenti è maschio).
“Key4biz” propone una esclusiva analisi del “bilancio di esercizio” 2020 Rai così come del correlato “bilancio sociale”, elaborata alla luce di una lettura critica delle 422 pagine del “bilancio di esercizio” e delle 288 pagine del cosiddetto “bilancio sociale”, quest’anno curiosamente ridenominato “bilancio di sostenibilità”.
L’impressione complessiva è di un gruppo ancora solido, ma lento nell’adeguarsi alle mutazioni dello scenario mediale, con una serie di indicatori che evidenziano criticità che debbono essere affrontare in modo rapido e radicale: il compito assegnato da Governo e Parlamento ai nuovi amministratori – in primis l’Ad Carlo Fuortes e la Presidente Marinella Soldi – è molto complesso, anche perché la “mission” resta indefinita.
Mettere a posto i conti?! Salvare il salvabile?! Rigenerare il servizio pubblico radiotelevisivo?! Cosa ha in mente il Presidente del Consiglio dei Ministri Mario Draghi? Non è dato sapere, dato che non ha finora speso 1 parola una in materia. Ed il Parlamento ha messo in atto un ennesimo esempio di lottizzazione partitocratica à la Cencelli, senza alcuna indicazione di strategia. Ci troviamo con un Cda che procede al buio?!
Una premessa “metodologica”: questo bilancio di esercizio 2020 Rai è stato formalmente approvato dall’ex Consiglio di Amministrazione il 29 aprile 2021, la società di revisione Pwc (PricewaterhouseCoopers) ha impiegato quasi un mese per validarlo e l’ha licenziato il 24 maggio (a firma del revisore legale Pier Luigi Vitelli), contestualmente al Collegio Sindacale (Carmine di Nuzzo, Maria Teresa Mazzitelli, Giovanni Ciuffarella), e non si comprende perché s’è dovuto attendere quasi altri due mesi, prima che venisse approvato dall’Assemblea dei Soci, ovvero dal Ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef) e dalla Società Italiana Autori Editori (Siae)… ma questo è un altro discorso (sul quale l’esponente di Italia Viva Michele Anzaldi ha martellato con ostinazione per mesi, denunciando dinamiche opache e finanche misteriose).
Bilancio Rai 2020: perdite per 21 milioni di euro… risultati “nel complesso, positivi”?
L’Assemblea degli Azionisti di Rai, nella seduta del 15 luglio 2021, ha deliberato di approvare il bilancio di esercizio al 31 dicembre 2020, che chiude con una perdita di quasi 21 milioni di euro (per la precisione 20.704.126 euro), ha quindi deciso di coprire la perdita mediante utilizzo per pari importo della riserva legale (cosiddetta da “prima adozione”, che ammonta a 52 milioni di euro), e di prendere atto del “bilancio consolidato” che chiude con un risultato di pareggio.
Di questo bilancio, poco e nulla si sapeva: in occasione dell’approvazione da parte del Cda il 29 aprile, l’Ufficio Stampa Rai diramò un comunicato, nel quale si leggeva di un “bilancio 2020 in sostanziale pareggio”. E segnalava anche la contestuale approvazione del “bilancio di sostenibilità”.
Da allora, silenzio stampa, anzi silenzio assoluto.
L’Assemblea dei Soci (Tesoro e Siae) approva definitivamente il bilancio, e la Rai non ritiene opportuno diramare un comunicato stampa nel quale evidenziare un qualche ulteriore numero? No.
E quindi il ricercatore specializzato ed il giornalista investigativo cosa debbono fare?! Scavare tra le fonti aperte, tra web e Camere di Commercio (ovvero il Registro Imprese) ed altre vie.
Le considerazioni che andiamo qui a proporre rappresentano quindi una anteprima assoluta, ovvero una esclusiva IsICult per “Key4biz”: i dati che andiamo a commentare non sono stati finora oggetto di alcuna pubblica analisi.
Ed invece riteniamo debbano proprio esserlo, perché, nel bene e nel male, stiamo trattando di una grande impresa pubblica e de “la maggiore industria culturale del Paese”. O no?!
