Da Key4Biz (25.2.22): L’industria del libro esulta: +16% di valore di mercato e +19% di copie nel 2021. Cresce anche la musica
Andamenti contrastanti nei vari settori e comparti del sistema culturale italiano, ma emerge l’assenza di dati affidabili e soprattutto di una visione organica e sistemica di politica culturale. E sembra prevalere rassegnazione.
Nella settimana che si chiude oggi, si registrano alcune notizie dal mondo culturale nazionale, che meritano una riflessione: martedì 22 febbraio, l’Associazione Italiana Editori (Aie) ha diramato un comunicato che conferma la crescita economica dell’industria libraria, a livello di vendite ovvero di consumo; l’indomani mercoledì 23, la Federazione dell’Industria Musicale Italiana (Fimi) ha diramato un comunicato che segnala la crescita dei ricavi dell’export da consumo di musica italiana a livello planetario…
Ci domandiamo se queste notizie siano ben fondate, sia in sé, sia in relazione al complessivo “stato di salute” del sistema culturale e mediale nazionale.
Ricordiamo che un segno della crisi acuta in essere è senza dubbio emerso dal segmento “theatrical” del settore cinematografico, e ne abbiamo dato ampio resoconto su queste colonne, in occasione della conferenza stampa promossa dall’Associazione Nazionale Esercenti Cinematografici – Anec venerdì scorso (vedi “Key4biz” del 18 febbraio 2022, “Cinema, la crisi delle sale risveglia l’associazione degli esercenti”): si prevede che gli incassi del 2021 “a consuntivo” possano evidenziare un crollo nell’ordine del 75 % rispetto ai dati dell’anno 2019 (l’ultimo “pre-pandemico”), e quindi emerge in tutta chiarezza la dimensione acuta della drammatica crisi. Le sale che non riaprono sono centinaia in tutta Italia.
La domanda è: a fronte della “rivoluzione digitale”, e degli effetti della pandemia Covid-19, è possibile che sia “soltanto” il segmento dell’esercizio cinematografico a soffrirne le conseguenze?! No. Certamente no.
Non ci sembra però che la questione – strategica per l’intero Paese – sia stata ancora affrontata in modo organico da nessuno: né dal Ministero della Cultura, né da altre istituzioni, né dalle associazioni di categoria, né dall’accademia, né dagli studiosi… Non in modo organico e sistemico, comunque.
Aie (industria libraria): gennaio 2022 segna + 2,7 % di copie vendute e + 1,8 % di ricavi. Il 2021 registra un + 16 % come fatturato e + 19 % come copie vendute
L’Associazione Italiana Editori ha segnalato che l’editoria di varia, nel mese di gennaio 2022, registra una crescita del 2,7 % a “copie” e dell’1,8 % “a valore”. Più esattamente, nel mese di gennaio 2022 l’editoria italiana di “varia”, ovvero romanzi e saggi venduti nelle librerie fisiche e online e nella grande distribuzione, è cresciuta dell’1,8 % a valore e del 2,7 % a numero di copie rispetto al gennaio 2021.
Le vendite a prezzo di copertina nelle prime quattro settimane sono state pari a 123,5 milioni di euro, le copie vendute 8,4 milioni.
Questa segnalazione perviene a distanza di poco più di un mese fa. In effetti, il 17 gennaio 2022 la stessa Aie aveva comunicato l’editoria di varia (romanzi e saggistica) sarebbe cresciuta nel 2021 del 15,5 % a valore e del 18,8 % come numero di copie.
Più precisamente, nel 2021 l’editoria di “varia” (libri a stampa di narrativa e saggistica venduti nelle librerie fisiche e online e nella grande distribuzione) è cresciuta del 15,5 % a valore di prezzo di copertina e del 18,8 % come numero di copie rispetto al 2020.
Complessivamente sono stati venduti 115,6 milioni di libri per un valore a prezzo di copertina di 1.701 milioni di euro. Si tratta di dati di un’analisi di mercato realizzata dall’Ufficio studi Aie in collaborazione con NielsenIQ.
