La Rai continua a soffrire della dipendenza dal Governo e più in generale dalla partitocrazia, ma non è l’unico settore del sistema culturale italiano a versare in condizioni critiche, dato che anche il cinema e l’audiovisivo sono in stallo.

Viale Mazzini è senza Presidente da alcune settimane, dato che la designazione da parte del titolare del Mef Giancarlo Giorgetti nella persona di Simona Agnes (sostenuta da Forza Italia e in particolare da Gianni Letta) non viene confermata dalla Commissione di Vigilanza, perché il Governo non dispone della richiesta maggioranza dei due terzi nella bicamerale. La sessione di ieri l’altro è andata deserta e la Presidente pentastellata Barbara Floridia ha convocato per mercoledì 27 novembre.

In parallelo, l’industria cinematografica e audiovisiva è sostanzialmente paralizzata da due anni, perché l’ex Ministro Gennaro Sangiuliano ha avviato una riforma della “Legge Franceschini” del 2016, ma il Ministero della Cultura si è tardivamente reso conto di aver impegnato, nell’arco dei primi 6 anni della Legge n. 220/2016, più denaro di quanto fosse previsto, soprattutto a causa di un uso improprio (incontrollato) dello strumento del “credito di imposta”, che ha assorbito, dal 2017 al 2022, oltre 2,6 miliardi di euro, a fronte di una previsione di 2 miliardi. Questo “splafonamento” (ovvero “buco”) ha determinato che la riforma della Legge Franceschini, affidata alla Sottosegretaria leghista Lucia Borgonzoni (rimasta in questo ruolo in esecutivi di diversa cromia, ed anche con il “dem” Dario Franceschini come Ministro della Cultura), subisse una gestazione ritardata, a causa della quale tutta la macchina ministeriale si è fermata, dalla primavera del 2023, per evitare di aumentare le dimensioni del “buco” di bilancio. E, staccata la spina delle sovvenzioni del Mic (700 milioni di euro per il 2024), tutto il sistema cine-audiovisivo, storicamente molto assistito dalla mano pubblica, s’è sostanzialmente fermato.

La cosiddetta “riforma Borgonzoni” della Legge Franceschini si è concretizzata nell’estate del 2024 con un decreto interministeriale firmato il 10 luglio da Sangiuliano e Giorgetti, ma è stata subito oggetto di feroci critiche da parte dei produttori indipendenti, perché introduce una serie di paletti e vincoli, lasciando invece i “big player” (i grossi produttori, per lo più associati nelle due potenti lobby, la cinematografica Anica e la televisiva Apa) liberi di continuare ad utilizzare lo strumento del credito di imposta. Si ricordi che, negli ultimi anni, le maggiori società di produzione italiane sono state acquisite da multinazionali straniere: dalla Cattleya (in mano ai britannici di Itv Studios) alla Lux e Picomedia e Stand by Me (tutte ormai controllate dalla Fremantle, gruppo tedesco-lussemburghese Rtl alias Bertelsmann). Con buona pace anche di quel “sovranismo culturale” talvolta invocato da esponenti del centro-destra.

Molti produttori indipendenti hanno presentato ricorso al Tribunale Amministrativo del Lazio contro il decreto Sangiuliano-Giorgetti. Il Tar si pronuncerà martedì prossimo 26 novembre. L’attesa è tanta, anche se, paradossalmente, un eventuale accoglimento dell’istanza cautelare di sospensione potrebbe determinare un ulteriore blocco al riavvio delle attività di un settore prezioso per la socio-economia nazionale.

La situazione complessiva è molto critica e la causa principale va ricercata nell’assenza di strumenti tecnici adeguati per il buon governo del sistema culturale: si assiste ad un assoluto deficit di conoscenze, sia sul possibile ruolo della Rai come “public service” nell’habitat digitale multimediale, sia sul ruolo dello Stato nel settore cine-audiovisivo.

Mancano dati, analisi, valutazioni, controlli, e quindi prevale ancora un governo “nasometrico” del sistema.

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