Nell’edizione di mercoledì scorso di questa rubrica, rivolgevamo un invito (un appello) all’Amministratore Delegato Carlo Fuortes: scrivevamo “che l’Ad decida che venga reso di pubblico dominio, ma subito, il “bilancio di esercizio” 2020 così come il “bilancio sociale”, ormai definitivamente approvati giovedì 15 luglio anche dall’Assemblea dei Soci ovvero Ministero del Tesoro e Società Italiana Autori Editori (Siae). Si tratta di atti di cui non ha ovviamente alcuna responsabilità, ma che debbono essere resi pubblici quanto prima: soprattutto quel “bilancio sociale” che Rai continua a trattare da anni come se fosse un documento semi-clandestino…”.
Non sappiamo se si sia trattato di inattesa telepatia, o di autonoma sensibilità di Carlo Fuortes, ma fatto sta è che il bilancio in questione è stato depositato da Rai presso la Camera di Commercio proprio ieri l’altro 21 luglio 2021, anche se non risulta ancora acquisibile da quella fonte.
Però – udite! – il file in formato .pdf è stato pubblicato sul sito web della Rai, e reca la data di creazione di lunedì scorso 19 luglio.
Entrambi i file – “bilancio di esercizio” e “bilancio sociale” – recano la stessa data: lunedì 19 luglio, a fronte dell’approvazione da parte dell’Assemblea dei Soci giovedì 15 luglio.
“Key4biz” lo propone in anteprima, se non – paradossalmente – in esclusiva.
Totale dei ricavi 2020 Rai: 2.509 milioni di euro (69 % canone, 23 % pubblicità), meno 147 rispetto al 2019
Alcuni indicatori economici evidenziano una crisi che soltanto in parte può essere attribuita alle conseguenze della pandemia: il totale dei ricavi 2020 è stato di 2.509 milioni di euro, con un calo di ben 147 milioni rispetto ai 2.656 milioni dell’anno 2019.
Questi 147 milioni in meno sono dovuti a minori entrate per canoni per 73 milioni ed a 46 milioni per minor pubblicità e 28 milioni da altre fonti.
In quote percentuali, il canone rappresenta attualmente il 68,8 % delle entrate della Rai, a fronte del 23,0 % della pubblicità ed all’8,2 % di altri ricavi.
L’ormai ex Presidente Marcello Foa (curiosamente il bilancio di esercizio reca soltanto la sua firma, e non quella dell’ex Amministratore Delegato Fabrizio Salini, mentre il bilancio sociale reca la firma di entrambi) scrive, nella “Lettera agli Azionisti” (il Ministero del Tesoro e Siae, rispettivamente con il 99,56 % e lo 0,44 % delle azioni della “s.p.a.”), che il bilancio “registra risultati nel complesso positivi”.
Curiosa formula: “nel complesso positivi”.
Il comunicato stampa del 29 aprile era intitolato “Approvato bilancio 2020 in sostanziale pareggio”. E si leggeva di una “posizione finanziaria netta negativa di 523,4 milioni, in peggioramento rispetto all’esercizio precedente ma comunque attestata su livelli di sostenibilità”. E qui si concentri l’attenzione sul concetto di “sostenibilità”…
I ricavi ridotti hanno determinato una contrazione delle spese: contenimento dei costi operativi per un ammontare di 140 milioni di euro (anche grazie alla mancata trasmissione della Champions League), e riduzione del costo del personale per oltre 20 milioni (anche a causa del ricorso alle modalità di lavoro in remoto).
Quella di Foa, nella “Lettera agli Azionisti”, è comunque una lettura positiva ed ottimista di un bilancio che mostra molti chiaroscuri: se è vero che le perdite sono state contenute nell’ordine di circa 21 milioni nel 2020, a fronte dei 35 milioni del 2019, si osserva un notevole incremento di un indicatore di buona o cattiva salute qual è l’“indebitamento finanziario netto”, che è cresciuto di un altro 20 % rispetto al dato impressionante dell’anno 2019, che segnò quasi un raddoppio rispetto al 2018.
Cresce molto l’indebitamento Rai, giunto a quota 606 milioni di euro
Si passa infatti da un indebitamento di 287 milioni di euro del 2018 a 541 milioni del 2019 (+ 89 %), per arrivare ai 606,4 milioni del 2020 (+20 %).