Questi dati, resi pubblicati il 17 gennaio 2022, anticipavano quanto confermato una decina di giorni dopo, il 28 gennaio, in occasione giornata conclusiva del XXXIX Seminario di Perfezionamento della Scuola per Librai Umberto ed Elisabetta Mauri, durante la quale sono stati presentati dal Presidente Ricardo Franco Levi i dati di mercato, realizzati in collaborazione con Nielsen BookData,
In quell’occasione, Aie ha segnalato che “le librerie online crescono ancora, quelle fisiche recuperano parte del terreno perso”. Cosa significa, quest’affermazione? Che, dopo il terremoto del 2020, le “librerie online” continuano la loro crescita, passando (secondo le rielaborazioni di Aie su dati di fonte diversa) da 633 milioni di vendite a prezzo di copertina a 740 milioni. Secondo Aie, “recuperano le librerie fisiche, che avevano perso nel 2020 quasi 200 milioni di vendite, portandosi nel 2021 a 876 milioni”. La grande distribuzione organizzata cala ancora a 85,1 milioni.
Il primo “canale di acquisto” per i libri restano le “librerie fisiche”, 52 %, a fronte del 44 % delle “librerie online”
Udite udite! Il primo “canale di acquisto” per i libri restano comunque le librerie fisiche: a livello di quote di mercato, ricoprono infatti il 51,5 % mentre quelle on-line il 43,5 %, entrambe in crescita di pochi decimali rispetto all’anno precedente, mentre la grande distribuzione perde 0,9 punti percentuali e copre il 5 %.
Aie non si interroga però sul tessuto delle librerie: ci segnala che le vendite nelle librerie sono cresciute nel 2021, a fronte del crollo del 2020, ma non è dato sapere quante librerie abbiano chiuso, tra il 2020 ed il 2021.
Da segnalare che quel + 16 % dell’Italia è “in linea” anzi più basso con i valori del mercato di Francia, che ha registrato un + 20 %, e della Spagna, che ha registrato anch’essa un + 20 %. In controtendenza, invece, per ragioni che andranno esplorate, il Regno Unito e la Germania, mercati che hanno segnato entrambi una contrazione del 3 % rispetto all’anno 2020.
Va ricordato che però il mercato librario della Germania ha un valore (a prezzi di copertina) di 9,3 miliardi di euro, a fronte dei 3,1 miliardi dell’Italia. Ed il Regno Unito ha un valore di 7,5 miliardi di euro… Quindi l’Italia segna una apprezzabile crescita, ma resta lontana dalle dimensioni di Germania ed Uk. Nel 2021, il valore del mercato della Spagna è stato di 2,8 miliardi, quello della Francia di 2,7 miliardi, a fronte dei 3,1 miliardi dell’Italia…
Torneremo su questi dati, alla luce di una serie di considerazioni critiche che riteniamo necessarie, ma è evidente che uno degli effetti della pandemia è stata la costrizione al consumo culturale domestico, e la “forma-libro” (al di là delle librerie, istericamente chiuse dal Governo e poi riaperte) l’ha fatta da leone, a fronte di altri consumi, assieme alla visione di audiovisivo sulle piattaforme web.
Il problema correlato è però (e l’Aie sembra averlo ignorato) quello della crisi delle librerie: può anche crescere il numero dei libri venduti (lieta novella comunque), ma forse si deve prestare attenzione alla crisi profonda del tessuto socio-culturale rappresentato dalle vendite “fisiche” nelle librerie italiane.
Rispetto al 2019, quante sono le librerie che hanno chiuso i battenti?!
Non ci risulta esistano dati in materia, ed il Ministero della Cultura non sembra esattamente appassionato a promuovere ricerche in argomento… Altresì dicasi per i negozi di dischi o di dvd (vedi infra). Altresì dicasi per le edicole…
Non crede lo Stato italico che librerie ed edicole e negozi di musica siano presidi fondamentali per il sistema culturale nazionale?!
Possibile che si resti sostanzialmente passivi – anzi rassegnati – di fronte alle conseguenze della “rivoluzione digitale”, come se alcune dinamiche della sua pervasività debbano essere affrontate in modo rassegnato?!
Perché nessuno sembra interessarsi della crisi delle librerie e delle edicole?
