Da Key4biz (07/03/2024): Perché lo Stato regala 700 milioni l’anno ai cinema, 400 milioni ai teatri, ma zero ai poeti?
Il poeta Davide Rondoni lancia una provocazione che dovrebbe essere sviluppata: occorre una grande riforma dei meccanismi di sostegno pubblico alla cultura.
Questa rubrica “ilprincipenudo” curata dall’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult per il quotidiano online “Key4biz” si dedica ad un monitoraggio del sistema culturale e mediale nazionale, con particolare attenzione agli aspetti non estetologici bensì strutturali, così intendendo la dimensione organizzativa-economica-tecnologica, e quindi politica della cultura, nel convincimento del nesso – di marxiana analisi – tra “struttura” e “sovrastruttura”, tra l’economico ed il semiotico.
Spesso ci si appassiona su questioni anche “minori”, ovvero – esemplificativamente – la “ripartizione” del Fondo per il Cinema e l’Audiovisivo tra varie linee di intervento, dal sostegno alle sceneggiature alla produzione alla promozione, passando ovviamente per la “macro-voce” che più danari pubblici assorbe, da alcuni anni, ovvero lo strumento controverso del “tax credit”.
Come gli operatori del settore sanno (e certamente sanno anche i pochi ma qualificati lettori di questa rubrica), grazie all’azione vigorosa dell’ex Ministro “dem” Dario Franceschini, i fondi a favore del cinema e dell’audiovisivo sono stati stabilizzati per legge, a partire dall’anno 2017, a quota 400 milioni di euro… Nel corso degli ultimi 6 anni, questa dotazione è andata via via (anche grazie al sostegno post-Covid 19), crescendo, arrivando nel 2023 a ben 750 milioni di euro…
Nel mentre, la dotazione dell’intervento pubblico a favore dello spettacolo dal vivo (teatro, musica, danza, circhi…) è rimasta sostanzialmente stabile, nell’ordine di poco più di 400 milioni di euro.
E qui naturale sorge un quesito (macro) di “politica culturale” ovvero di “economia della cultura”.
Perché lo Stato italiano ha deciso di privilegiare l’industria delle immagini a svantaggio dello spettacolo dal vivo?
Perché il più longevo Ministro della Cultura della Repubblica Italiana ha assunto questa decisione?
Non ci risulta che mai la questione – delicata, importante, strategica – sia stata oggetto di pubblico dibattito.
E nemmeno ci risulta che la questione sia stata oggetto di dibattito parlamentare approfondito.
Perché focalizziamo oggi l’attenzione su questa fenomeno logia?!
Per due ragioni.
Si attende la ripartizione del Fondo per il Cinema e l’Audiovisivo (746 milioni nel 2023) e del Fondo nazionale per lo Spettacolo dal Vivo (420 milioni di euro nel 2023): ci sarà innovazione strategica o riproduzione dell’esistente?
La prima: perché il Ministro Gennaro Sangiuliano deve decidere in questi giorni la ripartizione del Fondo per lo Sviluppo degli Investimenti nel Cinema e Audiovisivo, che lui stesso ha deciso di ridurre nell’anno 2024 dai 750 milioni di euro cui era arrivato ad un livello più contenuto, ovvero 700 milioni di euro (decisione che ha provocato sterili polemiche promosse dai fautori della conservazione dello status quo). Ma questa non indifferente quantità di danaro pubblico va giustappunto “ripartita”, e la decisione se allocarla a favore di una linea di intervento piuttosto che un’altra non è una scelta politica indifferente. Ormai un mese fa, su queste stesse colonne, ci domandavamo che fine avesse fatto questo riparto: “Ed il riparto dei 700 milioni della Legge Cinema e Audiovisivo per il 2024? Ed il nuovo Consiglio Superiore del Cinema e dell’Audiovisivo? Ed è anche correlata (la riforma del “Tusma”) alla ripartizione dei 700 milioni di euro dei fondi della Legge Cinema e Audiovisivo per l’anno 2024: anche questa, avvolta nelle nebbie, nessuna notizia sul sito web della Direzione Cinema e Audiovisivo del Mic (retta da Nicola Borrelli). Peraltro questo “riparto” deve essere sottoposto al vaglio del Consiglio Superiore del Cinema e dell’Audiovisivo, ma anche la ricomposizione di questo organo resta avvolta dal mistero, dato che è attesa da mesi ma il decreto a firma di Gennaro Sangiuliano non vede la luce: perché, questo gran ritardo nella gestazione dell’atto, atteso da molto tempo?!”