Si tratta della conferma di un trend negativo che fu segnalato già dall’ex Ministro Roberto Gualtieri in occasione di una polemica audizione di fronte alla Commissione di Vigilanza Rai nel novembre dell’anno scorso, nella quale si confermò la sfiducia del Governo nei confronti degli amministratori di allora (in particolare verso l’Amministratore Delegato Fabrizio Salini).
Leggendo il bilancio, impressiona osservare come la liquidità della Rai stia crollando: dai 195 milioni al 31 dicembre 2019, si scende a 15,5 milioni del 31 dicembre 2020 (con un calo di 179,1 milioni).
I debiti verso banche sono invece cresciuti dai 10,1 milioni del 2019 ai 232,2 milioni del 2020…
La situazione non appare particolarmente critica, ma certo preoccupante e riteniamo debba stimolare una revisione del posizionamento della Rai sul mercato mediale italiano.
La Rai mantiene senza dubbio una buona capacità di sedurre audience sul mercato televisivo tradizionale: nel 2020, può vantare ancora uno share del 35,2 % nell’intera giornata, a fronte del 31,6 % del gruppo Mediaset, del 7,6 % di Discovery, del 6,5 % di Sky, del 3,9 % de La7, e del 15,2 % di tutti gli altri canali.
I quattro quinti dell’audience Rai sono però dati dai 3 canali generalisti: Rai1 con il 16,4 %, Rai 2 con il 4,9 % e Rai 3 con il 6,9 %.
Tutti gli altri canali della Rai totalizzano soltanto un 7 %, con soltanto 3 canali che superano la soglia dell’1 % di share (Rai 4, Rai Premium, Rai Movie), con una Rai News24 che è a quota 0,82 % ed una Rai Scuola con una “nano share” dello 0,02 % (era 0,03 % nel 2019).
Rai nel “digital” e nel “social”: sconfortanti dati di performance
Naturale sorge il quesito se ha senso investire (disperdere?!) energie e risorse su questi canali cosiddetti “specializzati”, piuttosto che concentrare energie sulla fruizione non tradizionale (web, tablet, cellulare), considerando che il punto più debole della Rai è proprio nel digitale.
I dati di performance nell’offerta ‘digital’ e ‘social’ sono sconfortanti: nel ranking dei principali gruppi online attivi in Italia, Rai si posiziona al 27° posto (anche se guadagna 3 posizioni rispetto alla classifica del 2019); Mediaset è settima (ha guadagnato 4 posizioni nel ranking); predominano i grandi player internazionali come Google, Facebook e Amazon, seguiti da Microsoft, Rcs MediaGroup e dal Gruppo Gedi.
Concentrando l’attenzione sull’informazione, si noti come il portale di informazione Rai, Rai News, registri una media mensile di “utenti unici” pari a 4,5 milioni, con un incremento del 31 % rispetto al 2019, ma restando ben distante dai principali competitor: Corriere.it 29,5 milioni; TGcom24 26,2 milioni; Repubblica.it 26 milioni; Il Messaggero 24,5 milioni…
Al di là delle forse troppo decantate capacità di RaiPlay (che pure ha il merito di essere il presidio della radiotelevisione pubblica in questi nuovi mercati), è evidente un grande affanno e forte ritardo della Rai nel seguire l’evoluzione dei consumi mediali, con un’offerta che è complessivamente notevole in termini quali-quantitativi, ma forse non ancora adeguatamente posizionata: quel che Rai produce ed offre ogni anno sembra disperdersi, e paradossalmente ricorda più il catalogo di un operatore come Netflix, basato su un modello di business completamente differente.
Inascoltato il monito della Corte dei Conti del 2019? “Eliminare residue inefficienze e sprechi”…
Molti potrebbero essere i rilievi di natura economica, ovvero gli indicatori che sembrano evidenziare ancora una discreta incapacità di mettere in atto “ogni misura organizzativa, di processo e gestionale idonea ad eliminare residue inefficienze e sprechi”, come pure ha auspicato la stessa Corte dei Conti nell’ultima relazione (che consta di 488 pagine) sulla Rai trasmessa al Parlamento nel luglio di due anni fa (relativa all’esercizio 2017; e peraltro ci si domanda perché la Corte non abbia ancora prodotto i “referti” – così si chiamano, nello slang – relativi agli esercizi 2018 e 2019; si ricordi peraltro che un magistrato della Corte assiste alle riunioni del Cda, Ermanno Granelli dal gennaio 2020).