La crisi delle edicole, peraltro già in difficoltà prima della pandemia, ha subìto una triste accelerata nel 2020: secondo i dati del Sindacato Nazionale Autonomo Giornalai (Snag), soltanto nel primo semestre del 2020 a livello nazionale avrebbero chiuso 1.410 edicole (che salirebbero a 2.027 se si includessero anche i punti di vendita “non esclusivi”) e la previsione di perderne un altro migliaio ogni anno. Secondo alcune stime, le edicole in Italia erano oltre 40.000 una ventina di anni fa, ed ora sarebbero meno di 15.500…
Alcuni esempi “locali”: solo a Firenze e provincia, secondo quanto risulta allo Snag (dati al gennaio 2022), nel 2015 si contavano 680 edicole, ed oggi ne sono rimaste 498: ciò significa che in sette anni ne sono scomparse quasi 200, circa un terzo… Sempre secondo lo Snag, in Basilicata negli ultimi 15 anni ha chiuso il 45 % delle edicole. È di pochi giorni fa una sintomatica notizia: i 15.000 abitanti di Roccanova, paesino in provincia di Potenza sono rimasti – incredibilmente – senza una rivendita di giornali: si è così perso un luogo di aggregazione ed un servizio di prossimità. In Provincia di Bergamo, quasi metà dei Comuni non ha più un’edicola…
Non ci risulta esistano fonti attendibili – a livello nazionale e ben strutturati per regione – su questa vera e propria deprimente moria.
Ovviamente, la crisi delle edicole è correlata ad altro deprimente fenomeno culturale: la crisi dell’editoria giornalistica su carta. Il 2021 si è chiuso infatti con un’ulteriore contrazione delle vendite di quotidiani e periodici in edicola. Si aggrava, dunque, la persistente crisi della carta stampata. E, di conseguenza, continuano ad assottigliarsi gli incassi delle edicole derivanti dal loro “core business”…
Basti osservare che attualmente il “Corriere della Sera” può vantare 380.000 abbonamenti digitali, a fronte di 173.000 copie cartacee acquistate in edicola mediamente nel 2021, per un totale di 553mila lettori al giorno. Ma gli abbonamenti digitali hanno un costo modesto, e non rafforzano il business degli editori considerato nel suo complesso: se è certamente importante il target dell’aumento dei lettori, sarebbe altrettanto importante capire, a livello di fatturato e di abitudini al consumo, l’impatto di questo progressivo spostamento dalla carta stampata al digitale, specie considerando che la maggior parte dei ricavi degli editori continua ad arrivare dalle vendite cartacee in edicola. Gli abbonamenti digitali hanno infatti un costo inferiore e spesso vengono offerti a prezzi stracciati, per periodi più o meno lunghi, per incentivare la sottoscrizione…
Fimi (industria musicale): nel 2021, + 66 % di ricavi da “royalty” per la musica italiana a livello internazionale
La Fimi segnala che il 2021 sarebbe stato “un anno con ricavi decisamente in crescita per l’industria discografica italiana a livello internazionale”, dato che segna un + 66% di entrate da “royalty”. La fonte è la multinazionale della consulenza (e della revisione, si ricordi sempre) Deloitte che ha stimato per la Federazione che i consumi di musica italiana a livello globale hanno generato quasi 20 milioni di euro nel 2021, contro i poco più di 11 milioni nel 2020: questa crescita è stata guidata in particolare dai ricavi digitali, cresciuti dell’83 % arrivando a 16,6 milioni di euro di “royalty”. In salita anche le “royalty” su cd e vinili con + 100 % rispetto al 2020. Complessivamente tra mercato fisico, digitale, diritti per sincronizzazioni e diritti connessi l’industria discografica italiana ha ricavato 19,1 milioni di euro.
Il 2021 è stato un anno particolarmente importante per l’export di musica italiana con il successo della band italiana dei Måneskin, entrata nelle classifiche di tutto il pianeta.
Fimi attribuisce il successo anche ai “forti investimenti realizzati dalle aziende nel repertorio locale, che sono confermati anche dal dominio degli artisti italiani nelle classifiche di fine anno con le top 10 album e singoli interamente occupate dalle produzioni locali. A questi ricavi si sommano naturalmente anche i relativi diritti d’autore ed editoriali gestiti dalle società di gestione dei diritti e dagli editori musicali”.
Sarà interessante acquisire conferma dalla Società Italiana Autori Editori – Siae di questo entusiasmo da parte di Fimi.
