Da Key4biz (27/3/20): Covid e dataset, i ‘numeri’ dell’emergenza sono incompleti
Quanti sono i cittadini morti presso la propria abitazione (ai quali non è stato effettuato il tampone)?! Emergono primi segnali di rivolta e Renzi propone un gesto simbolico “riaprire le librerie”.
Se ne sentiva la necessità, di un’altra… “fonte istituzionale”, nel gran calderone dell’informazione ridondante e discordante sull’epidemia?!
Francamente no, eppure questa mattina è stata convocata una conferenza alle 13 presso la sede centrale dell’Istituto Superiore di Sanità, dal Presidente dell’Iss Silvio Brusaferro, assieme a Franco Locatelli, Presidente del Consiglio Superiore di Sanità.
Non sono state segnalate significative novità, rispetto a quel che già si sapeva: “si registrano segnali positivi, ma non dobbiamo mollare… il picco si sta avvicinando… impossibile la stima degli asintomatici… non è possibile fare una previsione sulla possibilità di proroghe delle misure di contenimento per contrastare la diffusione del virus… valuteremo tempestivamente fornendo ai decisori politici il da farsi, ma è probabile che anche tra 4-5 giorni questa sarà la risposta…”.
Restano completamente senza risposte le domande che chi redige queste note ha posto ieri, in occasione della ormai tradizionale conferenza stampa delle 18 presso il Dipartimento della Protezione Civile: quanti sono i cittadini stranieri contagiati e quelli deceduti ?! è vero che non c’è stato nemmeno un morto nelle comunità cinesi in Italia ?!
quanti sono i cittadini nelle residenze per anziani e nelle proprie abitazioni, a fronte dei deceduti nelle strutture ospedaliere ?!
Quesiti che restano incredibilmente senza risposta.
Dati incompleti, e la realtà sfugge da tutte le parti
Monitorando la situazione del “sistema informativo” italiano rispetto all’epidemia, riemerge quotidianamente quel che abbiamo già segnalato su queste colonne: ridondanza di dati, dati non sufficientemente validati, metodologie di “conta” suscettibili di critiche, dati discordanti…
Particolarmente preoccupante quel che ha scritto il collega mercoledì 25 marzo Marco Dotti sulle colonne di “Vita” (la più diffusa testata del Terzo Settore in Italia): “snocciolano numeri, lanciano appelli a un patriottismo fuori luogo, raccontano storie. Ma sono le storie sbagliate. E la realtà sfugge da tutte le parti”.
In effetti, Dotti pone una domanda simile a quella che abbiamo posto noi, e che resta senza risposta: quanti sono coloro che muoiono a casa?! Precisa Dotti: “i tamponi vengono fatti solo su chi muore in ospedale. Così, in un paesino in provincia di Brescia (Coccaglio) che registrava una media di 75 morti l’anno, i decessi dal 1° marzo a oggi sono già 36, 24 dei quali ospiti della locale Rsa. Ma i casi ufficiali di morti per Coronavirus sono solo 5”.
E naturale sorge la domanda: il Capo Dipartimento della Protezione Civile Angelo Borrelli ha dichiarato che i contagi sarebbero tra 5 o 10 volte più di quelli registrati.
Oggi l’Istituto Superiore di Sanità ha precisato che semplicemente “non si sa” se gli asintomaci possano essere 2 o 4 volte o 10 volte quelli il cui contagio è stato accertato.
E si domanda Dotti (e noi con lui): “solo i contagi? o anche i morti?”.
Possibile che il “sistema informativo” (così inteso come monitoraggio da parte delle istituzioni sanitarie) dell’epidemia sia così deficitario? Possibile. Anzi è proprio così.
Grande è lo sconforto di chi osserva con attenzione questo “monitoraggio” inadeguato e deficitario, anche perché è sulla base di queste erratiche “numerologie” che il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte ed il Ministro della Salute Roberto Speranza debbono assumere decisioni più o meno radicali…
Se il “dataset” non è particolarmente accurato e aggiornato e completo, come diavolo è possibile “monitorare” adeguatamente l’evoluzione della epidemia ed assumere decisioni conseguenti???
