Da Key4Biz (29.10.21): La manovra Draghi premia la cultura. Ma resta il deficit di visione strategica
Il Ministro Dario Franceschini assicura rinnovate iniezioni di sostegni pubblici alla cultura, mentre il Cda Rai eredita il “piano industriale” di Salini e Boston Consulting Group.
Le giornate di ieri e l’altro ieri registrano almeno due notizie di discreta importanza nella politica culturale e nella economia mediale italiana: giovedì, il Ministro della Cultura Dario Franceschini è riuscito ad allargare i cordoni della borsa in occasione della prima “manovra” Draghi approvata dal Consiglio dei Ministri; e mercoledì l’Amministratore Delegato della Rai Carlo Fuortes ha preso atto con soddisfazione dell’approvazione da parte del consiglio di amministrazione di una versione aggiornata del “piano industriale” che pure ha ereditato dal duo gialloverde Salini-Foa.
La notizia che vede Dario Franceschini protagonista ha curiosamente ottenuto una modestissima ricaduta mediatica (a livello di stampa quotidiana, soltanto “La Verità” gli ha prestato attenzione), mentre oggi “la Repubblica” dedica una paginata ad una intervista all’Ad Rai Carlo Fuortes.
Eppure entrambe le notizie, in qualche modo “intrecciate”, meritano adeguata attenzione.
L’iniziativa di Franceschini è foriera di una iniezione di risorse di notevole intensità, ed ancora una volta si osserva come il cinema e l’audiovisivo risultino assolutamente privilegiati, rispetto a tutti gli altri settori del sistema culturale: non è una novità, nella politica culturale del Ministro, ma questa conferma di trend va opportunamente risegnalata.
Queste in sintesi le iniezioni di risorse nel sistema culturale, che potremmo simpaticamente definire “manovra Franceschini”…
La “manovra Franceschini”. Cinema e audiovisivo: + 110 milioni di euro, il Fondo arriva a quota 750
È stato deciso un potenziamento ulteriore delle risorse destinate all’industria cinematografica ed audiovisivo: il fondo previsto dalla “Legge Franceschini” del 2016 per lo sviluppo degli investimenti nel cinema e nell’audiovisivo viene incrementato di ulteriori 110 milioni di euro.
L’importo minimo annuale del fondo, nel 2016 di 400 milioni di euro, ora partirà da 750 milioni di euro: impressionante, oggettivamente, questa manna pubblica a favore dell’immaginario audiovisivo. Un raddoppio di risorse nell’arco di sei anni soltanto!
Il progressivo aumento del “fondo per lo sviluppo degli investimenti nel cinema e nell’audiovisivo” ha consentito di stabilizzare il “tax credit” cinema al 40 %, una misura fiscale estremamente vantaggiosa che ha tra i propri obiettivi l’attrazione in Italia delle produzioni internazionali.
L’iniziativa è correlata ovviamente al rilancio di Cinecittà, che – come è noto – va a beneficiare di 300 milioni di euro dai fondi del “Recovery Plan”.
Da segnalare che oggi pomeriggio il Presidente dell’Associazione Produttori Audiovisivi (Apa) Giancarlo Leone ha sentito l’esigenza di manifestare entusiasmo: “il disegno di legge di bilancio 2022 contiene importanti misure per il rafforzamento dell’industria culturale dell’Audiovisivo e del Cinema, che sono l’ulteriore conferma dello straordinario impegno del Ministro della Cultura Dario Franceschini a favore della produzione e diffusione delle opere italiane dei produttori indipendenti nel nostro Paese e nel mondo… Anche in era di pandemia, non è mancato il rafforzamento dell’impegno pubblico verso la produzione culturale, che ha trovato nella produzione indipendente un riferimento crescente per la qualità e la consistenza industriale delle opere audiovisive”. Come dire?! Un “grazie” senza dubbio doveroso, a fronte di cotanta generosità del Principe.