. L’anno scorso, il Ministro Gennaro Sangiuliano ha apposto la propria firma sul “riparto” del Fondo Cinema e Audiovisivo il 14 marzo 2023 (D.M. n. 112), decidendo la destinazione di 746 milioni di euro. Il decreto di riparto del Fondo nazionale per lo Spettacolo dal Vivo per l’anno 2023 è stato invece firmato il 14 aprile 2023 (D. M. n. 163), ed ha assegnato 420 milioni di euro. Quale il senso del rapporto tra queste due allocazioni di risorse pubbliche, ovvero tra “cinema e audiovisivo” (746 milioni di euro) e “spettacolo dal vivo” (420 milioni)?! Purtroppo, nemmeno il titolare del Collegio Romano potrebbe fornire una risposta congrua, razionale, ragionevole, se non – nei due casi in ispecie – l’aver rispettato quanto ereditato dal suo predecessore… Cambierà qualcosa con le allocazioni di risorse per il 2024? Ce lo si augura. Cambierà qualcosa nella ripartizione interna delle risorse pubbliche destinate ai due fondi?! Ce lo si augura. Se così non fosse, saremmo di fronte ad una “politica culturale” sostanzialmente conservativa, inerziale.
Va anche segnalato che – secondo i dati della Società Italiana degli Autori e Editori – nel 2022 (gli ultimi messi a disposizione dalla Siae), il totale della spesa del pubblico nei cinematografi è stato di 333 milioni di euro, a fronte di 434 milioni di euro di spesa per l’insieme delle attività dello spettacolo dal vivo (prosa, lirica, rivista-musical, balletto, circo; senza però considerare in questo contesto, i concerti pop-rock-leggera che da soli assorbono ben 674 milioni di euro!). Ma questo è un discorso analitico complesso, che merita ben altri approfondimenti, nel rapporto tra “intervento dello Stato” e “offerta” e “domanda”…
Davide Rondoni: “Insomma se costa tanto denaro pubblico e ha un esito in sala così basso la parola è solo una: inganno”
La seconda: perché ieri, mercoledì 6 marzo 2024, sulle colonne del quotidiano “Libero” (diretto da Mario Sechi e Davide Capezzone), è stato pubblicato un interessante articolo, firmato da un noto poeta, Davide Rondoni, intitolato “Troppi fondi pubblici al cinema. E i poeti si arrabbiano”. Occhiello: “Ecco perché serve una riforma del settore”. L’articolo di Rondoni – che purtroppo non è stato rilanciato da nessuno – merita veramente attenzione, perché pone un problema essenziale di politica culturale: perché così tanto danaro pubblico a favore dell’arte cinematografica e perché nessun sostegno all’arte poetica?! L’intervento è netto e chiaro e merita essere riprodotto: “i poeti non si intendono di soldi, si sa. Ma se leggono che un investimento pubblico di vari milioni di euro produce poche centinaia di migliaia di euro, beh anche i poeti sanno che qualcosa non va, di molto serio. Se poi tutto questo avviene in nome della “cultura”, essendo spesso i poeti tra i più dileggiati perché amministratori pubblici dicono «eh, ma i soldi per la cultura non ci sono…», allora anche i poeti nel loro piccolo si incazzano. Perché se produrre un film cosiddetto d’autore costa 29 milioni (leggasi ventinove milioni) in buona parte provenienti da Rai Cinema (ente pubblico), tax credit (cioè detassazione ovvero tasse destinate invece che allo Stato a finalità culturali da parte di chi può farlo) e altre fonti, insomma se costa tanto denaro pubblico e ha un esito in sala così basso la parola è solo una: inganno”.