Basti osservare come il “fondo controversie legali” sia cresciuto dai 61,8 milioni di euro del 2019 ai 65,2 milioni del 2020: si pensi che nel 2015 il numero dei giudizi pendenti in materia di contenzioso sul lavoro ha sfiorato quota 1.000… e spesso Rai viene condannata.
Mancano molti dati, mancano molte informazioni…
Il bilancio annuale della Rai presenta oggettivamente una grande mole di dati, ma mancano informazioni essenziali per comprendere la vera natura del gruppo: quanto costano le reti ed i tg, per esempio? quanto investe l’azienda in documentari piuttosto che fiction?
Non è dato sapere. E qual è l’organigramma dell’azienda?!
Non appare in bilancio. Incredibile ma vero.
Dal bilancio emerge soltanto che, su un totale di 12.835 dipendenti, ci sono 313 dirigenti (ma non si sa ove sono allocati per direzioni e strutture), ma anche ben 1.605 “quadri”, e 2.039 giornalisti, a fronte di 7.896 impiegati, 860 operai, ed infine 122 orchestrali.
Si tratta di una struttura elefantiaca o adeguata ai tanti compiti che Rai assolve (deve/dovrebbe assolvere)?!
Dal bilancio, non emergono informazioni adeguate a comprenderlo, anche perché non viene proposta nemmeno una ripartizione del totale della forza-lavoro tra le varie direzioni, strutture, canali e testate…
Certamente, non si può accogliere la critica (banale e semplicistica) secondo la quale Mediaset, con una forza lavoro corrispondente ad un terzo di quella della Rai (i dipendenti sono circa 4mila a fronte dei quasi 13mila della tv pubblica), raggiunge uno share non granché lontano da quello della Rai, perché l’estensione dello spettro delle attività del servizio pubblico non è paragonabile con il perimetro di attività di un broadcaster commerciale. Va comunque osservato che il divario tra i due gruppi è particolarmente ampio per funzionari, giornalisti e operai: nel 2019, il numero di “funzionari” alla Rai era pari al doppio di quelli presenti a Mediaset, mentre per “giornalisti” e “operai” i valori erano pari rispettivamente a 5,5 e 3,7 volte quelli di Mediaset…
Come misurare efficienza ed efficacia della Rai attuale?! No data
Il problema comunque è proprio nella estensione di questo perimetro e nella attuale impossibilità di misurarne efficienza ed efficacia.
E finanche “senso”: un esempio, tra i tanti possibili: Rai si vanta di dedicare risorse ed attenzione al Televideo, ma ci domandiamo quanti siano realmente gli italiani che utilizzano ancora questo arcaico strumento informativo…
Riteniamo che il bilancio Rai dovrebbe essere oggetto di una discussione pubblica con tutti gli stakeholder, ovvero in primis i cittadini che pagano il canone nella bolletta elettrica: la Rai tende invece a considerarlo un documento… semi-clandestino, così come fa per il ‘bilancio sociale’, che quest’anno è stato curiosamente ridenominato bilancio ‘di sostenibilità’, ma mantiene esattamente l’impianto dell’anno 2019.
Questi due documenti – in particolare il secondo – dovrebbero rappresentare gli strumenti cognitivi per comprendere se Rai adempie alla sua missione di servizio pubblico, se risponde al dettato della “Convenzione” e del “Contratto di Servizio” con lo Stato… ed invece si pone come occasione di autopromozione narcisistica, senza nessuna vocazione autocritica.
Delusione totale, quindi, per quanto riguarda il “bilancio sociale” edizione 2020: le falle e le pecche che abbiamo identificato nel bilancio del 2019 si riproducono esattamente anche in questa novella edizione.
Rimandiamo quindi a quel che abbiamo già scritto su queste colonne (vedi “Key4biz” del 24 luglio 2020, “Rai pubblica il bilancio sociale, ma solo per pochi”), e qui ci limitiamo a poche considerazioni integrative.