E, su questi temi (cinema / audiovisivo / televisione), è qui opportuno segnalare che la Direttrice – dalla prima edizione alla settima, appena conclusasi – del Mercato Audiovisivo Internazionale (iniziativa Apa + Anica), Lucia Milazzolo, giovedì della scorsa settimana 21 ottobre, ha lasciato la guida del Mia per assumere la guida della nuova Direzione Sales e Marketing di Cinecittà. E forse tra un po’ la Presidente Chiara Sbarigia e l’Ad Nicola Maccanico renderanno di pubblico dominio l’ancora misterioso “piano industriale” di Cinecittà…
L’applicazione “18App” alias “bonus cultura” per i neo 18enni: 230 milioni di euro
Viene stabilizzato e reso permanente “18App”, il controverso “bonus cultura” da 500 euro per i neo diciottenni, da spendere in cinema, musica e concerti, eventi culturali, libri, musei, monumenti e parchi, teatro e danza, corsi di musica, di teatro, di lingua straniera, prodotti dell’editoria audiovisiva, abbonamenti a quotidiani anche in formato digitale. Franceschini è riuscito ad evitare – scontrandosi con il Premier Mario Draghi e con il Ministro dell’Economia Daniele Franco – la mannaia di un eventuale “tetto Isee” di 25.000 euro, che avrebbe ridotto l’utilizzabilità del “bonus” (sul tema, si rimanda a quel che scrive Luigi Garofalo su “Key4biz” di oggi, “Bonus Cultura per i 18enni, sarà sempre finanziato”).
Fondazioni lirico-sinfoniche: + 150 milioni di euro
Viene istituito un nuovo “fondo per il risanamento delle fondazioni lirico sinfoniche”, con una dotazione di 100 milioni di euro per l’anno 2022 e 50 milioni di euro per il 2023. Evocare il concetto di “risanamento” suscita un qualche sorriso, perché questi enti sono alla ricerca, da decenni, di veder risanati i propri bilanci: in verità, sarebbe opportuna una riflessione profonda sull’efficienza ed efficacia dell’intervento della “mano pubblica” nel settore, e sulle modificazioni nell’offerta che forse dovrebbero essere messe in atto, a fronte del mutato scenario culturale (mediale e digitale). Ma, per ora, lo Stato si limita ad iniettare ulteriori sovvenzioni nell’economia del sistema.
Finanziamento degli istituti culturali: + 20 milioni di euro
Le risorse per il finanziamento delle istituzioni culturali vengono incrementate di 20 milioni di euro a partire dal 2022: grazie a queste misure, continua la crescita del sostegno statale a favore di importanti istituzioni per il nostro Paese che vedono, per la prima volta, un intervento complessivo che tocca i 70 milioni di euro annui.
“Fondo cultura”: + 20 milioni di euro
Viene rifinanziata con 20 milioni di euro, per il 2022 e 2023, la dotazione del “Fondo cultura” istituito dal “decreto rilancio” nel maggio 2020 per promuovere gli investimenti sul patrimonio culturale materiale e immateriale e aperto alla partecipazione di soggetti privati.
Librerie e biblioteche: + 40 milioni di euro
Sono stati decisi interventi per + 30 milioni di euro per ciascuno degli anni 2022 e 2023 per promuovere la lettura e sostenere la filiera dell’editoria libraria. Le risorse sono assegnate alle biblioteche dello Stato, degli enti territoriali e degli istituti per l’acquisto di libri, rivolgendosi in modo prevalente alle librerie presenti sui propri territori. Viene incrementato di 10 milioni di euro per il 2022 e 2023 per il “tax credit” librerie, ovvero l’incentivo fiscale per sostenere le librerie, soprattutto quelle indipendenti e situate nei piccoli centri. Da segnalare che continuano ad essere discriminate le centinaia di librerie dell’usato, che non possono accedere a questi benefici, nonostante un ruolo prezioso nel tessuto culturale nazionale (e peraltro nella logica di quell’economia del riciclo tante volte evocata nella retorica dell’ecologia che pure appassiona molti – più a parole che nei fatti – in Italia).
Fondo per la tutela del patrimonio culturale: + 100 milioni di euro
A partire dal 2022, viene incrementato con 100 milioni di euro il “fondo per la tutela del patrimonio culturale”: si tratta di uno strumento che, in attuazione dell’articolo 9 della Costituzione, assicura risorse stabili alla tutela del patrimonio culturale e consente di pianificare con anticipo gli interventi prioritari sul patrimonio culturale.