Davide Rondoni non cita nemmeno il titolo del film, ma è evidente il riferimento all’ultima opera di Saverio Costanzo, quel “Finalmente l’alba”, al quale abbiamo dedicato attenzione nell’edizione di questa rubrica qualche giorno fa (vedi “Key4biz” di venerdì scorso 1° marzo 2024, “La misteriosa ‘valutazione di impatto’ sulla Legge Cinema e Audiovisivo”), ponendo il quesito sul senso – culturale e sociale e politico – di un sostegno pubblico così intenso (quasi 10 milioni di euro) per un’opera con un budget che peraltro – sullo schermo – “non si vede” (sono stati dichiarati al Ministero ben 29 milioni di euro di costi di produzione, da parte di Wildside alias Fremantle alias il gruppo multimediale tedesco Rtl Bertelsmann, e dal coproduttore RaiCinema, e che ha finora incassato nei cinematografi circa 300mila euro (ovvero l’1 per del costo!). Anche noi non siamo entrati nel merito squisitamente estetico dell’opera, non essendo di mestiere critici cinematografici, sebbene il film l’abbiamo visto (e non ci è piaciuto granché), ma abbiamo posto delle questioni che sono estetologiche e strutturali al tempo stesso. Sono questioni di “politica culturale”.
Ha un senso un finanziamento pubblico così grosso, per produrre 1 opera una?!
Quante belle iniziative di promozione della cultura (di varie forme di cultura ed arte varia) potrebbero essere realizzate, con 10 milioni di euro?
Tante volte abbiamo segnalato su queste colonne come sarebbero preziosi, per esempio, alcuni milioni di euro per sostenere le iniziative teatrali nelle carceri: 10 milioni di euro sarebbero una dotazione adeguata per iniziare a stimolare in modo organico queste attività, che peraltro sono benefiche per lo Stato e per la società, dato che è dimostrato che i detenuti coinvolti nelle attività culturali ed artistiche hanno un tasso di recidiva bassissimo rispetto a quelli che non si impegnano in queste attività (vedi, su questo specifico tema, “Key4biz” del 13 febbraio 2024, “Dalla clownterapia negli ospedali al teatro nelle carceri, servono risorse adeguate”; e, ancora, “Key4biz” del 31 ottobre 2023, “Il ‘teatro sociale’ richiede riconoscimento giuridico e sostegno istituzionale”).
Scrive Rondoni: “mi scandalizzo per chi ci investe così tanti soldi non suoi ma nostri, mentre a noi poeti con cognomi insulsi (e artisti e critici d’arte e musicisti eccetera) ripetono: «Eh soldi per la cultura ce ne sono pochi… ». Non è vero, li sprecano, li buttano in cose da salotto, in cose valutate secondo non si sa che criterio. E si potrebbero fare molti esempi, non solo nel cinema”.
Il poeta ha perfettamente ragione (peraltro, nel cinema e nell’audiovisivo ormai la gran parte del sostegno dello Stato è “meccanico” – soprattutto per quanto riguarda il “tax credit” – quasi automatico, non v’è una vera “valutazione” della proposta filmica), anche se condividiamo una parte soltanto delle sue conclusioni: “occorre una grande riforma dei meccanismi di sostegno alla cultura, va resa libera dai finanziamenti pubblici, cambiati gli amministratori scarsi e lasciati soldi in tasca ai cittadini perché scelgano che cultura promuovere”.
È sacrosanta la richiesta di una grande riforma dei meccanismi di sostegno alla cultura, certamente vanno sostituiti “gli amministratori scarsi” (ce ne sono tanti, veramente…), ma non è corretto invocare che la cultura sia resa “libera dai finanziamenti pubblici”, perché il sostegno alla cultura ed alle arti è un dovere costituzionale (recita l’articolo 9: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica…”), e perché notoriamente molti settori ed attività del sistema culturale non sono in grado di sopravvivere facendo riferimento al mercato soltanto. Il sostegno dello Stato serve, eccome: va rivisto e corretto, va rimodulato radicalmente.
Si deve analizzare attentamente l’intervento dello Stato nel sistema culturale (nell’arco di decenni e decenni, non è mai stato fatto!), valutare l’efficacia di questo intervento
La questione di fondo è: analizzare attentamente l’intervento dello Stato nel sistema culturale (nell’arco di decenni e decenni, non è mai stato fatto! e magari analizzando comparativamente quel che avviene in altri Paesi), valutare l’efficacia di questo intervento non soltanto in termini di estensione dello spettro espressivo (consentire agli autori ed agli artisti di creare opere), ma in termini di “democrazia culturale”, ovvero di dinamiche di offerta/consumo, di stimolazione all’accesso alle opere culturali da parte della popolazione che è sostanzialmente esclusa da questa fruizione (essenziale per il benessere psico-sociale e per la coesione sociale).