Mascherine sì / mascherine no: indicazioni del Ministero e comportamento dei parlamentari
Ieri, durante la conferenza stampa, abbiamo anche posto un quesito preciso alla Protezione Civile: se è vero che le mascherine – secondo quel che risulta sul sito web del Ministero della Salute (fonte informativa istituzionale primaria) – sono necessarie esclusivamente per coloro che ritengono di avere sintomi della malattia (a partire da febbre superiore a 37,5) e per coloro che sono in contatto con persone già contagiate, per quale ragione circa due terzi dei parlamentari le utilizzano, come si evince anche dalle dirette televisive degli ultimi giorni?! E perché si usano mascherine e guanti durante le riunioni del Consiglio dei Ministri?!
La Protezione Civile ci ha risposto, nella persona del Coordinatore del Comitato Tecnico-Scientifico, Agostino Miozzo, che le mascherine debbono essere destinate anzitutto a chi opera in prima linea, ovvero gli operatori della sanità, medici e paramedici, e che “il ciclista che corre in bici con la mascherina tipo Ffp3 (“Ff” sta per “semimaschera filtrante”, ovvero quelle per utilizzazione professionale in ambito ospedaliero, n.d.r.) non si rende conto che si sta facendo paradossalmente del male, non sapendola verosimilmente nemmeno utilizzare in modo corretto”. Mascherine come queste sono efficaci soltanto se indossate con una precisa procedura.
Anche su questo tema, confusione estrema. Eppure Agostino Miozzo ha manifestato ieri un accorato appello ai media, agli operatori dell’informazione, affinché non divengano megafoni di informazioni errate e distorte, alimentando le sempre crescenti “fake news”.
Abbiamo risposto a Miozzo che ha perfettamente ragione, ma allora chi opera nell’informazione ha diritto, esattamente come i cittadini, ad acquisire informazioni nette e precise, da una fonte unica ed univoca.
Il caso del modulo di “autocertificazione” in continua evoluzione (siamo giunti alla versione n° 4 nell’arco di pochi giorni) è invece sintomatico di un modus operandi che è intollerabile, perché produce continua confusione e disorientamento nella cittadinanza.
Il Sottosegretario Martella: “una grande alleanza contro i falsificatori di notizie”
Il Sottosegretario all’Editoria Andrea Martella, nell’intervista concessa a Graziella di Mambro e pubblicata sul sito di “Articolo 21”, ha lanciato oggi un appello a realizzare una “grande alleanza” per contrastare esecutori e mandanti della campagna di falsificazione, che ha l’obiettivo di alimentare la paura, favorire il discredito delle istituzioni e del giornalismo professionale, colpire alle spalle chi è impegnato nel difficile compito di fermare la diffusione di un virus subdolo e mortale.
Sostiene il Presidente della Federazione Nazionale della Stampa (Fnsi) Giuseppe Giulietti: “la nostra proposta, rivolta in primo luogo alla Rai, in quanto servizio pubblico, ma non solo alla Rai, è di istituire un gruppo di lavoro capace di individuare, contrastare, segnalare non solo le singole bugie, ma anche di risalire alle centrali che le costruiscono e le distribuiscono”. Il gruppo dovrebbe comprendere rappresentati delle istituzioni dalla Polizia ai Carabinieri, dall’Istituto Superiore di Sanità al Ministero della Salute, dall’Autorità di Garanzia delle Comunicazioni alle giornaliste e ai giornalisti che, da anni, si dedicano alla caccia ai falsi e ai falsari. “Naturalmente andrebbero anche inasprite le pene, possibilmente raddoppiate, quando il colpevole è un rappresentante delle istituzioni o della politica. Chi, consapevolmente, promuove e sostiene le campagne di inquinamento deve essere considerato un traditore della Repubblica un nemico della salute pubblica, anzi della dignità di ciascuna persona. Tra i complici di costoro vanno inseriti anche i cosiddetti ‘opinionisti a tariffa’, quelli che molto urlano, perché nulla sanno”.
Conclude Giulietti: “naturalmente anche il governo dovrebbe avere una comunicazione più lineare, meno confusa e talvolta contraddittoria, rispettosa delle domande di una libera informazione che, proprio perché siamo nel pieno di un’emergenza grave, non può e non deve subire limitazioni all’esercizio del diritto di cronaca”.