Archivi: + 105 milioni di euro
Al fine di assicurare la conservazione e la fruizione del patrimonio archivistico, è stata autorizzata la spesa di 100 milioni di euro, fino al 2025, per l’acquisto di immobili destinati agli Archivi di Stato, e per la realizzazione di interventi di adeguamento antincendio e sismico degli istituti archivistici. A decorrere dall’anno 2022 è inoltre autorizzata la spesa di 5 milioni di euro annui per la locazione di immobili destinati ai medesimi istituti.
Borghi (con meno di 500 abitanti), incentivazioni per artigiani e botteghe storiche: 20 milioni di euro
La decisione prevede meno tasse per le attività commerciali nei comuni con una popolazione inferiore ai 500 abitanti: per favorire lo sviluppo turistico e contrastare la desertificazione commerciale e l’abbandono dei territori, i commercianti al dettaglio e gli artigiani che iniziano, proseguono o trasferiscono la propria attività in un comune con popolazione fino a 500 abitanti delle aree interne, possono beneficiare, per gli anni 2022 e 2023, dell’esenzione dall’imposta municipale propria per gli immobili siti nei predetti Comuni. Per le medesime finalità, lo Stato, le Regioni, le Province autonome e gli Enti locali possono concedere in comodato beni immobili di loro proprietà, non utilizzati per fini istituzionali, ai commercianti e agli artigiani.
Un nuovo “welfare” per lo spettacolo: parte il “Set” = Sostegno Economico Temporaneo: 20 milioni di euro
Al via il “Fondo per il Sostegno Economico Temporaneo” (da cui l’acronimo “Set”), con una dotazione iniziale di 20 milioni di euro nel 2022, e 40 milioni di euro annui a decorrere dal 2023.
Il “Set” rientra tra le misure previste dal nuovo welfare dei lavoratori dello spettacolo, che ridisegna le tutele dei lavoratori tenendo conto delle specificità di un settore in cui il rapporto di lavoro è strutturalmente discontinuo per il carattere oggettivo della prestazione e non per scelta datoriale o del lavoratore stesso. Nell’iter parlamentare e nel ddl collegato spettacolo al Senato, saranno incrementate le risorse del fondo e saranno definiti i criteri e le modalità di erogazione del Set.
Fondo Unico per lo Spettacolo (Fus), piccolo incremento: + 20 milioni di euro
A decorrere dal 2022, il “Fondo Unico per lo Spettacolo” (che in verità non è più “unico”, dato che convive con il Fondo per il Cinema e l’Audiovisivo istituito da Franceschini a fine 2016 con la legge che porta il suo nome) viene incrementato di ulteriori 20 milioni di euro, superando così i 400 milioni di euro annui. Viene in questo modo potenziato il sostegno finanziario ad enti, istituzioni, associazioni, organismi ed imprese operanti nei settori delle attività musicali, di danza, teatrali, circensi e dello spettacolo viaggiante. Si tratta comunque – oggettivamente – di spiccioli, a fronte dell’incremento di risorse a beneficio del cinema e dell’audiovisivo.
Bonus “facciate”: prorogato per il 2022
Viene prorogato a tutto il 2022 il cosiddetto “Bonus Facciate”: il credito d’imposta, che per il 2021 è stato pari al 90 %, seppur rimodulato al 60 %, continuerà a rilanciare il settore edilizio con investimenti per il restauro e il recupero delle facciate di palazzi e condomìni e restituire bellezza alle città italiane. Secondo alcune fonti, anche su questo – così come sul “bonus cultura” – ci sarebbe stato uno scontro tra il Premier ed il Ministro, ma il secondo sarebbe riuscito a far passare le proprie tesi a favore della proroga.
Molto danaro pubblico, ma deficit di visione organica?!
Non si può non plaudire, di fronte alla corposità di questi interventi di sostegno, che dovrebbero ri-stimolare i settori del sistema culturale nazionale, dopo la lunga “stangata” determinata dalle conseguenze della pandemia.