Eppure il titolare del Ministero della Cultura Dario Franceschini ha colto al balzo, lo stesso giorno rispetto al comunicato stampa della Fimi, per una ennesima iniezione di ottimismo (come è nel suo abituale stile). L’Ufficio Stampa del Ministero ha così titolato un suo comunicato: “Musica, Franceschini: grande successo internazionale per la musica italiana”. E queste le parole del Ministro: “quello che stiamo vivendo è un periodo d’oro per la musica del nostro Paese che si afferma nei mercati mondiali. I dati resi noti da parte della Fimi descrivono un fortissimo aumento dell’82 %, rispetto all’anno scorso, delle entrate da royalty a livello internazionale per l’industria discografica italiana, con ricavi pari a quasi 20 milioni di euro. La forza e la capacità dell’intero comparto della musica italiana di resistere e rilanciarsi, nonostante il periodo complesso della pandemia, testimonia un lavoro importante fatto nel corso degli anni. Nuovi talenti e band giovanili che si affermano in Italia e nel mondo sono il migliore biglietto da visita per un settore che, con le prossime riaperture e la conseguente ripartenza, potrà dispiegare tutto il suo successo”, ha sostenuto il Ministro.
In attesa dei dati certificati dalla Società Italiana Autori Editori (Siae)
Quel che siamo sicuri certificherà presto la Siae (nella prossima edizione dell’“Annuario dello Spettacolo” curato dall’Osservatorio dello Spettacolo della Società, che si prevede verrà presentata verso maggio 2022) è il crollo dei ricavi e dei consumi dell’intero settore dello spettacolo dal vivo, nel 2021.
Crollo dei ricavi (ovvero dei consumi) determinato ovviamente soprattutto dalle chiusure prolungatesi per larga parte dell’anno, imposte dal Governo non esattamente “cum grano salis” (anzi, talvolta proprio irragionevolmente), ed anche per la strisciante demotivazione psichica alla fruizione determinata da provvedimenti governativi spesso irrazionali (come quello del divieto di vendita di pop-corn e bibite nei cinematografici pur riaperti).
Si ricordi che un comparto come quello delle discoteche è stato penalizzato in modo totale e soltanto da pochi giorni ha potuto rimettersi in moto.
Ed attendiamo i dati della stessa Fimi per quanto riguarda i consumi interni, ovvero i ricavi dell’industria musicale nazionale (al di là dell’entusiasmo per le “royalty” a livello planetario). Gli ultimi numeri della Federazione guidata da Enzo Mazza risalgono al settembre del 2021: il mercato discografico italiano, secondo i dati Deloitte per Fimi, è cresciuto complessivamente del 34 % nei primi sei mesi dell’anno, forte dell’affermazione del segmento “premium streaming”. I ricavi da abbonamenti sono infatti cresciuti del 41 %, seguendo il trend iniziato nel 2020, con un forte spostamento generale dei consumatori verso i servizi in abbonamento. In forte crescita anche i ricavi dal segmento video, saliti del 47,7 %. Dopo un 2020 complesso in termini di accesso e distribuzione, è tornato a crescere anche il segmento fisico. Si registra in particolare il successo del vinile, che ha visto un boom con un incremento del 189 %: è ormai il supporto decisamente di punta, dopo aver scavalcato il cd, che ha pur visto una crescita del 52 %.
Si noti che il totale dei ricavi della musica italiana (da vendite) sarebbe stato nel primo semestre del 2021 di 129 milioni di euro, di cui ormai soltanto 24 milioni di euro da supporto fisico, ovvero il 19 %. Il resto è formato da “streaming” per il 78 %, cui va aggiunto un 2 % di “other digital” (download e mobile)…
Attendiamo di conoscere i dati relativi all’intero anno 2021, che riteniamo confermeranno il trend già segnalato, ovvero “semplicemente” un incremento della fruizione “digitale”, a discapito di quella “fisica”…
Ci si domanda se questa continua “digitalizzazione” delle nostre esistenze (e dei nostri consumi culturali) sia un fenomeno che deve essere vissuto come… inevitabile, naturale, sano?!
Nutriamo in verità molte perplessità.
Riteniamo che chi governa la politica culturale nazionale dovrebbe interrogarsi profondamente, considerando le conseguenze negative della perdita di materialità / fisicità / socialità della fruizione di cultura, arte, spettacolo… Si tratta di una delicata questione sociale, oltre che culturale.
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