Primi segni di ribellione sociale: assaltato un supermercato a Palermo
E se inizia anche la conta dei “suicidi” – come abbiamo segnalato ieri – si registrano i primi atti di “ribellione”: come ha segnalato ieri sera l’Ansa, un terribile tam tam corre sui social, con l’apertura di un profilo Facebook di un gruppo denominatosi “Noi”. Nel giro di 24 ore ha registrato 585 iscritti, soprattutto palermitani. S’inneggia esplicitamente alla rivolta: “Basta stare a casa, dobbiamo mangiare”. Alcuni di loro si organizzano attraverso delle chat. C’è chi dice: “chi per giorno 3 aprile è pronto alla guerra lo scriva qui sotto e facciamo gruppo… dobbiamo rompere tutti i supermercati e se vengono gli sbirri…”. E ancora: “per farci sentire dobbiamo razziare i supermercati, come fanno in Siria e in Spagna, la protesta vera e propria è questa, così capiscono a cosa siamo arrivati”. E un altro: “allora ragazzi avevo detto ieri sera, il problema c’è da subito: i bambini devono mangiare”. Nel profilo, ci sono post sui “gilet gialli” che aggirano i divieti in Francia. In molti, ci mettono la faccia, pubblicando video in cui sollecitano la rivolta sociale, mostrando anche i volti dei propri figli piccoli. Dai “social” alla “realtà”, il passo è brevissimo: così nel pomeriggio, a Palermo, una ventina di persone ha assaltato il supermercato Lidl in viale Regione Siciliana, tra i più grandi e i più frequentati della città. Sono entrati, hanno riempito i carrelli di generi alimentari, e raggiunte le casse hanno cercato di forzarle: “non abbiamo soldi, non vogliamo pagare”. Gli impiegati del market hanno chiamato polizia e carabinieri, mentre all’esterno tra la gente in fila (a distanza di un metro come impongono le regole anti Covid-19) è scoppiato il panico. Per diverse ore è stato il caos. In città, si è sparsa la voce di furgoni che trasportavano derrate alimentari rapinati da bande.
Nel gruppo “Noi” di Fb, Aleandro scrive: “io non aspetto aprile, sono senza un euro, la mia famiglia deve mangiare. Perciò senza fare le pecore, scendiamo in piazza e pretendiamo i nostri diritti. Non facciamo chiacchiere, che fanno acidità. Chi fa la pecora e non scende in piazza, per me fa parte dello Stato, senza offesa per nessuno”. Intanto sorgono altri gruppi su Facebook di persone che dichiarano di essere esasperate e c’è chi invita a fare fronte comune perché “se ci uniamo siamo di più, si chiama rivoluzione nazionale”. A Palermo, ormai la situazione è esplosiva, l’esasperazione è alle stelle. “A casa, ci possono stare quelli che hanno lo stipendio fisso, se noi dobbiamo stare chiusi lo Stato ci deve portare il cibo e deve pagare gli affitti, non siamo Cristiano Ronaldo: qui tre quarti di italiani lavora in nero. Ribellatevi”, urla Luky in un video.
Si ha ragione di temere che la mafia ed in generale la criminalità possa soffiare sul fuoco, di fronte a questi fenomeni.
Da segnalare che, secondo un recente studio della Cgil, a Palermo e provincia 1 lavoratore su 3 è in nero (riteniamo che questa stima percentuale possa riguardare – grosso modo – buona parte dell’intero Paese). Il divieto a uscire di casa per fermare i contagi ha svuotato la città: e così, per esempio, chi vive vendendo il pane per strada, chi finora ha guadagnato con la frutta e la verdura nelle bancarelle dei mercati tradizionali o in quelli rionali, da due settimane non incassa più 1 euro.
Ragionare su un allentamento graduale delle misure draconiane
L’emergenza Coronavirus ha due aspetti gravissimi: quello medico-sanitario, certamente prioritario, ma anche quello socio-economica, che è stato finora sottovalutata dal Governo.
Finora, soltanto l’aspetto “economico” è stato oggetto di interventi annunciati (i famosi primi “25 miliardi” di euro…), mentre l’aspetto “sociale”, ovvero psico-sociale, è stato finora completamente ignorato.
Riteniamo che l’Esecutivo debba ragionare seriamente su un allentamento, parziale e graduale, e per zone di intensità di rischio (sulla base dei dati disponibili, per quanto deficitari), delle misure draconiane di contenimento della mobilità.
Le conseguenze di un prolungamento della “quarantena” – quasi un “coprifuoco” ormai – possono essere imprevedibili, ben più gravi di quelle che si possono immaginare (malesseri psichici, suicidi, rivolte di piazza…), perché corrono “sottopelle”, sono dinamiche infrapsichiche la cui dimensione e profondità è di difficile esplorabilità.
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