Quel che riteniamo manchi ancora è una visione organica degli interventi della mano pubblica: ci sembra che molte di queste iniziative evidenzino un approccio settoriale e parcellizzato, con un deficit di respiro strategico organico.
Basti osservare come questi interventi risultino completamente sganciati da un approccio sensibile all’economia digitale: e che dire della totale assenza di “agganci” con il ruolo della televisione pubblica?
La Rai è forse un “mondo a parte” rispetto al sistema culturale nazionale?!
Non potrebbe essere proprio quella della “manovra” di bilancio l’occasione giusta per definire, una volta per tutte, l’entità delle risorse, adeguate affinché Rai possa rispondere veramente alle previsioni dell’evanescente “contratto di servizio”?!
Presi uno per uno, poi, questi interventi possono essere oggetto di critiche specifiche (anche a causa della evocata “frammentarietà”).
Ci limitiamo ad un intervento senza dubbio innovativo, almeno nelle intenzioni, qual è il succitato “Set”, che viene attivato in un settore la cui vera realtà continua ad essere oscura: i lavoratori “precari” (strutturalmente precari, almeno in Italia) del settore dello spettacolo dal vivo (teatro, musica, danza…). Si tratta dei lavoratori culturali che più hanno sofferto le conseguenze dello stallo pandemico delle attività. Il Governo ed il Parlamento si sono senza dubbio interessati di questa criticità, di notevoli dimensioni sociali: non si sa esattamente quanti siano (nonostante sia stato avviato un qualche tentativo censuario), ma sicuramente sono i più penalizzati.
“Bauli in Piazza”: 70mila colleghe/i hanno dovuto cambiare lavoro, in meno di 20 mesi
Che quel che il Governo ha messo in atto sia stato senza dubbio utile, anzi prezioso, ma al tempo stesso parziale e forse troppo timido è confermato dalla presa di posizione assunta pochi giorni fa dal coordinamento di lavoratori dello spettacolo Bauli in Piazza, che ha pubblicato una nota ufficiale con la quale – insieme ad altre 18 sigle in rappresentanza alle maestranze del settore – ha preso le distanze dalla prima “Giornata Nazionale dello Spettacolo”, istituita dal Ministro della Cultura Dario Franceschini per domenica scorsa 24 ottobre. “Grazie all’attenta politica di ristori, realizzata in costante dialogo con i lavoratori, è stato possibile scongiurare la perdita di figure professionali così importanti”, aveva dichiarato al proposito Dario Franceschini: “a questa è seguita un nuovo sistema di welfare che ha pienamente riconosciuto lavoratrici e lavoratori dello spettacolo. Ora arriva una Giornata Nazionale, che dà piena valenza a uno dei pilastri della vita culturale del Paese”…
Apprezzabili intenti che sarebbero in parte contraddetti dalla realtà dei fatti. Assai dura, infatti, la contestazione di Bauli in Piazza: “se il 24 ottobre sarà la Giornata Nazionale dello spettacolo, noi non la festeggeremo, perché la politica dei ristori del suo Ministero non è stata sufficiente a scongiurato la perdita di competenze e figure professionali… 70mila colleghe/i hanno dovuto cambiare lavoro, in meno di 20 mesi. Peraltro, pur continuando l’emergenza sanitaria, i sostegni sono cessati da maggio”.
E insistono: “nessuno ha notizie del sistema di welfare che riconoscerebbe pienamente uno dei pilastri culturali del Paese, i lavoratori e le lavoratrici dello spettacolo. Le richieste di sindacati, associazioni di categoria e movimenti sono le stesse, e rimangono inascoltate da 20 mesi. Aspettiamo un contraddittorio mediatico. Chiedendo a gran forza a tutti gli organi d’informazione di darci la possibilità di raccontare l’altra verità”.
Sia la testata giornalistica “Key4biz” sia questa rubrica curata da IsICult “ilprincipenudo” si dichiarano disponibili ad accogliere le “testimonianze” di coloro che sembra abbiano poca voce a livello di media “maistream”.
La vicenda ci sembra comunque emblematica di una qual certa distanza tra il “Palazzo” e la vita del “Paese reale”, anche in materia di politica culturale.