Queste le intenzioni (richiamate anche nel comunicato stampa del 29 aprile): “il documento, nel suo complesso, vuole “dar conto” a tutti gli interlocutori, istituzionali e non, del buon posizionamento del Gruppo rispetto a temi rilevanti come la capacità di promuovere, attraverso l’offerta, coesione sociale, di genere, in un quadro di pluralità di contenuti capaci di favorire una società inclusiva, equa e solidale e rispettosa della parte più fragile ed emarginata della popolazione”.
Sia consentito osservare: questo annunciato “buon posizionamento” è tutto da dimostrare.
Ovvero: non è certamente “dimostrato” dal documento in questione.
Una osservazione preliminare: l’ex Ad Fabrizio Salini ed il Presidente Marcello Foa, nella “Lettera agli Stakeholder”, scrivono: “a questo proposito, un primo importante elemento di novità del presente documento lo troviamo nella denominazione: non più Bilancio Sociale, ma Bilancio di Sostenibilità; a sottolineare e confermare che l’ampiezza delle tematiche trattate non risulta sufficientemente rappresentata dall’aggettivo Sociale”.
La tesi è interessante, ma infondata: abbiamo confrontato il “bilancio sociale” del 2020 con quello del 2019, pagina per pagina, e la struttura è identica, così come i contenuti proposti non recano alcuna significativa modificazione. Qual è quindi, di grazia, la novità?! Se c’è, è invisibile.
Il problema è formale e sostanziale al tempo stesso: in effetti, come abbiamo già segnalato su queste colonne, è stato messo in atto un processo confusionale.
Come recita anche il titolo in copertina, si confonde quello che dovrebbe essere il “bilancio sociale” previsto dal Contratto di Servizio, con la cosiddetta “Dnf”, acronimo che sta per “Dichiarazione non finanziaria”, un documento che la legge impone ad alcune imprese di dimensioni significative (come previsto dal Decreto Legislativo 254 del 30 dicembre 2016 di attuazione della Direttiva 2014/95/Ue): questo “Dnf” deve descrivere le iniziative e i principali risultati conseguiti in termini di sostenibilità.
“Sostenibilità” intesa soprattutto in chiave ecologico-ambientalistica (riduzione delle emissioni nocive, in primis), e comunque nell’economia dei famosi “17 Obiettivi” dell’Agenda Onu 2030.
Non staremo qui a contestare il carattere nobile di questi “Obiettivi” definiti dall’Onu, ma riteniamo che essi siano talvolta così alti da divenire impalpabili, ovvero di ardua “riconoscibilità” e quindi “misurabilità”, soprattutto in ambiti altri rispetto a quelli dei consumi energetici.
Cosa dovrebbe essere il “bilancio sociale” della Rai?
Cosa prevede il vigente “Contratto di servizio” (2018-2022) tra Ministero dello Sviluppo Economico e Rai, in materia di bilancio sociale? L’articolo 25, comma 1, lettera “l” (elle), recita: “Bilancio sociale: la Rai è tenuta a presentare al Ministero, alla Commissione e all’Autorità, entro quattro mesi dalla conclusione dell’esercizio precedente, un bilancio sociale, che dia anche conto delle attività svolte in ambito socio-culturale, con particolare riguardo al rispetto del pluralismo informativo e politico, alla tutela dei minori e dei diritti delle minoranze, alla rappresentazione dell’immagine femminile e alla promozione della cultura nazionale. Il bilancio sociale dà altresì conto dei risultati di indagini demoscopiche sulla qualità dell’offerta proposta così come percepita dall’utenza e della corporate reputation della Rai”.
Questo obbligo è rispettato da Rai?
Soltanto parzialmente, riteniamo. Viale Mazzini risponde più formalmente che sostanzialmente.
Focalizzando qui l’attenzione sul “bilancio sociale” (così preferiamo continuare a chiamarlo, al di là dell’incomprensibile cambio di “naming” dell’edizione 2020), riteniamo si riproducano i difetti dell’edizione dell’anno scorso, aggravati quest’anno da modificazioni dell’impianto metodologico che impediscono un confronto diacronico.