Si ricordi che ieri stesso sul quotidiano “il Foglio” è apparso un articolo a firma di Camillo Langone, che cita lo stesso Davide Rondoni, ma per un’altra questione, seppur involontariamente connessa: l’articolo è intitolato “Sia lodato Davide Rondoni: ‘ci vuole lo sponsor’”. Sottotitolo: “Scrivere di soldi è ben più difficile che scrivere d’amore. Per questo, sia lodato Rondoni che smonta il mito dell’artista bohémien”. Scrive Langone: “Nessuna gioia si accende da sola / ci vuole lo sponsor, la miccia / se no non vola”. Sono versi di Davide Rondoni, tratti da “Rispondimi, bellezza” (Luigi Pellegrini Editore). Sottotitolo: “Poesie per artisti, maghi, sibille e visioni”. Ci sono anche versi d’amore, com’è ovvio, ma scrivono d’amore tutti, pure Arminio, Gio Evan, Mariangela Gualtieri, ormai fatico a distinguerli… Scrivere di soldi è più difficile e più raro. Sia lodato Rondoni che smonta il mito dell’artista bohémien, tanto gradito ai percettori di reddito fisso, tanto pericoloso nel far supporre pittori, scultori, scrittori capaci di vivere d’aria. Senza sponsor, tanto per cominciare, niente mostre. E a lungo andare niente opere, perché se l’arte non circola finisce col morire soffocata, priva di ossigeno, negli studi di chi la produce invano. Anche Marziale lo scrisse: “Se Mecenati ci saranno / Virgili non mancheranno”. Ma sono passati duemila anni, bisognava riscriverlo: ci vuole lo sponsor”. Si ricordi che Rondoni è un intellettuale eclettico: poeta, scrittore e drammaturgo, è fondatore e vice-presidente del Centro di Poesia Contemporanea dell’Università di Bologna, direttore editoriale della rivista “clanDestino”, ideatore del progetto “Infinito 200” (la celebrazione dei 200 anni dalla stesura de “L’Infinito” di Giacomo Leopardi), e direttore della collana “I Passatori – Contrabbando di poesia” per CartaCanta Editore. Ha partecipato a festival internazionali ed ha pubblicato numerosi volumi di poesia (con cui ha vinto alcuni premi), oltre a saggi e narrativa. Tiene corsi di poesia e master di traduzione; collabora con radio e tv per programmi di poesia e con alcuni quotidiani come editorialista. Nel giugno del 2023, è stato nominato Presidente del Consiglio di Amministrazione della Fondazione Museo di Fotografia Contemporanea di Cinisello Balsamo/Milano.
La provocazione di Rondoni è preziosa
Con grande eleganza, Rondoni non manifesta cenno alcuno al “dettaglio” che una forma di cultura ed arte qual è la poesia non riceve in Italia alcuna forma di sostegno (la “intitolazione” dell’articolo su “Libero” è certamente una forzatura del titolista)… Si noti peraltro che esistono altri settori ed attività del sistema culturale italiano che non beneficiano di un significativo sostegno da parte dello Stato: tra tutti emerge la musica popolare contemporanea, ovvero il pop-rock ed ovviamente anche il rap… Ed anche su questo, andrebbe sviluppato un ragionamento critico.
Ma in generale la questione – che è economica e politica al contempo – riguarda tutte le forme di cultura ed arte…
Fatto 100 il totale dell’intervento pubblico a favore della cultura (ed anche su questo dato purtroppo le stime complessive sono ancora incerte e nebbiose), quanto è bene allocare a favore del cinema, e del teatro, e della musica, e della danza, e dell’editoria, e delle altre forme di cultura ed arte, e finanche del servizio pubblico mediale alias Rai?
“Quanto” e – non meno importante – “come”.
In sintesi: perché lo Stato italiano è tanto generoso con i cinematografari e così avaro con i poeti?!
Sarebbe sano ed auspicabile aprire un dibattito su “quanto” e soprattutto “come” lo Stato italiano sostiene il sistema culturale.
[ Nota: questo articolo è stato redatto senza avvalersi di strumenti di “intelligenza artificiale. ]
(*) Angelo Zaccone Teodosi è Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult (www.isicult.it) e curatore della rubrica IsICult “ilprincipenudo” per “Key4biz”.
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