Questa vicenda è peraltro sintomatica di quel che denunciamo da tempo anche su queste colonne: il “sistema informativo” della cultura in Italia non dispone di informazioni ed analisi adeguate al suo buon governo.
Non ci sono studi approfonditi su come funzionano le varie filiere settoriali, non esiste un’analisi accurata ed organica delle industrie culturali e creative.
La “Relazione” annuale al Parlamento sul Fondo Unico dello Spettacolo (Fus) è un documento carente di dati essenziali e peraltro non viene degnata di alcuna attenzione da parte del Parlamento (viene trasmessa dalla Direzione Generale dello Spettacolo del Mic, guidata da Antonio Parente, diligentemente protocollata, e giace nella polvere), né da parte dei media, né da parte – paradossalmente – degli stessi operatori del settore (temiamo che molti di essi ne disconoscano la stessa esistenza).
Dinamica simile si vive la “valutazione di impatto” della Legge Cinema ed Audiovisivo che, per la prima volta da quando è stata realizzata, è stata presentata pubblicamente dal Direttore Generale Nicola Borrelli soltanto pochi giorni fa (e di fronte ad un uditorio di poche decine di persone), in occasione della Festa del Cinema di Roma (vedi “Key4biz” del 21 ottobre 2021, ““Legge cinema e audiovisivo”, presentata la valutazione di impatto”).
Quando qualcuno (lo stesso Governo!) deve mettere mano ad interventi a favore delle industrie culturali e creative, non trova di meglio che fare riferimento a “ricerche” dalle fragili gambe, come il quasi-unico studio in materia, il rapporto annuale “Io Sono Cultura” della Fondazione Symbola presieduta da Ermete Realacci, che considera affidabile un dataset basato sui “codici Ateco”, che notoriamente non sono adatti alla miglior descrizione delle attività culturali. E ciò basti. Lo abbiamo denunciato decine di volte (vedi, per esempio, “Key4biz” del 4 agosto 2021, “Tra Rai e Symbola, misteri eleusini e numeri in libertà in attesa dell’audizione dell’Ad Fuortes oggi ore 20”), ma restiamo purtroppo inascoltati: non è possibile impostare politiche culturali realmente efficaci, in assenza di una pur minima strumentazione cognitiva adeguata alle complessità del sistema, alle sue interazioni settoriali, alle modificazioni strutturali che l’habitat digitale sta determinando.
Rai: si conferma il passaggio dall’organizzazione “verticale” a quella “per generi” (10 Direzioni), ma permangono molte perplessità
Mercoledì 27 ottobre è stato approvato dal Consiglio di Amministrazione della Rai una versione “rivista e corretta” – ovvero aggiornata – del “piano industriale”, che era stato a suo tempo elaborato avvalendosi della (costosa) consulenza di Boston Consulting Group (Bcg). Già la decisione di riaffidare a consulenti esterni un documento così delicato e prezioso è una riprova che il “new deal” tanto atteso non si sta ancora concretizzando.
Questa la versione ufficiale di Viale Mazzini: 10 le “Direzioni di Genere” che dovranno produrre contenuti per i canali Rai Uno, Due e Tre, per la piattaforma digitale Rai Play e per i canali specializzati, declinandoli a seconda dei diversi pubblici e dei profili editoriali dei canali e piattaforme digitali.
Le direzioni “di Genere” sono: “Intrattenimento prime time”, “Intrattenimento day time”, “Cultura ed educational”, “Documentari”, “Fiction”, “Sport”, “Cinema”, “Approfondimento”, “Kids”, “Contenuti RaiPlay”.
Da osservare la totale assenza di una Direzione di Genere “Informazione”, come se le news non rappresentassero, nell’economia televisiva (e soprattutto nell’economia di un “public media service”) un genere assolutamente fondamentale…
Secondo l’Ufficio Stampa Rai (diretto da Stefano Marroni, elevato una settimana fa al rango di Vice Direttore Comunicazione – la Direzione è guidata da Pierluigi Colantoni), nel comunicato diramato, “il modello organizzativo per Generi, peraltro già adottato dai principali Broadcaster Pubblici europei, costituisce un fondamentale momento di discontinuità e un punto di ripartenza ineludibile per l’azienda, accelerando il processo di trasformazione digitale quale requisito necessario al mantenimento del ruolo centrale di Servizio Pubblico in un contesto multipiattaforma”.