Tra i tanti deficit: decine e decine di pagine sono dedicate ad elencare i programmi della Rai che “rispondono” in qualche modo ai criteri dei succitati “17 Obiettivi” dell’Onu, ma di queste trasmissione non vengono indicati in alcun modo i risultati di audience…
Utilizzando costose (budget di molte centinaia di migliaia di euro l’anno) indagini demoscopiche ed altri studi con metodologie che variano di anno in anno, la Rai di fatto si auto-attribuisce dei simpatici punteggi, in scala da 0 a 10, e, forte di uno strumento come il controverso Qualitel ed altre ricerche, si assegna sempre dei voti che non sono mai insufficienti, che oscillano sempre tra il 7 e l’8, in materia di pluralismo informativo, politico, sociale, equilibrio di genere, coesione sociale, eccetera.
Cambiando le metodologie, i risultati, dal 2019 al 2020, non possono essere comparati. No comment.
Per esempio, nel 2019, l’analisi dei contenuti della programmazione è stata affidata a Cares – Osservatorio di Pavia, ed è stata basata su un campione di 1.100 programmi; nel 2020, la rilevazione è stata affidata al consorzio di istituti formato da Isimm Ricerche, Infojuice e Izi, basata su un campione di 1.600 trasmissioni della programmazione…
Le due ricerche sono basate su metodiche diverse, e quindi i risultati non possono essere confrontati.
E si osservi che nel “bilancio sociale” del 2020 non si riscontra traccia del “pluralismo etnico”, del “pluralismo religioso”, del “pluralismo socio-economico”, che erano stati invece “monitorati” nel 2019. E ciò basti…
Si mischiano le carte in tavole, e la confusione aumenta
Si mischiano le carte in tavola, e la confusione aumenta.
In sostanza, in tutto il ‘bilancio sociale, non c’è traccia minima di autocritica, il processo di autocoscienza viene sacrificato sull’altare dell’autoreferenzialità: insomma, sembra che vada tutto bene, se non addirittura benissimo.
Basti notare (ed è soltanto un esempio tra i tanti possibili) come non si riscontra nessun cenno (auto)critico rispetto ad un dato negativo come l’equilibrio di genere all’interno dello stesso gruppo pubblico: dei 313 dirigenti Rai, ben il 74 % è maschio.
E che dire della totale assenza, dai bilanci Rai, di attenzione rispetto a quel 10 per cento della popolazione nazionale formata da stranieri?! Fantasmi, assenti: alla faccia della “coesione sociale”! Forse guardano più Real Time che Rai?!
Nelle 422 pagine del bilancio di esercizio Rai, la parola “stranieri” emerge 2 volte, ma in tema di “film stranieri” e frequenze televisive.
Conclusivamente, una lettura “integrata” dei 2 bilanci (a parte l’osservazione che molte delle informazioni del “bilancio di esercizio” andrebbero innestata – finanche riprodotte – nel “bilancio sociale”) non consente di acquisire una visione d’insieme adeguata a comprendere se la “mission” Rai corrisponde a quel la legge prevede.
Il dataset è incompleto e parziale. Troppe omissioni.
Eppure i due documenti sono il risultato di non poche menti – tra dirigenti interni e consulenti esterni – a partire da Massimo Cappelli, che firma come “Dirigente Preposto alla Redazione dei Documenti Contabili Societari” (è anche Direttore della Direzione Amministrazione e Finanza della Rai), per arrivare a Maurizio Rastrello (già Direttore dello Staff del Dg e poi dell’Ad), la cui firma non risulta in atti, ma che dirige una struttura aziendale “ad hoc”, giustappunto la Struttura Bilancio Sociale.
La “contabilità separata”: a Rai mancano 116,5 milioni di euro per svolgere a pieno le sue funzioni di servizio pubblico?
E non aiuta granché un altro documento – peraltro incredibilmente ignorato sia dal “bilancio di esercizio” sia dal “bilancio sociale” – qual è la “contabilità separata”.
Altro documento semi-clandestino, questo: l’edizione relativa all’esercizio 2019 è stata approvata soltanto il 16 dicembre 2020 dalla società incaricata Rai – con benedizione dell’Agcom – la Bdo Italia spa (a firma del socio Fabio Carlini), e ne ha scritto soltanto il collega Aldo Fontanarosa sulle colonne de “la Repubblica”.
Si ricordi che la “separazione contabile” è un istituto normato a livello comunitario per assicurare la trasparenza dei flussi finanziari interni a un complesso aziendale nella prospettiva, tra l’altro, di evitare sovvenzioni incrociate fra i diversi comparti. Essa assume particolare rilevanza nel campo del finanziamento pubblico a servizi di interesse economico generale.