L’attuazione del “modello per Generi” costituirebbe il primo passo del nuovo “Piano Industriale 2022-2024”, che sarà elaborato nei mesi successivi, anche nell’ambito del prossimo “Contratto di Servizio 2023-2027”, ed “in relazione alle risorse economiche disponibili” (questa formula è piuttosto ambigua, si converrà).
L’evoluzione operativa dall’attuale organizzazione “verticale” a quella “per generi” si completerà con il varo del palinsesto estivo, che “sarà interamente programmato dalle direzioni di Genere”.
Su “la Repubblica” di ieri, Giovanna Vitale confermava quel che è stato deciso dal Cda ed il quotidiano diretto dall’aprile 2021 da Maurizio Molinari titolava: “La Rai cambia forma, meno potere alle reti, il futuro sono i Generi”. La stessa Vitali propone poi oggi una lunga intervista a Carlo Fuortes, intitolata (inverosimilmente?!) “Fuortes: Nella mia Rai i partiti non bussano più. Canone per i cellulari”.
Sull’affermazione dell’Ad sia consentito nutrire nubbi, anche se c’è chi sostiene che “i partiti” non chiamano perché Fuortes, per ora, non cambia molto e le “poltrone” restano le stesse di prima… Per quanto riguarda il deficit di risorse, osserviamo che Fuortes auspica di superare la vetusta norma del 1938 che lega il canone al possesso di un apparecchio televisivo, legando invece il pagamento alla fruizione dei programmi, quale che sia lo strumento (il “device”, si direbbe oggi).
Curiosamente, però, Fuortes non rilancia quel che il Presidente dell’associazione dei produttori televisivi (Apa) Giancarlo Leone aveva proposto qualche giorno fa in occasione del Mercato Internazionale Audiovisivo – Mia, ovvero la possibile abolizione della tassa di concessione governativa, che pure ci sembrerebbe la soluzione meno complessa ed indolore per assegnare più risorse a Rai, consentendole di recuperare immediatamente circa 80 milioni di euro (vedi “Key4biz” del 22 ottobre 2021, “Nebbie Rai, fra incertezze finanziarie e nuova identità”).
Secondo Vitale, i generi previsti dalla nuova organizzazione erano 9, e soltanto grazie soprattutto all’intervento del consigliere di amministrazione Riccardo Laganà (eletto dai dipendenti, e quindi non rispondente a nessuna logica partitocratica) sarebbe stata “recuperata” la Direzione Documentari, killerata in una prima versione. Già soltanto questo aspetto evidenzia la debolezza dell’approccio: ma come diavolo si può pensare di eliminare una simile Direzione, peraltro tardivamente istituita in Rai soltanto meno di due anni fa (gennaio 2020)?! Direzione, affidata alla guida di Duilio Giammaria (denominata dapprima, nel gennaio 2020, “Direzione Produzione Documentari”, e poi ridenominata “Direzione Documentari” nel settembre 2020), peraltro dotata di un budget simbolico, semplicemente ridicolo a fronte di quello dei “public service media” dei maggiori Paesi europei…
Si ricordi che Laganà aveva manifestato, l’8 marzo del 2019, il suo voto contrario sul precedente “piano industriale”, lamentando tra l’altro un grave deficit di trasparenza e denunciando: “non ci sono i soldi da canone per fare tutto e bene; dal governo Monti a quello Renzi è stato un continuo distrarre di risorse pubbliche fino al furto con scasso dell’attuale governo che pretende da Rai la realizzazione di un grandioso piano industriale con sempre meno soldi”. Aveva ragione Laganà: ed infatti Rai è stata e continua ad essere in buona parte inadempiente rispetto a quel che è previsto nel “contratto di servizio”. Un po’ per incapacità strategica ed organizzativa… un po’ per oggettivo deficit di risorse adeguate… un po’ perché il “contratto di servizio” chiede di tutto e di più (e spesso in modo assai generico)…
Il sempre accurato osservatore (anonimo) di “BloggoRai” si domanda oggi – in un post intitolato ironicamente “La Rivoluzione Rai non sarà un pranzo di gala” – e noi con lui (e molti altri): che senso logico (mediologico ed economico) ha una “Direzione di Genere” denominata “Contenuti RaiPlay”???