Nel caso della Rai, la “contabilità separata” dovrebbe anche contribuire alla quantificazione dell’ammontare del canone, anche se la “legge Renzi” del 2016 l’ha bloccato a quota 100 euro per l’anno 2016 (era l’anno prima 113,5 euro) per poi ridurlo a 90 euro per il 2017, confermando “d’autorità” (ex lege) questo importo per gli anni successivi.
E si ricordi che Rai beneficia soltanto di una parte di questo flusso: a fronte dei 90 euro versati da ciascun abbonato, solo 74,24 euro (82,5 % del totale), sono stati effettivamente percepiti da Rai, la restante parte trova altre destinazioni (tassa concessione governativa, quota 5 % trattenuta dallo Stato, quota 50% “extra gettito” di competenza dello Stato…): un assetto assurdo e paradossale, che andrebbe corretto.
Ci si domanda perché il cittadino debba pagare il canone per la Rai, se una parte di questi danari vengono allocati dallo Stato a favore di un fondo pubblico per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione (che potrebbe essere certamente sostenuto per altre vie): si tratta di ben 110 milioni di euro…
Si legge nella relazione di Bdo Italia spa: “le risorse da canone integralmente imputate al servizio pubblico specifico non sono sufficienti a pareggiare i costi sostenuti dalla concessionaria per l’assolvimento dei compiti di servizio pubblico. Emerge un disavanzo ex lege di 116,5 milioni di euro, quale differenza tra ricavi complessivi pari a 1.927,5 milioni di euro e costi diretti e indiretti (transfer charge) ammontanti a 2.044,1 milioni di euro”.
In sostanza, secondo Bdo senza la “stampella” della pubblicità, Rai non riuscirebbe a portare a termine il suo mandato di servizio pubblico (dando per scontato che ci riesca realmente): e qui emerge un nodo epocale.
Il canone della Rai è tra i più bassi d’Europa, e la tv pubblica italiana ricava un terzo delle sue risorse dalla pubblicità: inevitabilmente questo assetto determina crescente confusione e perdita di profilo identitario.
Sviluppare migliori processi autocoscienza ed affrontare un pubblico dibattito
Se è vero che l’ottimista vede opportunità in ogni pericolo ed il pessimista vede pericolo in ogni opportunità, si ha ragione di ritenere che la Rai dovrebbe sviluppare migliori processi di autocoscienza e soprattutto avere la capacità di mettersi seriamente in discussione, con un pubblico confronto diretto e franco con la società civile.
Altrimenti vantarsi di essere “la più grande industria culturale del Paese” finisce per essere puro esercizio di retorica: e forse non è nemmeno più tanto vero.
Dall’altro canto, “la politica” dovrebbe finalmente decidere “cosa” far fare alla Rai, consentendole di superare lo stato confusionale nel quale è costretta, tra canone e pubblicità, tra Stato e Mercato: chi redige queste note è convinto che sia indispensabile ed urgente una soluzione radicale: eliminare la pubblicità e dotare il servizio pubblico di risorse economiche stabili ed adeguate alla “mission”, allineate a quelle dei più evoluti Paesi tra i “big 5” (Germania, Regno Unito, Francia).
Attendiamo di vedere presto la ripresa dell’iter parlamentare delle annunciate “leggi di riforma”, confidando che i partiti – concluso l’ennesimo banchetto lottizzatorio – non vadano a dedicarsi a superiori impegni altri, lasciando la Rai ancora una volta alla deriva.
Clicca qui, per leggere il documento “Relazione e bilanci al 31 dicembre 2020” di Rai Radiotelevisione Italiana spa (file in data 19 luglio 2021, bilancio depositato in Camera di Commercio il 21 luglio 2021)
Clicca qui, per leggere il documento “Bilancio di sostenibilità Gruppo Rai 2020” (file in data 19 luglio 2021, bilancio depositato in Camera di Commercio il 21 luglio 2021)
Clicca qui, per leggere il documento “Relazione della società di revisione sull’esame dei dati di contabilità separata della Rai – Radiotelevisione Italiana spa per l’esercizio chiuso al 31 dicembre 2019” a cura di Bdo Italia spa (documento in data 16 dicembre 2020)
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