RaiPlay dovrebbe essere uno strumento d’avanguardia del servizio pubblico, la vera “nuova frontiera”, a fronte della concorrenza di soggetti come Sky e Netflix, e non dovrebbe essere considerata come un territorio “a latere”… Scrive il Redattore Anonimo: “paradosso nei paradossi: è stata creata la direzione di “genere” Rai Play, cioè proprio la struttura già esistente e che difficilmente si può definire un “genere” a se stante: starebbe a dire che Elena Capparelli, già direttore, potrebbe essere nominata direttore di se stessa e fornire sempre a se stessa i programmi per la piattaforma che lei stessa dirige”.
In verità, parrebbe che la Direzione novella dovrebbe essere denominata “Contenuti Digitali” e non “Contenuti RaiPlay” (qualcuno ipotizza un errore nel comunicato dell’Ufficio Stampa Rai!).
Mercoledì, in Cda, rispetto al genere “Contenuti Digitali” (che ha incorporato anche la Direzione “Nuovi formati”), il consigliere Riccardo Laganà avrebbe chiesto e preteso, pena eventuale voto contrario, l’inserimento, nella “mission” del genere, di una specificazione delle funzioni ed attività: la Direzione “Contenuti Digitali” dovrebbe servire anche a stimolare trasversalmente le altre direzioni “di genere” ad ideare nuovi formati e contenuti sia per la tv lineare e in modo tendenzialmente prevalente per il “digital”, tentando di riportare la produzione dei format e dei contenuti internamente…
Attendiamo di verificare come questi orientamenti organizzativi si concretizzeranno operativamente, con le nomine dei dirigenti apicali e soprattutto con l’assegnazione dei budget (che andranno a ridimensionare i portafogli delle “svuotate” reti Rai1, Rai2, Rai3, etcetera).
Conclusivamente, non ci sembra comunque che le questioni essenziali – profilo identitario della Rai nel nuovo scenario mediale digitale e risorse economiche indispensabili per affrontare seriamente le sfide in atto – siano state ancora oggetto di adeguata attenzione da parte del Cda. Per ora, sembra prevalere quella che abbiamo definito, su queste colonne, energia inerziale…
Aperto ai videogiochi il “tax credit” della legge Cinema e Audiovisivo
A metà pomeriggio di oggi, la Sottosegretaria leghista Lucia Borgonzoni ha annunciato (con l’entusiasmo che le è tipico) che la Commissione Europea ha approvato il “tax credit” per i videogiochi. Le imprese potranno presentare le istanze fin da inizio novembre: “l’industria del videogioco nazionale – ha ricordato la Sottosegretaria – ha rappresentato nel 2020 un giro d’affari di quasi 2,2 miliardi di euro. Il boom di vendita di videogiochi in Italia nell’anno della pandemia ha reso quello italiano tra i principali mercati europei.
Il videogioco, che sia un passatempo, un lavoro, una passione o uno strumento didattico, è una forma di intrattenimento, che vede coinvolto un numero di giocatori crescente e diversificato in Italia, come nel resto del mondo. In Italia l’industria del gaming conta oltre 160 imprese, con 1.600 addetti (di cui il 79 % con meno di 36 anni), e oltre 90 milioni di euro di fatturato. L’adozione del tax credit prevista dalla legge sul cinema e l’audiovisivo potrà quindi rappresentare sicuramente una boccata di ossigeno per le piccole e medie imprese del settore, le quali potrebbero così avere a disposizione la liquidità necessaria per la ripresa delle attività, ma soprattutto moltiplicare i posti di lavoro e puntare al mercato estero” ha concluso la Sottosegretaria.
I danari, alla luce della corposa “manovra Franceschini, non dovrebbero mancare (vedi supra).
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